Alla fine arriva anche l'endorsement dell'Organizzazione per la Cooperazione
e lo Sviluppo Economico (Ocse) al Sì al referendum. Per
l’OCSE, si legge su HP,
"la riforma costituzionale, oggetto di un referendum
costituzionale a dicembre,
sarà un passo in avanti nel processo di riforme e
rafforzerà la governance
politica
ed economica"
dell'Italia. Ecco la parola magica, da svelare: governance.
Perfetto. L’OCSE non imbroglia; scrive la verità “la riforma rafforzerà
la governance”. Ogni parola invia a un’immagine all’apparenza virtuosa:
riforma, rafforzare, governance. Perché non
essere d’accordo?
Ma cos’è la governance? Qual è la storia della
parola?
Quali sensi impliciti contiene?
Governance è parola nuova per la
lingua italiana. Nasce nel mondo aziendale
e imprenditoriale, e almeno
inizialmente significa “modo di dirigere,
conduzione”,
in particolare indica “il metodo e la struttura
organizzativa
con la quale si distribuisce il comando tra i dirigenti di un’impresa” (Treccani.it).
Rapidamente, con il passar degli anni, il significato s’allarga
all’insieme
“dei princìpi, dei modi, delle procedure per la gestione
e il governo di società,
enti, istituzioni, o fenomeni complessi, dalle rilevanti
ricadute sociali”.
Niente di più. Tutto dentro un quadro di riferimento
tecnocratico.
Aziendale. Imprenditoriale. Gestionale.
Ma le Costituzioni si scrivono per definire principi,
diritti, doveri
e limiti al Potere, per la salvaguardia della piena
libertà
di partecipazione/decisione della sovranità di ogni
persona,
non per rafforzare
la governance.
Ma dove è finita la nostra cultura costituzionale e
democratica?
Se si rafforza la governance con la riforma, i SI
brindano,
perché credono di aver “semplificato” il governo di un Paese,
perché assimilano/confondono il Paese con un’Azienda,
e chissà, il Premier con l’Amministratore Delegato,
il Consiglio dei Ministri con il Consiglio di
Amministrazione
insieme alle sue procedure di rapida decisione in un
mondo
a concorrenza spinta (spietata).
La politica non c’entra. La democrazia, poi!
Specie se “l´unità
della democrazia è l´unità degli uomini che,
per qualunque motivo,
sentono questo dovere di capirsi
a vicenda e di tenere reciprocamente conto delle
proprie opinioni
e delle proprie preferenze.” (Guido Calogero)
Se anche l’OCSE si accontenta ormai del semplice “rafforzamento
della governance” a scapito della complessità della mediazione politica,
chi
resta a difendere la democrazia e le sue relazioni? Forse solo le persone
del NO,
incorreggibili e testarde nel difendere il processo di estensione
della partecipazione politica
corale nel rispetto non della governance,
ma della vita delle persone in carne
ed ossa.
O no?
Severo Laleo
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