Ilvo
Diamanti e Eugenio Scalfari, pur
non credendo
alle mire autoritarie del nostro Premier, e quindi al pericolo
dell’autoritarismo
–in verità il discorso non riguarda il Premier
e le sue mire, ma l’oggettivo,
osservabile, misurabile danno in senso
autoritario provocabile dalla riforma
costituzionale in itinere- definiscono comunque
il giovane Premier,
con un tuffo nel
passato, giù fino ai tempi della Grande
Riforma
(era d’obbligo allora la
maiuscola!), un “nuovo” Craxi, e escogitano
per l’occasione una
terminologia ad hoc: per Ilvo Diamanti il disegno
del Premier è una “democrazia
personale”, per Eugenio Scalfari
il tratto del Premier sa di “egemonia
individuale”.
L’intelligenza liberale di Diamanti e Scalfari, per noi tutti
un alto stimolo per ogni discorso critico
sulla società,
appare questa volta strabica, perché
bloccata da un’analisi
ad
personam, quasi succuba di una visione esclusivamente leaderistica
della
politica; colpisce, e quasi stordisce, questo
lor trovarsi d’accordo nell’attribuire alle
mire di una persona
(sempre un uomo da noi e non è un caso: quando una Merkel* anche in Italia?)
quanto è
oggettivamente solo una conseguenza
sia della fragilità politica, in termini di
personale responsabilità, trasversalmente,
di una classe dirigente, sia la
diffusa assenza
di cultura liberale in un Paese facile agli
innamoramenti.
Craxi
a suo tempo non andò mai oltre il 15%, perché le persone
allora nella cabina
elettorale non semplicemente sceglievano
un partito o un leader, ma versavano
nell’urna una scheda
piena di vita reale e orgogliosa di
un’appartenenza forte.
Anche quando sbagliata, per costrizione
clientelare.
Non è più così.
La discesa in campo di Berlusconi, ammiratore di Craxi,
contribuì a sbaragliare le appartenenze con
la sua retorica bombardante
dell’”Io”,
e la democrazia, nel bene e nel male,
dei partiti si trasformò, complice il voto,
in “democrazia personale”
o in “egemonia
individuale”. Nacque allora il capo, il padrone,
impropriamente il leader. E quel passaggio,
alimentato acriticamente a destra,
al centro e a sinistra (e qui con gravi conseguenze ancora oggi visibili)
da troppi imitatori, ha oggi ripreso vigore, dopo il tentativo non
riuscito
di Bersani di “uccidere”
il leaderismo smargiasso, in nome di una democrazia
a più ampia partecipazione, e senza
inganni.
Berlusconi
è stato sì sconfitto nelle urne dal centrosinistra
di Bersani
–sa Iddio quanto ha inciso il Presidente Napolitano
nel liquidare il tandem Bersani/Letta!- e da un corpo
elettorale deciso
a chiudere una brutta pagina della storia d’Italia,
ma la sua sconfitta non ha segnato
un’inversione di rotta
nella modalità del “far politica”.
Anzi quella modalità si è trasferita inopinatamente
nel “nuovo” Pd.
Il Berlusconi
catturato ha catturato l’Italia furbesca,
allegra, manovriera
e maschilista, l’Italia
di “una mano lava l’altra”,
di “chiudi
un occhio”, di “basta con lacci e lacciuoli”,
di “ora
si diventa tutti ricchi”. In altre parole l’Italia comunque,
certo tra gli altri, di Razzi e Scilipoti.
Capita così di vedere oggi il “nuovo” della sinistra protetto
dal “vecchio”
della destra. In una terribile intesa cordiale.
Questo è il dato.
Non c’entra quindi nulla con il rischio di
autoritarismo
la “democrazia
personale” del Premier né
c’entra la sua “egemonia individuale”,
c’entra al contrario la cultura politica senza etica
e senza personale e critica responsabilità
di un gran numero
di addetti alla politica. Una cultura accomodante,
insieme supina
e feroce, pronta a ferire le persone (e di
questo Letta ha un’esperienza
diretta),
ma soprattutto una cultura senza memoria.
Chi ha vinto le elezioni nel 2013? Con
quale programma?
Chi ha diviso il centrosinistra tra
maggioranza e opposizione
contro il volere degli elettori? Chi
utilizza una legge elettorale incostituzionale,
il Porcellum, per riformare la Costituzione?
Quali elettori hanno consentito al Pd di avere un’ampia maggioranza alla
Camera?
L’intelligenza liberale può anche ragionare
di “democrazia personale”
e di “egemonia individuale”, e preferire
l’oligarchia, anche se degli eletti,
ma solo il referendum, attraverso una
decisione diretta,
dirà della qualità della nostra democrazia.
A prescindere dalle interpretazioni di un Premier.
E’ già successo, nel giugno 2011, grazie
anche a una sinistra
con le idee chiare. E succederà ancora.
E il ciclo originato da Berlusconi e perdurante nei suoi
epigoni
avrà la sua fine. Una volta per tutte.
O no?
Severo Laleo
* Forse gli anni
della Merkel al potere, alla fine, al
di là di ogni altra valutazione,
grazie alla “serietà”,
sul piano etico-politico, della persona, regaleranno alla Germania,
alle nuove generazioni, una limpida educazione nella
direzione della parità di genere, e quindi
della democrazia del dialogo tra pari, più di quanto un
pur sistematico progetto educativo
possa offrire.
Al contrario, da noi i guasti del
berlusconismo sono già chiari a tutti
e continueranno purtroppo a pesare ancora a lungo,
perché parte di un’intera generazione
ha subito per un qualche aspetto il suo “fascino” di
prepotenza semplificatoria. Anche nell’agire politico.