sabato 2 aprile 2011

Immigrazione: dove sono gli intellettuali?


C'è un'assenza curiosa, e, a mio avviso, colpevole,
in questi tempi di grandi cambiamenti in Europa,
nei confronti del tema dell'immigrazione.
E' l'assenza degli intellettuali.
Chi, infatti, tra gli intellettuali, si impegna a discutere
e a definire nuove soluzioni dinanzi alla fuga, questa sì epocale,
di migliaia di persone da fame e guerra,
verso le terre della "speranza"?
Chi, tra gli intellettuali, per esprimere solidarietà ai “disperati”,
risponde con saggezza e cognizione di causa
alla politica, rozza e volgare, del “fora dai ball”?
Chi, tra gli intellettuali, è disposto, per una volta,
a comprendere le ragioni dei “senza speranza”,
abbandonando gli insensati discorsi dell’integrazione?
E dov’è la voce dell’ Università italiana, 
della nostra tradizione umanistica,
con la sua definitiva affermazione della dignità dell’uomo?
A molti non è dato sapere.
Se si esclude, cattolica o laica, qualche associazione di volontariato,
l’impegno culturale lungo la linea della civilizzazione della società
è ormai privo di militanti, ed è orfano di investimenti.
La società nel suo complesso è ingozzata di egoismo,
nella sua versione peggiore, oggi, del leghismo berlusconizzato.
Ma forse la causa/colpa è anche del sistema televisivo,
spesso esclusivamente impegnato a solleticare 
le papille del divertimento, a scapito della informazione partecipata propria di una democrazia avanzata.
Eppure, una volta, di fronte a drammatici problemi di massa (povertà, guerra), gli intellettuali rispondevano con prontezza 
e  rigore di riflessione, presentando ai governanti dell’epoca soluzioni pratiche.
Nella prima metà del 500, ad esempio, 
quando nella moderna Europa
moltitudini di “vagabondi” d’ogni genere e parte 
affollavano intere città,
gli intellettuali di allora (Vives, De Soto, ed altri) aprirono
un grande dibattito per proporre soluzioni praticabili 
sempre sulla base di un principio elementare:
il rispetto della persona umana.
Rispetto, per troppo tempo, assente a Lampedusa.
O no?
Severo Laleo

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