domenica 9 settembre 2012

Il campo di calcio e la partita. Dal 1994, un’unica retorica, facile, da tifo e … maschile



Apre Berlusconi, nel 1994, con la solenne dichiarazione:
“Ho scelto di scendere in campo … ho deciso di scendere in campo …”,
con un recitativo serioso di impegno.
E  gioca la sua partita, raccattando tutto il possibile, contro le sinistre,
i  c o m u n i s t i,
e inventa “Forza Italia”, per aggregare gli appetiti dei “servi liberi”,
e sistemare al meglio i suoi personali interessi (almeno è legittimo il sospetto).
E al “popolo” solo promesse ambigue.
Mai un serio discorso di civiltà per le nuove generazioni 
(giustizia sociale e diritti umani).

Continua, oggi, Renzi, più esplicito, ed estremo,
"Abbiamo da giocare la nostra partita, da tirare il nostro calcio di rigore
E lo tireremo".
Un’ode al coraggio di gioco.
E gioca appunto la sua partita, rastrellando tutte le proteste, contro la sinistra,
i  b e r s a n i a n i,
e inventa la “Rottamazione”, per aggregare nuovi appetiti,
e spingere in alto le sue personali ambizioni (almeno è legittimo il sospetto).
E al “popolo” un fiume di scoppiettanti novità, spesso cento.
Mai un serio discorso di civiltà per le nuove generazioni 
(giustizia sociale e diritti umani).

E, purtroppo, anche Sel, più narrativa e incerta, informa:
“Siamo in campo. Abbiamo riaperto molte partite che sembravano chiuse”.

Forse, per una democrazia civile, è il caso di lasciare campo e partite.
E senza dubbio evitare di giocarsi tutto ai rigori.
O no?
Severo Laleo

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