La politica rischia di nuovo di impantanarsi nelle tresche
di Palazzo.
Appare ancora tutta bloccata da una prassi costituzionale costruita
ai tempi dei grandi partiti di massa, in un modo o in un altro a struttura
democratica, e spesso pensosi del bene pubblico.
Oggi, al contrario, tutto sembra tornare nelle mani di pochi “decisori”,
non tutti pensosi del bene pubblico.
Anzi nelle mani del giocatore più abilmente
spregiudicato, pronto
a ricattare, neomoderato del XXI secolo, il
Presidente
del Consiglio incaricato, con minacce di sovversivismo istituzionale,
agitando le sue carte
false; sì, false, perché il centrodestra per la prima
volta
nella storia della Repubblica è minoranza nelle aule
parlamentari
e nel Paese; e non ha più la forza di imporre le sue condizioni,
come
sempre ha fatto nella storia del dopoguerra; per questo Berlusconi
si sgola, anche da un palco di ritmi e canti napoletani, e dinanzi
a una folla
di danzatori, molti a pagamento, perché sa di essere vicino
alla sua definitiva
uscita di scena. E allora urla, perché solo
urlando può trovare forse
qualcuno che l’ascolta, anche nel Pd, anzi nel Pd moderato di Renzi.
Per la gioia piena di un Grillo visibilmente in difficoltà.
Qual è il rischio delle tresche? Che possa
nascere un Governo
di Larghe Intese, tra un partito, il Pd,
comunque a struttura democratica,
e un partito (si fa per dire!), il Pdl, a struttura, non
solo padronale,
ma completamente asservito agli interessi personali, anche
giudiziari,
del suo capo. Cioè un governo di pura difesa dei riti inciuciari
e non trasparenti di
sempre, arroccato, e sordo alle pressanti richieste
di cambiamento, esplicitamente gridato dalle urne. E tutto questo
mentre un "Movimento" per il cambiamento gongola a cinque stelle
per la rovina del Paese. E’ mai possibile?
E perché mai dovrebbe assecondare questa corsa alla rovina il Sindaco
di Firenze, Renzi, l’icona del “nuovo”, propugnatore di un nuovo modo
dell'agire politico, lontano da tresche, leale con gli elettori, e difensore
da sempre della trasparenza in politica, cioè di
quella scelta rivoluzionaria
di poter raccontare in piazza, a conferma democratica di ben operare,
quanto di
interesse di pubblica utilità si concorda nel segreto di un incontro?
Solo per tirare il suo rigore in prossime primarie?
In verità Bersani,
unico tra i segretari di partito ad aver ottenuto
una legittimazione popolare di notevole
rilievo, ha capito, dopo avere
analizzato il senso profondo del voto, con grande senso
di sensibilità/responsabilità democratica, la strada da percorrere:
presentare precisi punti di
programma per il cambiamento –questione morale
e questione sociale- a tutto il Paese, attraverso i singoli rappresentanti
in Parlamento, alla
luce del sole, senza truccare la “partita”
(uffa, speriamo
riesca Bersani anche
a evitare, per restituire “serietà”
alla politica,
tutte le metafore penosamente calcistiche della nostra politica
berlusconizzata).
Il nostro Presidente della Repubblica, rigoroso interprete
della Costituzione, e della sua consolidata prassi, ha ascoltato,
per la formazione del nuovo governo, solo i gruppi e i leader (e che leader!),
dando per scontato il voto
di tutti gli “appartenenti” secondo ubbidienza.
Non è più così. Ed è da un po' che l'ubbidienza non è sempre una virtù!
Il cambiamento, oggi, non è tanto nelle mani di questo o quel “partito”,
di questo o quel “gruppo”, quanto nelle mani costituzionalmente garantite
di ogni parlamentare. Se il Presidente insiste nel chiedere
certezza di numeri
prima di inviare alle Camere il nuovo governo, dovrebbe dare facoltà e tempo
al Presidente incaricato di procedere all'ascolto, faccia a faccia, su quei punti,
di tutte/i le/i parlamentari, perché, solo restituendo ai soggetti, in un momento
di
grande responsabilità personale, una libertà piena e
incondizionata,
senza vincoli di disciplina di appartenenza (sarebbe tra l'altro una modalità
di un parlamentarismo moderno e responsabile), è possibile dare un senso
all'alta funzione, propria di ogni rappresentante del popolo, del voto,
per appello nominale, di "fiducia".
Bisogna dunque "sperimentare" nuovi percorsi, quando i sentieri noti
diventano inagibili. Il cambiamento non può essere più nella
mani dei pochi
che trescano, a volte, solo nel proprio esclusivo interesse con la scusa di dare
un "governissimo" al Paese, con l’aggravante
dell’ipocrisia di definirsi
responsabili nella ricerca dell'accordo; il cambiamento è ora nelle mani
delle persone
che siedono in Parlamento, a qualunque gruppo appartengono,
perché ad esse
soltanto, soggettivamente responsabili, spetta il compito/dovere
di dare una fiducia “sperimentale”, da verificare in corso d'opera, a un
governo
di cambiamento, dopo vent'anni di immobilismo rovinoso.
O no?
Severo Laleo
...sì...Michele Angelicchio
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