Caro Scapece,
sai l’altro giorno ho preso in prestito on line, e quindi subito letto,
L’ignoranza di Milan Kundera solo per un suggerimento molto convincente
di un vecchio amico (in verità dire amico è troppo, forse è più giusto
dire compagno di studi all’università).
Vuoi sapere le mie impressioni?
All’inizio sono stato con piacere sorpreso dall’incalzare sinuoso
della sua scrittura, dalla sua attenzione alle parole, alle lingue,
alle situazioni esistenziali dei suoi personaggi intrecciate
con le situazioni della storia, e ancora colpito dalle tante domande sospese
intorno alla vita dei suoi personaggi.
Ho subito anche il fascino della struttura della trama, ben organizzata
per tenere il lettore sempre preso nelle spire dal racconto.
Per non dire di immagini di grande effetto, penso al “cineasta del subconscio”
e al suo lavorio, e penso all’”emissaria dei cimiteri”, alle pagine sulla vita
dell’uomo e della sua durata dalla quale dipende la sua visione,
all’importante presenza della “conversazione” nella coppia
e alle sue conseguenze quando si interrompe; e penso a tante altre interessanti,
ben ordite e ben dette, osservazioni,
qui e là disseminate lungo il racconto, soprattutto gestite da una sorta
di proteiforme scandaglio nei territori della memoria
e delle sue presenze/assenze/orizzonti.
Eppure, sebbene la scrittura riesca a destare la tua attenzione
e l’abilità narrativa mai stanchi, la conclusione, tutta consumata in due incontri
di sesso anomali, non convince, non soddisfa, appare un gioco facile e leggero,
evanescente, e inaspettato dopo una partenza sulla potenza del nóstos
la sofferenza dell’esule.
D’accordo, non è mestier di lettore -potresti dirmi- di scegliersi le conclusioni,
ma sarà pur libero il lettore di sentirsi insoddisfatto, o no?
Ecco, a me è successo. E vabbé!
Un abbraccio
Severo
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