Il problema non è solo la “dignità” delle donne,
il problema non è solo la relazione uomo/donna,
il problema è anche, nell’ordine:
1.una strutturazione della società, nell’immaginario collettivo, ancora fondata su un modello maschile di stampo medievale, duro a morire e ancora diffuso in Italia, per il quale “dove io, maschio, impero, è lecito tutto, perché io, maschio, a “casa mia”, definisco il limite”;
2.la trasposizione di questo modello nella “politica” e nelle pratiche dell’amministrazione, pubblica e privata, per il quale l’idea di potere è definita dall’esercizio del “comando” (possibilmente per sempre o per il più lungo tempo possibile) e non del “servizio” a tempo determinato e concordato (nel tempo della precarietà per i giovani, si amplia, in politica, la definitività degli anziani!), dall’efficienza monocratica contro l’efficienza della partecipazione democratica;
3.la necessità di accumulare ricchezza (danarismo avvilente) per estendere l’area del potere e degli acquisti (corpi, menti, simboli);
4.la proposizione di una cultura della violenza (non sono necessari i manganelli!) contro la cultura del limite per consentire di superare leggi, controlli, senso della misura.
Un grande lavoro di trasformazione culturale (rivoluzione culturale!) di questo paese è necessario per costruire un’Italia migliore.
E basterebbe partire dalla interiorizzazione della nostra Carta Costituzionale e della Dichiarazione Universale dei diritti umani.
O no?
1.una strutturazione della società, nell’immaginario collettivo, ancora fondata su un modello maschile di stampo medievale, duro a morire e ancora diffuso in Italia, per il quale “dove io, maschio, impero, è lecito tutto, perché io, maschio, a “casa mia”, definisco il limite”;
2.la trasposizione di questo modello nella “politica” e nelle pratiche dell’amministrazione, pubblica e privata, per il quale l’idea di potere è definita dall’esercizio del “comando” (possibilmente per sempre o per il più lungo tempo possibile) e non del “servizio” a tempo determinato e concordato (nel tempo della precarietà per i giovani, si amplia, in politica, la definitività degli anziani!), dall’efficienza monocratica contro l’efficienza della partecipazione democratica;
3.la necessità di accumulare ricchezza (danarismo avvilente) per estendere l’area del potere e degli acquisti (corpi, menti, simboli);
4.la proposizione di una cultura della violenza (non sono necessari i manganelli!) contro la cultura del limite per consentire di superare leggi, controlli, senso della misura.
Un grande lavoro di trasformazione culturale (rivoluzione culturale!) di questo paese è necessario per costruire un’Italia migliore.
E basterebbe partire dalla interiorizzazione della nostra Carta Costituzionale e della Dichiarazione Universale dei diritti umani.
O no?
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