Leggendo i giornali di questa mattina, 26 giugno 2023, dopo il (fallito) colpo di stato in Russia del 24 scorso, giorno del nostro bel San Giovanni a Firenze, ti trovi davanti a un diffuso, sempre uguale dappertutto, racconto, abitudinariamente già scritto e acritico e senza domande: potrai così leggere la storia del golpe, la storia della Russia, la storia della guerra in Ucraina, secondo un canone che potrei dire di personalizzazione del potere, anzi della storia del potere dal punto di vista dei "capi". Si parla di Putin, di come Putin intende il potere, delle sue scelte libere e obbligate, dei suoi metodi violenti, in breve del capo Putin; idem per il "capo" Zelensky, per non dire del "capo" Prigozhin, e degli altri capi in Oriente e in Occidente. Il nome dei "capi" diventa il nome stesso di un Paese. E non sempre esiste coincidenza.
Se i giornali partecipano a scrivere la storia, ebbene questa storia è una storia di "capi" e di ogni assillo di questi. In siffatto racconto è scomparso completamente il ruolo/potere dei popoli, sono scomparse completamente le persone; la democrazia delle persone è solo un'inutile espressione. A nessuna/o, né a Oriente né a Occidente, interessa sapere quali siano veramente le preoccupazioni e i pensieri dei popoli. Che sappiamo noi, e chi scrive il racconto dei dubbi delle persone della Russia rispetto alla guerra in Ucraina? Che sappiamo noi e chi scrive il racconto delle angosce delle persone sotto attacco in Ucraina? Che sappiamo noi e chi scrive il racconto delle riflessioni accorate delle persone in Occidente, in Usa e in Europa, in relazione alla guerra e alle sue chiare e note conseguenze di morte e distruzione? Che sappiamo noi dell'idea di pace di milioni di donne e uomini in Italia e nel mondo? Nulla o molto poco; il disinteresse del mondo dell'informazione nei confronti del sapere/agire democratico delle persone tutte è inversamente proporzionale all'interesse mediatico per il "pensiero/azione" delle persone dei capi: quasi nullo il primo, alle stelle il secondo. E non ci si accorge così, maledettamente e stupidamente, di alimentare derive autoritarie dappertutto.
Siamo nel 2023 e ancora non abbiamo, qui, da noi, in Occidente, tra stati a democrazia moderna, un'idea chiara di democrazia tout court di fronte alla guerra. È ora di dar voce alle popolazioni, con referendum ad hoc, consultivi e/o deliberativi, su pace e guerra e agire di conseguenza. Bisogna mostrare al mondo la "potenza" libera della democrazia delle persone e dare un esempio al mondo dell'esistenza di persone in grado di decidere del proprio futuro, obbligando chi è chiamato a governare a rispettare la volontà generale. Si tratta di un esempio produttivo di per sé di cambiamenti, anche là dove vigono sistemi autoritari.
È difficile prevedere/dirigere la storia, ma scegliere il da farsi è responsabilità oggettiva di chi ha il dovere di decidere/scegliere, anche innovando con coraggio.
Soltanto un'ultima cosa. Il richiamarsi a una democrazia delle persone inciderà anche sulla cultura del "potere": fare la storia dei capi, sempre tutti maschi, specie in relazione alla guerra, è dare forza a una cultura già morta (forse è solo un augurio!) nella coscienza delle nuove generazioni, ma sempre pericolosa: la cultura patriarcale del maschio monocrate. Abbiamo esempi, sia pure a volte pacchiani, di questa torsione maschilista del potere (anche se a governare è una donna monocrate!); basta guardare alla storia recente degli Usa, del Brasile e, per altri aspetti (personaggi fuori "norma" democratica), della Gran Bretagna e dell'Italia.
Forse è ora di un risveglio di slancio per la democrazia delle persone.
O no?
Severo Laleo
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