Trascrivo qui di seguito, dal sito http://www.syloslabini.info/online/,
il
“Manifesto per la
libertà del pensiero economico.
Contro la dittatura
della teoria dominante e per una nuova etica”,
per una riflessione critica, lungimirante, prudente, circa le scelte
di politica economica del nostro governo, pur di “professori”.
“1. La teoria dominante è in
crisi
Oggi dopo anni di
atrofizzazione si affaccia un nuovo sentire al quale la scienza economica deve
saper dare una risposta. La crisi globale in atto segna un punto di svolta
epocale. Come in tanti hanno rilevato, oggi entrano in crisi le teorie
economiche dominanti e il fondamentalismo liberista che da esse traeva
legittimazione e vigore. Queste teorie non avevano colto la fragilità del
regime di accumulazione neoliberista. Esse hanno anzi partecipato alla
edificazione di quel regime, favorendo la finanziarizzazione dell’economia, la
liberalizzazione dei mercati finanziari, il deterioramento delle tutele e delle
condizioni di lavoro, un drastico peggioramento nella distribuzione dei redditi
e l’aggravarsi dei problemi di domanda. In tal modo esse hanno contribuito a
determinare le condizioni della crisi. E’ necessario ricondurre l’economia ai
fondamenti etici che avevano ispirato il pensiero dei classici.
2. E’ urgente riaprire il
dibattito economico
E’ urgente riaprire
il dibattito sulle fondamenta delle diverse impostazioni teoriche presenti nel
campo economico. Occorre respingere l’idea – una giustificazione di comodo per
tanti economisti e commentatori economici mainstream – che esista una sola
verità nella scienza economica. Occorre dare spazio alle teorie alternative –
keynesiana, classica, istituzionalista, evolutiva, storico-critica nella
ricchezza delle loro varianti – nell’insegnamento e nella ricerca. Occorre
adeguare ai tempi i nostri strumenti, assumendo l’analisi di genere nei nostri
studi. E’ necessario dare “diritto di tribuna” ad ogni nuova idea economica nel
segno della libertà e del libero confronto. Le concentrazioni di potere (nelle
università, nei centri di ricerca nazionali e internazionali, nelle istituzioni
economiche nazionali e internazionali, nei media), come quelle che hanno
favorito nella fase più recente l’accettazione acritica del fondamentalismo
liberista, debbono essere combattute.
3. Un’economia al servizio
delle persone
La scienza economica
dev’essere intesa in modo ampio, senza definizioni unilaterali e con piena
apertura all’interscambio con le altre scienze sociali. L’obiettivo della
ricerca dovrebbe consistere nella comprensione della realtà sociale che ci
circonda, come premessa per scelte politiche dirette a migliorare la condizione
di vita delle persone e il bene comune.
4. Un metodo non più fine a se
stesso
A questo fine va
indirizzato l’utilizzo delle tecniche disponibili, dall’analisi storiografica a
quella econometrica, dall’analisi delle istituzioni alla costruzione di modelli
matematici, senza preclusione verso alcuna tecnica ma allo stesso tempo senza
che la raffinatezza tecnica dell’analisi divenga un obiettivo autoreferenziale,
fonte di conformismo e di appiattimento nella formazione delle giovani leve di
economisti. Per questo, va favorito un confronto critico tra impostazioni e
analisi diverse.
5. Una nuova agenda
Suggeriamo cinque
temi – su cui promuovere studi e iniziative – che ci sembrano di particolare
rilievo nella fase attuale:
Mercato,
stato e società. Dopo decenni in cui
il mercato e la sua presunta “mano invisibile” hanno invaso gli spazi
dell’azione pubblica e delle relazioni sociali, è necessario pensare nuove
forme di integrazione tra mercato, stato e società, con attenzione per i temi
della democrazia, della giustizia, dell’etica, in un quadro di sostenibilità
ambientale dello sviluppo;
Una globalizzazione
dal volto umano. Dopo una
mondializzazione dei mercati trainata dalla finanza e priva di regole, è
necessario pensare a un’integrazione internazionale tra i popoli che sia
democraticamente governata, che alimenti i flussi di conoscenze e di persone
accanto a quelli di merci, e che promuova la cooperazione sociale anziché la
feroce competizione globale.
Un nuovo
umanesimo del lavoro. E’ necessario
ripensare il ruolo del lavoro nelle società moderne, come fonte di reddito
dignitoso per tutti, di conoscenze, di relazioni sociali e come strumento di
formazione ed emancipazione civile dei cittadini.
La riduzione
delle disuguaglianze. Le differenze di
reddito e di potere, tra paesi e – al loro interno – tra gruppi sociali e
persone sono cresciute in modo inaccettabile ed è necessario quindi pensare ad
un modello di organizzazione delle relazioni che punti realmente a ridurre le
disuguaglianze sociali, territoriali, tra uomini e donne e tra le singole
persone. Questo è necessario anche per individuare una credibile via d’uscita
dalla crisi, che richiede un rilancio dei consumi individuali e collettivi e
degli investimenti pubblici, e l’emergere di una nuova domanda da parte di
paesi e gruppi che in passato erano rimasti al margine dello sviluppo e del
benessere sociale. Senza tali cambiamenti il rischio concreto è che si punti a
ripristinare il regime di accumulazione neoliberista fondato sulla speculazione
finanziaria, e che si alimentino per questa via crisi ulteriori ed ancora più
gravi dell’attuale.
Uno
sviluppo più equilibrato. Va favorita la
transizione da una crescita quantitativa senza limiti verso uno sviluppo più
equilibrato basato sulla qualità. Occorre impegnarsi per costruire degli indici
alternativi al prodotto interno lordo che è inservibile e fuorviante dal
momento che non riesce a rappresentare diverse attività economiche, i costi
ambientali e il reale benessere della popolazione.”
In ogni caso, la “cultura del limite” è un eccellente
antidoto
per ogni fondamentalismo, anche per il fondamentalismo liberista.
O no?
Severo Laleo