Rispondendo,
qualche giorno fa, a un’ultima domanda
del
conduttore di Ballarò sull’essere/sentirsi di “sinistra”,
la
Ministra Boschi, sicura e senza
esitare ha risposto:
“Mi
considero di sinistra. I valori della sinistra di oggi sono
quelli
del cambiamento. Essere di sinistra significa non tanto
essere custodi
del passato ma anticipare e costruire il futuro,
quindi essere riformisti.
Cercare di impegnarsi in politica
per
rendere la vita un po' migliore per tutti, dare veramente
attuazione all'articolo
3 della nostra Costituzione”.
Anche
se dare attuazione all’art. 3 della nostra Costituzione
non
può essere un impegno solo della “sinistra”,
ma di tutti,
appunto
per dovere costituzionale, la Ministra,
nel
definire un valore in sé e per sé il cambiamento/futuro,
senza
aggiungere altre qualità ripetendo un motivo
caro
ai nuovi dirigenti del Pd, mostra un invidiabile
convincimento,
senza ironia, davvero, del suo essere,
così,
come dire, un po’ genericamente di “sinistra”.
Forse
anche per la brevità nel rispondere.
Non
sembri dunque il giudizio irrispettoso: in un paese civile
il
rispetto non deve mai venir meno per il semplice fatto
di
avere della “sinistra” (e di altro) una
diversa opinione.
O un
diverso sentire. O un diverso linguaggio
e
insieme un diverso mondo. I tempi cambiano comunque,
e
non è nelle nostre disponibilità fermare il cambiamento.
La
generazione delle madri e dei padri dei quarantenni
di “sinistra” di oggi, a suo tempo, sul
finir degli anni 60,
fu ribelle
e a suo modo rivoluzionaria, a volte molto
noiosamente,
e fu sconfitta, sempre, nell’agone del Potere,
per
colpa forse di un’opzione di forte soggettività critica,
propria
da ribelli dell’immaginazione, anche se nella struttura
profonda
della Società lasciò un segno permanente.
Ed
ebbe quella generazione il suo mondo e il suo linguaggio
di “sinistra” . E per una stagione fu anche catturata
dalla questione morale
(e democratica) di Enrico Berlinguer.
Ma
oggi quel mondo/linguaggio è fuori
tempo. Incompatibile
con
la nuova “sinistra” al Potere. Quasi
anacronistico. E qualcuno,
più moderno, potrebbe aggiungere, un mondo/linguaggio malato
di
ideologia, soprattutto con quelle sue parole grosse, obsolete,
non
più in circolazione, di libertà, dignità,
sfruttamento,
uguaglianza/disuguaglianze,
ultimi/poveri, povertà,
giustizia sociale,
partecipazione.
Eppure,
solo ieri, 2 ottobre, il Papa Francesco nel suo discorso
al Consiglio della
Giustizia e della Pace non ha avuto difficoltà
a usare le parole di una
volta per proporre il suo cambiamento
e la sua nuova speranza
di futuro.
Per Francesco “uno
degli aspetti dell’odierno sistema economico
è lo sfruttamento
dello squilibrio internazionale nei costi
del lavoro, che
fa leva su miliardi di persone che vivono con meno
di due dollari al giorno. Un tale squilibrio
non solo non rispetta la dignità
di
coloro che alimentano la manodopera a basso prezzo, ma distrugge
fonti di
lavoro in quelle regioni in cui esso è maggiormente tutelato.
Si pone qui il problema di creare meccanismi
di tutela dei diritti
del
lavoro … La crescita delle diseguaglianze e delle povertà
mettono
a rischio la democrazia inclusiva e partecipativa... Si tratta, allora,
di vincere le cause strutturali delle diseguaglianze e della povertà. …
lo Stato di diritto sociale non va smantellato
ed in particolare
il diritto
fondamentale al lavoro. Questo non può essere considerato
una variabile dipendente dai mercati
finanziari e monetari.
Esso è un bene
fondamentale rispetto alla dignità ...”
E
più avanti si trovano: “giusta distribuzione dei beni …
raggiungimento
della giustizia sociale … Visioni
che pretendono
di aumentare la redditività, a costo della
restrizione del mercato
del lavoro che crea nuovi esclusi, non sono conformi ad una economia
a servizio dell’uomo e del bene comune, ad una
democrazia inclusiva
e
partecipativa.. … è necessario tenere viva la
preoccupazione
per i poveri
e la giustizia sociale”.
Forse
non c’è proprio da vergognarsi se si continua a tener viva
anche
una vecchia idea di “sinistra”.
O
no?
Severo
Laleo
P.S.
Titolo
“La Stampa”: Il
cardinale Rodé: «Il Papa è troppo di
sinistra». Già!
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