mercoledì 3 dicembre 2014

Gruber, Cassese e il governo duale



L’altra sera a Otto e Mezzo l’ospite d’onore, il giurista irpino Sabino Cassese
giudice emerito della Corte costituzionale, chiacchierato quale possibile 
Presidente della Repubblica, nelle risposte alle domande, anche puntuali, 
della Gruber ha voluto tenere un atteggiamento benevolo, quasi ecumenico,
nei confronti del Governo e, in qualche passaggio, è sembrato persino 
carezzevole nei confronti del Presidente Renzi.
Per fortuna una corretta Lina Palmerini, osservatrice attenta
del Sole 24, con severo garbo, è riuscita spesso a riportare
il discorso politico dal gioco delle relazioni alle pieghe incrostate
di una difficile realtà.

E a proposito della capacità di innovare del Presidente Renzi,
il giurista Cassese ha voluto ricordare la novità della nomina
nel Governo di un numero di ministre pari al numero dei ministri.
Per l’Italia, certo, una novità.
E la scelta era rimarcata dal fine giurista Cassese con un sorriso
bonario, quasi a conferma del segno inconfutabile del grande cambiamento; 
e l’ottima Gruber, colpita nel suo campo, ha subito espresso la sua condivisione.

Eppure in tanto entusiasmo qualcosa non funziona.
Sia il fine giurista sia l’ottima Gruber, espresso concorde l’apprezzamento, 
di malcelato elogio l’uno, di partecipazione
di genere l’altro, restano prigionieri di un’antica e “naturale
visione del monocratismo, esito storico del maschilismo,
in quanto legano la formazione di un governo con pari numero
di ministre e ministri non a una necessità/obbligo di civiltà politica
ma alla solitaria scelta/decisione/concessione
del potere monocratico –in Italia sempre e solo maschile-
del Presidente del Consiglio, e soddisfatti non riescono
a guardare avanti. Oltre.
La formazione di un governo di uomini e donne in pari numero 
non può essere lasciata in un paese moderno, civile, avanzato,
a un qualsiasi presidente di turno, ma deve essere stabilito
per legge, senza possibilità di scelte discrezionali.
Di più, guardando avanti, se la stessa Presidenza del Consiglio 
fosse organo non più monocratico, ma duale, bicratico,
di coppia uomo/donna, i cambiamenti e in termini di educazione
alla parità, con quel che ne consegue, e in termini di un più maturo confronto 
politico (con una mitigazione del narcisismo a volte esasperato dei leader), 
e, infine, in termini di pienezza umana sia nella comprensione dei bisogni 
sia nella realizzazione delle decisioni, sarebbero facilmente intuibili 
e comunque auspicabili. Altrimenti il “vecchio” continua a resistere
anche quando si prendono decisioni nuove.

O no?

Severo Laleo

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