E’ tarda serata. Il Leader è solo davanti al suo palco.
E continua a parlare da Leader, proprio nel giorno nel
quale si celebra,
senza ombra di dubbio, la sconfitta (non si illudano gli
altri Leader!)
del leaderismo italiano, inventato, all’improvviso, grazie
a un vuoto della Politica,
nel centrodestra, da Berlusconi,
e ora, appunto, condotto a termine,
nel centrosinistra, da Renzi. Insieme, Berlusconi
e Renzi,
cumulando sulla propria persona di “Capo” ogni “attenzione”
hanno introdotto nella politica la categoria
dell’amore/odio
per il Capo. E la parola “capo”, nel suo antico significato,
ha trovato persino la sua spendibilità linguistica, non a
caso,
proprio nell’Italicum
(art. 2, comma 8).
Il senso diventa: o con me o contro di me, la negazione,
cioè, nel profondo, dell’agire politico in sé.
E, per imitazione del berlusconismo, durante tutti questi
anni,
si è visto un pullular di leader dappertutto, in ogni forza (si fa per dire!)
politica, purtroppo anche a sinistra, nella sinistra
delle “persone”.
Il 4 dicembre segna la fine definitiva di un ciclo.
E’ possibile, ed è necessario, cambiare, perché il
cambiamento
ha ora una sua data di inizio. E’ davanti a noi, e, soprattutto, nasce dal basso.
E contiene, è vero, insieme ad altre strumentali ragioni, a volte indifendibili,
il segno forte di un attaccamento sincero alla Costituzione del 1948,
a prescindere da vecchi e nuovi leader. Nella cabina conta solo
la propria coscienza e non l'apparteneza a un leader.
L'amore per la libertà è più diffuso di quanto si immagina.
Il cambiamento è costruire una comunità a sovranità conviviale,
una democrazia tra pari, in dialogo continuo tra le parti,
nel rispetto di una cultura
del limite, con una leadrship di servizio
e di coordinamento, precondizioni fondamentali per garantire il dovere
di deliberare. L’impegno è di gran fatica e non tollera
scorciatoie.
E non può essere affidato a una persona sola e a un solo
sentire.
E in più il campo è pieno di faccendieri, sempre attivi.
Basta con schiere di sudditi plaudenti. E molto
interessati.
In Campania, al De
Luca delle fritture, il 68% delle persone
ha detto
un No di “cambiamento”,
a difesa di libertà e dignità.
E dignità e libertà passano per un lavoro non precario,
per un’occupazione piena, per un reddito sicuro per ogni
persona
(e la sinistra ha una lunga storia, ora muta, a questo
riguardo),
per un sistema fiscale adatto a una più equa
redistribuzione di reddito,
per un sistema di regole per l’estensione della
democrazia,
per un sistema sociale inclusivo, di cura e di sostegno,
per una scuola democratica già nella sua organizzazione,
per un investimento importante nella ricerca da aprire
largamente
a persone giovani con reali prospettive di vita,
per un sistema di regole, infine, per la parità piena,
senza quote,
di uomini e donne in ogni sede di decisione pubblica.
Il Leader è solo davanti al suo palco e apre il suo
discorso alle dimissioni,
ancora reclamando, commosso, con enfasi, una sua
personale diversità.
Una diversità
non del tutto vera, se appena si guarda,
con una qualche attenzione ai dati, alla storia dei
Governi in Italia.
Pienamente vera, al contrario, appare la sua personale
soddisfazione
per leggi non note al grande pubblico, ma socialmente
incisive
nel cammino della civilizzazione di un Paese. E ha ragione.
Eppure, proprio il leader-solo-al-comando
esce di scena
aprendo con i suoi atti un nuovo ciclo politico. Almeno a chi sa intendere.
Il suo
uscire dalla scena pubblica è
un entrare, con un abbraccio alla sua donna,
nella sfera del privato, dell’accoglienza pronta e piena,
è un passaggio dall’arroganza del comando, alla
condivisione dell’amore,
dal palco del leader solitario, al rifugio di una condivisione
d’affetti,
in un rapporto alla pari con la persona del suo mondo
reale,
e finalmente, almeno nel privato, l’Io diventa un Noi.
Ora se anche i decisionisti dinamici tengono e curano il
proprio rifugio,
e comprendono la parità della relazione, e la sua
necessità,
qualche insegnamento in Politica si può ricavare, specie
se la Politica
è ancora relazione corretta
tra persone e non rottamazione.
Non è forse l’essenza della Politica il garantire un “rifugio”
a chi ne ha bisogno, chiunque sia, dovunque si trovi?
La scena è davanti a tutti.
In un angolo Agnese
(e chiedo scusa se sembro usare il nome
con una confidenza indebita, ma qui Agnese è un simbolo),
silente e serena, con un suo sorriso tenue di dignità,
disegna, nella sua presenza/espressione, l’immagine della
civiltà,
del grado di maturità di un processo di civilizzazione,
fuori da ogni campo di battaglia, e di pretesa di
vittoria,
e, insieme, disegna il superamento definitivo del
monocratismo,
dell’uomo solo al comando, del leaderismo maschio,
in nome di un’altra Politica, senza muscoli e senza l’ossessione
della vittoria. Perché alla fine la fragilità è per
tutti.
Il Paese non cambierà se inseguirà un nuovo Capo,
il Paese cambia davvero se crescerà insieme nella
responsabilità
imparando liberamente a “contare” sempre più nell’esercizio
del dialogo democratico. Meno capi e più scuola, più
istruzione,
più educazione e, perché no?, una “patente” con severo esame,
per amministratori pubblici. Guidare un Paese è più
importante
di guidare un’auto. Forse il nuovo ciclo politico per una
democrazia tra pari
avrà il volto/monito civilissimo di Agnese.
O no?
Severo Laleo
P.S. Si trascrive qui di seguito una utile nota trovata nel libro
di Pierre Bourdieu, Il dominio maschile, a pag 93: "E' stato spesso
osservato che le donne svolgono una funzione catartica e quasi terapeutica
di regolazione della vita emotiva degli uomini: calmano la loro collera,
aiutano ad accettare le ingiustizie o le difficoltà della vita ecc.
(cfr. per esempio N.H.Henley, Body Politics, Power,
Sex and Non-verbal Communication...