Caro prof. Scapece,
se ti capiterà tra
le mani il romanzo di Raffaele Simone Le passioni
dell’anima,
leggilo; è una
lettura molto godibile, anche se a volte, per empatia con Cartesio,
sei trascinato a
condividere una solitudine cupa da clima iperboreo;
grazie a un
racconto con “velature”,
la lettura è godibile non solo a lettori
esperti, ma anche a lettori di buona volontà.
Sì, perché ogni lettore pare avere
la sua occasione per scoprire “quel che si
deve ai protagonisti”
e quel che il romanziere ha aggiunto.
A me l’occasione è
capitata, e lieve ho sorriso, solo quando ho incontrato,
a pagina 194, il
portoghese “spregiudicato” Antonio Damasio.
Povero
Damasio, “che si
dichiara medico”! Purtroppo, conquistata la baldanza
di chi
ritiene di poter capire
anche altro, quando, sul finir dell’opera,
ho letto la bellissima lettera di
Elisabetta di Boemia a Monsieur
Descartes,
ho creduto, sospettoso, di poter vedere qua e là la mano
del romanziere,
forse per una presenza fine di sensibilità moderna.
Ma la nota finale Al
lettore, a
cura del romanziere, confermando l’autenticità
della
lettera, smonta l’incauta
baldanza. Così, caro Scapece, ho voluto
rileggere la lettera per riparare un
torto, e, godendo appieno delle “bellissime
parole” di
civiltà e d’amicizia di
Elisabetta, mi sono sorpreso a inseguire
i miei soliti
pensieri.
La lettera te la
invio, perché tu possa leggerla secondo i tuoi sentimenti,
e ti invio anche
questa mia interessata interpretazione che, conoscendo
la tua pazienza
saggia di napoletano, so che leggerai: solo tu puoi!
Elisabetta,
nell’esprimere il suo non più differibile bisogno di avere notizie
positive e
dirette di Descartes, si
dichiara disposta con gioia a viaggiare
fino a Stoccolma.
Ecco, caro Scapece, la forza delle sue parole:
“La maledizione
del mio sesso m’impedisce la gioia che mi darebbe
un viaggio verso Stoccolma,
dove ben verrei per imparare le verità
di metafisica e di scienza che traete dal
vostro giardino e dalle vostre riflessioni.”
Capisci, Scapece, la maledizione
del sesso! E, guarda, non è un lamento. No!
E’ l’affermazione
constatazione di una situazione di
fatto, di una condizione
dei tempi, appunto una maledizione, quindi
non accettabile, da
superare
senz’altro. Non è
forse una
richiesta serena, non
piccata, anzi
gioiosa
di parità
uomo-donna?
Anzi
più avanti, nel raccontare il suo sforzo per
imparare qualche parola
di spagnolo, scrive
proprio di parità, meglio di sentirsi al pari
con il suo miglior medico, sempre con un tono garbato di fine ironia:
“Vedete
che anch’io, per puro amor vostro e quasi per sentirmi al pari con
voi
col solo emulare
i vostri sforzi, sto imparando qualche parola di spagnolo?”
E
ancora, con più sicurezza di giudizio, senza spirito di rivalità
tra i sessi:
“Nella
notte dell’ignoranza, nel gelo di un mondo sconosciuto e avverso,
poche persone (tutti uomini,
ahimè: alle donne questa prerogativa
non è riconosciuta) portano la
fiaccola della scienza contrastando il buio
con la loro debole
fiamma.”
Caro
prof. Scapece, questa Elisabetta di Boemia ha
un’idea
così chiara
e naturale della
parità
dei sessi da
destare un’ammirata attenzione.
E
forse potrà ben figurare nelle
biografie dell’Enciclopedia
delle donne.
O no?
Severo Laleo