Gentilissimo
Direttore Calabresi,
pur
apparendo Lei, a mio parere, in ogni occasione, persona educata, garbata,
quasi mai
di parte (almeno non faziosa), ascoltabile con serenità,
con l’editoriale
di oggi, pur insieme a una veritiera condivisibile analisi
sulle
macerie della sinistra (anche se da
analista, per capire un futuro
di
concordia, avrebbe potuto aggiungere qualche parola sull’origine
di
tanta determinata, rozza e amara rottura), Lei, ripeto, con l’editoriale di oggi,
butta
all’aria, a mio leggere, la sua garbata educazione, la sua “neutralità”
di
mestiere (la persona non è mai “neutrale”)
e soprattutto la sua
“ascoltabilità” serena.
D’accordo,
dunque, sulle macerie della sinistra
e sulla sua dispersione,
sul
suo smarrimento. Ma quali le ragioni?
Se si
è persa la coesione sociale e la
capacità di progettare il futuro
non è per un destino cinico e baro; è stata, da ultimo, la
conseguenza di una scelta
politica di rottura chiara fin dall’inizio (il
riferimento è alla galassia del centro
sinistra). Vede, gentilissimo direttore, quando
un aspirante al Potere
guarda le altre “persone” (so che dà al termine persona il
suo pregno
significato filosofico e giuridico), sia pure avversari, sotto la
luce
della “rottamazione” e dell’”asfaltatura”, non c’è da essere sereni
(infatti!).
E la
stampa, a suo modo, lodò questo approccio in qualche modo violento
e populista al
Potere. E non solo la stampa: la lode giunse anche da tanti delusi,
giustamente, di
una politica fuor di senno, lontana dai problemi reali delle persone.
Ma chi
ama rottamare e asfaltare (non parlo di Renzi,
la “persona”
Renzi non c’entra, c’entra
la “Politica”) per il bene pubblico è una rovina,
è la perdita del dialogo legittimante, è un
cedere alla forza, sino ad alimentare
un’idea di “eliminazione” politica. Anche con "imboscate" (ma Prodi perdona!)
A rovinare la campagna elettorale non è stata quindi la materia del bicameralismo
(non bisogna aspettare tempo per veder
bene), ma proprio il carico aggiunto
di “significati
altri”; ed è qui che bisogna fermarsi e esercitare il pensiero
critico per
capire il perché di una divisione di una comunità, della freddezza triste
tra
amici, di discussioni antipaticamente litigiose in famiglia. E l’estensione
dell’analisi è utile, specie se si crede nella possibilità di ricucire il
Paese,
soprattutto con l’obiettivo di evitare che l'idea stessa di futuro possa
essere
“declinata in nome di un interesse
personale e mai al plurale”.
E fin
qui, gentilissimo direttore, la sua ascoltabilità
è garantita, parzialmente
condivisibile ma ancora serena. Eppure all’improvviso
il suo tono cambia, non è più
di analisi, ma diventa quasi di invettiva e il suo garbo e la sua
neutralità vanno
in pezzi. E scrive, dimenticando le “persone” in carne ed ossa, di “retorica
della resa dei conti, dei tavoli da rovesciare, dei palazzi da abbattere”
che “ha annebbiato le menti e conquistato
le viscere. Una retorica che
andrebbe respinta con fermezza, con razionalità e
con cui non è possibile
flirtare, anche perché è una bestia (sic!) che non si fa addomesticare
ma sbrana (sic!) chi prova a giocarci”.
Direttore!
E continua: “Se a sinistra non si mette
mano a tutto questo, il rischio
è di consegnare l'Italia alla sfida tra due
populismi, uno più propriamente
di destra - con la scommessa di Matteo Salvini
di conquistare l'intero
campo conservatore grazie alle primarie - e uno post ideologico
rappresentato dal movimento di Beppe Grillo. Due populismi isterici (sic!)…”
Anche
qui forse avrà qualche ragione di preoccupazione, perché la diffusa rabbia
è
cattiva consigliera, ma dimentica che in Italia i populismi sono tre:
il
primo, di governo, praticato per tre anni da una maggioranza non nata
da una scelta
democratica del popolo, insegue la buona amministrazione
alla De Luca;
il
secondo, per ora urlato dalla Lega, con gravi atteggiamenti contraddittori
contro
l’idea universale di “persona” per
proteggere altre “persone”
sulla base
di un territorio, insegue la chiusura della sicurezza;
il
terzo, irridente nelle piazze con il vaffa, ha generato a Torino
l’Appendino
e a Roma la Raggi (e non sembrano
per ora “sbranare” nessuno).
Perché
una società possa “tenere” in termini di coesione sociale e di rispetto
reciproco tra persone, il dialogo deve essere tra tutti, perché, per usare
le
parole di Guido Calogero, “l´unità
della democrazia è l´unità degli uomini
che, per qualunque motivo, sentono
questo dovere di capirsi a vicenda
e di tenere reciprocamente conto delle
proprie opinioni e delle proprie preferenze.”
Per
questo non perda la sua “neutralità”
di mestiere con ritenere
il SI preferibile al NO, solo perché il NO, ammonisce,
“se lo intesterà tutto Grillo,
pronto a
lanciare la sua sfida finale al Pd, e non ci si illuda che possa essere
un
momento catartico di rifondazione di una nuova sinistra ideale”.
Forse,
gentilissimo direttore, la democrazia è l’essenza di questa sfida
(sempre se nel
rispetto di una cultura del limite nonviolenta).
O no?
Severo Laleo
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