La gradevole e limpida intervista di Flavia Amabile a Rosy Bindi
su La Stampa di ieri, ha questo inizio chiaro e inequivocabile:
“Le donne del Pd -chiarisce Rosy Bindi- sono ancora sottomesse,
è il momento di andare a rivendicare
la guida del partito...Basta con la sottomissione ai maschi.”
E più avanti: “Le donne se vogliono contare
devono decidersi a assumere dei ruoli politici dentro
il Pd. Ce ne sono molte brave, capaci ma prive di una
soggettività politica autonoma, troppo spesso gregarie dei
capicorrente uomini”. Tutto vero, anche se forse non poche
donne appaiono gregarie, ma gregarie non sono, e hanno
una propria soggettività, purtroppo nascosta per quel rifiuto
della logica tutta maschile del combattimento.
Infine, incalzata da una domanda maliziosa di Flavia Amabile:
“Dovrebbero creare una corrente?”
Rosy Bindi ammette: “No, dovrebbero imparare come è organizzato
il potere e decidersi a occuparlo. Non con lo spirito del dominio
ma con lo spirito del servizio. Devono mettersi in testa che in politica
nessuno regala nulla, tutto va conquistato. Poiché l’occupazione
del potere decisionale è maschile, finché le donne non si decideranno
a competere per una leadership i risultati saranno sempre questi”.
Occupare il potere, non con spirito di dominio, ma con spirito
di servizio.
Eppure qui è il punto. Il potere.
Il potere nasce sempre da spirito di dominio, perché il potere
è intriso totalmente dall’idea di combattimento tra maschi
per il predominio; il potere, nella sua versione attuale,
è sempre l’esito di un duello tra maschi (gli esempi possono
individuarsi anche nei giorni tormentati della crisi di governo,
durante i quali la presenza delle donne è stata assente
o soccombente, al servizio di un leader maschio); e negli ultimi anni
la figura del maschio potente e prepotente ha avuto una larga
fortuna nel mondo, con seguito di popolo straordinario,
incredibile, assurdo, violento, fino all’assalto al Parlamento
degli Usa. Uomini e donne, dentro questa cultura del dominio maschile,
magnificano comunque le doti del grande uomo.
Ora, se si riflette bene, non conviene “rivendicare, lottare, competere,
organizzarsi” per raggiungere una leadership al femminile,
perché la logica dell’assalto è tutta maschile; le istituzioni del potere
e del comando sono tutte monocratiche perché sono l’esito
di un conflitto a due per occupare il trono del vincitore.
Le istituzioni stesse, quindi, sono risultato di una logica maschile,
i metodi stessi sono dettati dall’agire maschile.
Il cambiamento rivoluzionario dovrebbe coinvolgere le istituzioni.
Tutte le istituzioni a rappresentanza elettiva dovrebbero essere
composte da uomini e donne in pari numero: chi potrebbe opporsi
a una norma così elementare e giusta? Questa è la battaglia fondamentale,
non il rivendicare o l'attendere la "concessione" di un Capo.
Ogni potere al vertice non dovrebbe essere più nelle mani dell’Uno
(quasi sempre maschio), nelle mani, cioè, di un potere monocratico,
anche se occupato da una donna, ma nelle mani di una coppia,
di un uomo e una donna, in una struttura istituzionale a una guida duale
alla pari, con un passaggio immediato dal monocratismo al bicratismo.
Oggi, dopo la furia “macha” di Trump, gli Usa sperimentano una nuova
struttura del potere decisionale, attraverso una guida non strettamente
monocratica (maschile), ma bicratica (maschile/femminile) Biden/Harris.
Forse si potrebbe trarre esempio da questa esperienza americana
per dare una svolta di vero significato rivoluzionario alle nostre
istituzioni. E nel Pd si potrebbe sperimentare da domani.
O no?
Severo Laleo
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