mercoledì 16 novembre 2016

La ferita insidiosa del referendum della discordia. Lettera a un amico




Carissimo mio amico, ti ricordi?, era già successo. Ai tempi di Berlusconi.
Ai tempi cioè della divisione netta del Paese tra berlusconiani
e antiberlusconiani. E ricorderai, i “vecchi”, i quali pur avevano vissuto
le lotte furibonde tra democristiani e comunisti in difficili periodi
elettorali, mai avevano registrato una portata di risentimento personale
così esacerbante gli uni contro gli altri come con Berlusconi imperante,
quando a  dominare il linguaggio politico non era la vita reale delle persone,
ma il “corpo” di Berlusconi. La “vita” di Berlusconi. E il suo Potere.
E mai era successo che un’intera classe politica fosse così suddita
e serva e prona nei confronti del suo “Capo”, da votare in Parlamento
la macroscopica, indigeribile bugia, nostra vergogna perenne:
Ruby, nipote di Mubarack!”.
E tutto è successo, noi ben sappiamo, perché la logica del Capo
non è una logica della Democrazia.
I tempi di Berlusconi sono stati grevi e duri per divisione politica,
anche all’interno di interi gruppi familiari, dove la continuità degli affetti
non sempre è stata più forte della divisione politica, con liti ad personam:
o con Berlusconi o contro Berlusconi!
Per fortuna per noi, con Berlusconi la divisione attraversava due campi
ben distinti: centrodestra e centrosinistra, pur con i soliti interessati
transfughi e trasformisti, genìa molto italiana (in Italia siamo facilmente
di destra o di sinistra senza essere mai stati prima “liberali”;
si preferisce il tifo e l’accucciarsi silenzioso alla militanza critica,
soprattutto, ben sai, per un avvilente danarismo!).
Ma noi, caro amico, in quei tempi si era, anche con personali differenze,
insieme a difendere la Costituzione contro i pericoli di una svolta
nella direzione della governabilità contro rappresentatività.

Sembravano finiti quei tempi! Invece no! Che è successo ora?
Ancora una volta troppi si insultano e si dividono, ancora su una persona,
un “Capo” (l’onnipresente Renzi e/o il dietro le quinte Napolitano?),
un “Capo” comunque, ancora una volta innovatore costituzionale
(anche Berlusconi scese in campo per innovare, anzi per guidare una “rivoluzione”),
ma non in grado di capire la stridente e pericolosa contraddizione
di una riforma valida comunque per tutti, ma decisa con forza
(una forza ammirata dai seguaci plaudenti) solo grazie ai numeri
di una maggioranza gonfiata da una legge elettorale incostituzionale,
il Porcellum, e da alleanze non sempre alla luce del sole.
Eppure questa volta la divisione è più acerba, più pesante,
più tracciante sofferenze, perché giunge a separare amici
e compagni di una vita. E a volte padri e figli.
Viene a produrre ferite proprio nel corpo di quanti per una vita
hanno creduto di avere valori comuni; e condivisione di comportamenti,
grazie a tanti scioperi insieme, a tante manifestazioni corali.
Soprattutto a difesa della Costituzione e del controllo democratico
di ogni sua “riforma”.

Quanto uniti, e forti di un’idea di democrazia integrale,
si era, ricorderai benissimo, ai funerali di Berlinguer?
E’ vero, cambiano i tempi, la società, le persone, i nomi,
ma può mai cambiare, senza una riflessione comune
e ponderata, la direzione di marcia verso l’estensione della democrazia
con un’inversione verso la sua riduzione?
Questo è cambiare verso?
Abbandonare la scelta antica, e densa di proposte, di essere con gli ultimi
e i poveri, per stringere legami teneri e arrendevoli con i primi e i ricchi?
E che ricchi!
E ora? Ora, caro mio amico, si scoprono, quei “compagni”, a difendere,
comunque sia, visioni differenti e contrastanti della “democrazia”,
a vedere il male dove per anni hanno situato il bene, a subire,
solo ascoltando, metodi diversi di argomentare, stili di comunicazione
chiassosi, sfottenti, sarcastici, zeppi di slogan, dopo aver partecipato,
per una vita, tutti insieme e di persona, alla formazione della comune
cultura politica, solidale, magari fumando troppo, dopo aver con pazienza
rinunciato, se non tutti, molti almeno, in attesa di tempi migliori,
a battersi, ad esempio, a difesa dell’art. 18 (nel suo significato reale
di rispetto profondo della persona nel lavoro),
o per una scuola libera da ogni condizionamento burocratico
(i nuovi dirigenti scolastici, parecchi oggi felici per il “nuovo potere”,
pronti a intervenire per “contenere” la costituzionalmente protetta
libertà di insegnamento, non s’accorgono di essere tornati a reggere
un meccanismo facilmente dall’alto controllabile e guidabile,
ad opera di una nuova burocrazia di servizio).
Una divisione, non per argomenti, ma tra persone, artefatta, cercata,
costruita proprio in un campo, il campo delle regole, nel quale tutti,
proprio tutti, almeno tra quanti accettano l’idea di “regola”,
hanno diritto di arare. Cui prodest? Perché tanto diffuso astio?
Ha una sua origine? Interna o anche esterna? Potrà produrre nuovi ideali?
Dove è stato nascosto/confinato il “Bene Comune”?
E’ così breve e labile la nostra memoria?

Infine tanta amara divisione solo per una lotta per il Potere
(a sentire le accuse, senza pudore, vicendevoli, degli uni contro gli altri),
soprattutto da gran parte delle classi dirigenti ora guerreggianti,
indifferenti per consolidata cultura (si fa per dire!) al Bene Comune.

Quando si è votato nel 2013, tutto questo non era né in programma
né immaginabile. E se per “vincere” la sfida epocale (nuovi o vecchi,
gli italiani si divertono con la sceneggiata) si perde il senso del limite,
se si cede all’oltraggio, forse la strada per la discordia, irreversibile,
è già aperta. E se una deriva autoritaria è in futuro probabile, oggi
è già in atto, da ogni parte in guerra, una deriva sfrontata e insolente.
Per questo, per evitare di dare il mio contributo a questa deriva,
carissimo amico mio, credo giunga utile il conforto del (mio) silenzio.


O no?
Severo Laleo


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