sabato 26 dicembre 2015

Barba, Babbo Natale, spettacolo e rivoluzione



Per ribellione e protesta, nel ’68, una generazione di giovani
da imberbe, per un insieme di situazioni, alte e non,
impara a credere nella forza rivoluzionaria della barba,
in ogni sua foggia. Soprattutto se incolta.
E rinuncia a Babbo Natale e ai suoi doni.
E spesso, ancora oggi, la barba rivoluzionaria d’allora
imbianca visi alteri di umiltà e liberi, anche se a volta stanchi.
Per disillusione.

Ma il giovane irriverente di oggi, pronto a battere le mani,
abituato da piccolo ai rumori dell’arte di spettacolo,
ti accusa di conservatorismo, di incapacità di seguire il (suo) cambiamento, 
di essere vecchio, un arnese inutile.
E barboso. E torna a giocare con Babbo Natale
e il suo sacco di regali.

E’ da perdonare. Non conosce la storia e non può immaginare 
quanto sia nobile, benché faticoso, “conservare”,
con la barba, le idee rivoluzionarie di sempre:
tutte le persone sono eguali e hanno pari diritti;
ogni persona ha diritto a una vita degna di essere vissuta,
per luogo e condizioni di abitazione, per strutture di cura
della salute, per occasioni di istruzione/educazione,
per opportunità  di partecipare al tavolo comune del lavoro,
per  possibilità  di gestire un reddito,
per libertà di essere sé stessa.

E non sa, a volte per seguire ambizione, a volte per seguire leaders,
a volte per imitare Babbo Natale, che se il cambiamento non tocca
le forme e le strutture del Potere, il Potere, a sua volta,
sempre uguale a sé stesso, riesce ad avvolgere tutti
nella sua opacità, persino la generazione  del cambiamento.

Forse ancora oggi è bene non inseguire Babbo Natale
e i suoi casuali omaggi e conservare la barba,
specie se è sede di allergie per il Potere fine a sé stesso
e memoria di rivoluzione.

O no?

Severo Laleo

lunedì 14 dicembre 2015

Consulta (e non solo): la cultura nobile del sorteggio



Questo il titolo del Corriere.it di oggi 14 dicembre:
Consulta, 30esima fumata nera. Boldrini: «L’inconcludenza
logora la dignità del Parlamento». L’inconcludenza è vera,
la dignità è da tempo logorata, anzi è già a stracci.
E senza alcun dubbio.
Se per trenta volte il Parlamento si riunisce in seduta comune
e non riesce a eleggere i giudici necessari per il plenum
della Corte Costituzionale, è da mandare a casa.
Sì, per grave danno costituzionale, si potrebbe dire, 
al corretto funzionamento della democrazia.
Scrive la sua nausea Milella nel suo Blog, in Repubblica.it,
quasi disgustata per la generale indifferenza e, opportunamente, 
ricorda i giorni, per ogni giudice, di assenza forzata dalla Consulta:
un giudice ormai manca da 530 giorni (sembra incredibile),
un altro da 314, il terzo da 156.
Una prova di moderno “menefreghismo” istituzionale, da noi endemico, “irrottamabile”, anche in questi tempi dominati
da una nuova generazione di “governo” (nel senso più ampio del termine) campione di velocità, decisionismo, trasparenza, novità
e cambiamento.
In verità è facile predicare il cambiamento, ma se l'origine 
del cambiamento continua a persistere nell'ambizione 
del Potere e non in un Progetto culturale comune e condiviso, 
tutto è ammuina. Con nuova, sì, delusione.
E’ una storia tipicamente italiana, perché solo da noi
la serietà istituzionale troppo spesso cede dinanzi alla tenace arroganza della politica. Per di più senza sanzioni.
Una storia tipicamente italiana, perché sempre più spesso
i rappresentanti dei partiti nel Parlamento non rispondono
più ai doveri istituzionali con personale responsabilità,
ma solo alle decisioni dei “propri” Capi  con libera servitù.
Anche così la Politica, con i suoi riti e nelle sue sedi, continua
a bloccare il processo di civilizzazione di una Società.

Chissà se la cultura di un Paese cambia anche con il cambiare
delle modalità di scelta delle persone in ogni sede decisionale.
Purtroppo, in questo campo, pare si legiferi ancora seguendo,
nella sostanza e nelle apparenze, l’istinto primitivo e prepotente
del Potere Maschile. La lotta è sempre tra Maschi Alfa.
Nonostante tutte le possibili “attenuazioni”.

Forse la dignità delle Istituzioni e delle persone passa solo
attraverso il libero/liberante strumento del sorteggio
e magari anche attraverso la parità assoluta nella Corte
di uomini e donne.
O no?
Severo Laleo