La dolorosa, sconvolgente uccisione della giovanissima Giulia
Cecchettin,
un femminicidio
insopportabile, anche per le sue penosissime modalità,
disegnato/scavato
dapprima in una mente senza “confini” e poi portato
a termine, nei suoi
conseguenti atroci atti, da parte del suo giovanissimo
(ex)fidanzato, ha
aperto un ampio, sofferto e partecipato, dibattito,
questa volta
tempestivamente anche nel mondo della politica, alla ricerca
di cause/colpe e di
possibili interventi/rimedi.
In verità un po' tutte/i siamo chiamate/i a
prendere la parola
per tentare di "fare qualcosa", ognuna/o nel suo ambito,
piccolo o grande.
Siamo tutte/i coinvolte/i in qualche modo.
E tutte/i abbiamo
paura del ripetersi senza fine di così tanto dolore
e cerchiamo le
necessarie analisi e le possibili vie d'uscita, perché
non capiti mai più
a nessuna altra donna.
Il Patriarcato
La cultura
patriarcale è alla base di un implicito distorto fenomeno
di formazione di
tantissimi (tutti?) maschi ancora oggi, pur con differenti
gradi regionali, nel
nostro paese, e non solo.
Non sono necessarie
lezioni, incontri, seminari, perché la cultura patriarcale
venga trasmessa,
bastano le "cose", i "fatti", il "linguaggio"
e le istituzioni.
Dentro questo
ambiente, più o meno, pur intessuto di tante variabili,
si respira l'idea che il potere
del maschio sia preponderante e non ammetta
"sconfitte", anzi, di più, si
ritiene, sia legittima anche la violenza
per mantenere quel "potere",
fino all'eliminazione dell'altro
(nel senso comunque di "oggetto").
Il patriarcato è chiamato in causa molto frequentemente nei
casi
di femminicidi, e non a torto,
perché la cultura patriarcale, tramando
nell'ambiente, educa alla violenza,
palese e/o latente,
sì da non comprendere, quando scatta la violenza, se sei
tu libero
di colpire l'altro o sei tu il riflesso condizionato di una "situazione".
Ma da solo il
patriarcato non può essere la causa del femminicidio.
Sul punto scrive
parole condivisibili e convincenti G. Pasquino
su Domani (22 Nov. 2023).
Eppure si deve comunque alla strutturazione
del potere secondo la visione
patriarcale l'idea del Capo, dell'Uno
(quasi sempre maschio), del Capitano, del
Duce, del Condottiero,
del padrone/padre, cui servire/ubbidire è un bene. E questa
visione è
da tutte/i, sia pure a diversi livelli, inconsapevolmente
interiorizzata.
Per immaginare una società nonviolenta, al di là
delle dichiarazioni
di principio, sempre
utili, e degli interventi per attenuare
le disuguaglianze è anche necessario
immaginare/fondare nuove strutture
di potere oltre i dispositivi
istituzionali della cultura patriarcale.
Altrimenti i maschi alla
“Trump” sono sempre in
agguato,
anche in libere elezioni.
La violenza della
guerra
Per eliminare la violenza sulle donne è tempo di
riflettere, e agire
di conseguenza anche a livelli
internazionali (Onu, in primis),
per interrompere sul nascere ogni
ipotesi di guerra.
C'è
forse ancora necessità di dimostrare che la guerra con le sue
conseguenze di devastazioni e di morti colpisce con la sua violenza
senza limiti soprattutto le donne?
La guerra, si può
dire senza ombra di dubbio, è soprattutto una violenza
sulle donne,
avvolgente tutte le donne: crollano case e palazzi e a subire
questa
violenza di distruzione sono soprattutto le donne, muoiono bimbi/e,
fratelli, padri, sposi e a essere colpite dalla violenza della morte
sono
soprattutto le donne, cadono le bombe e a subire la violenza
della fuga
sradicante sono soprattutto le donne.
Vittime della
violenza della guerra non sono i maschi strateghi e potenti,
non sono i
combattenti armati, se non in parte e secondo calcolati rischi,
al contrario, sono
soprattutto le persone disarmate e fuori dal campo
di battaglia.
Il femminismo, in
questo caso la libera coscienza femminile, non offre
cittadinanza alla pratica della
violenza di guerra.
La diserzione abita nobilmente la visione pacifista di tanti
femminismi.
E forse la maggioranza delle donne, proprio perché in grado
di
comprendere il dolore universale generato dalla violenza esprime
una
contrarietà netta, diffusa e consapevole contro la guerra.
Sono troppe le donne
che piangono con cognizione di causa la guerra.
Una violenza da
eliminare. La violenza/guerra appartiene ai "maschi".
Educare alla
Parità
Molte voci si spingono a chiedere con sincera intensità
una totale
inversione nell'educazione tout court delle nuove
generazioni
a scuola, condannando, in ambito
relazionale, l'educazione fai da te individuale/familiare/social(e) e sostenendo un
reale, ben chiaro
nei suoi obiettivi, quanto più possibile
condiviso, progetto
culturale/formativo; infatti -ci si chiede- se
l'educazione fino ai giorni
nostri ha lasciato alle
famiglie, ma soprattutto al caso/caos
delle situazioni/condizioni sociali e ai casuali
incontri, un'improbabile
educazione alla parità e all'affettività, è necessario, al
contrario,
fin dalla scuola materna, educare bimbi/e a conoscersi
e rispettarsi in
parità. E così continuando nelle diverse fasi
della crescita.
Non c'è dubbio,
l'educazione tout court e l'educazione di genere
(alla parità, all'affettività,
alla relazione) in particolare può diventare
il grimaldello più
potente per il
controllo/eliminazione della violenza
del maschio sulla donna.
E lungo questa
strada bisogna agire anche con adeguati investimenti.
Non si può non
essere d'accordo.
La "cultura
del limite"
Altre/i insistono sull'idea di abituare le
giovani generazioni,
sin da piccole/i, a scuola e in famiglia, a
porsi il senso del limite.
Scrive sul Fatto M. Lanfranco: "Insegnare il senso del limite
agli uomini,
fin da piccolissimi, non è limitare, vietare o
impedire: significa offrire
il margine e il confine sul quale
costruire relazioni sane e equilibrate,
nelle quali sono
valide e apprezzabili tutte le voci e i desideri in gioco."
Non si può non
essere d'accordo. Ma educare al senso del limite
significa anche
intervenire su tutte le situazioni di disparità
nella società a
ogni livello, economico, sociale, culturale.
La cultura del limite non è una scelta in ambito personale,
è alla base di un
processo di civilizzazione verso una società
nonviolenta fino a eliminare la
barbarie delle guerre.
E sull'Avvenire, con parole forse più
accorate, scrive R. Mensuali:
"Il maschio violento è un uomo
per cui il mondo e la vita coincidono
con la propria esuberante e immediata natura.
Ciò che ci salverà,
allora è la cultura di un "bordo" e
di confini.
La base solida di
una rinnovata "scuola" sentimentale dovrà essere
una sorta di "teologia
del confine"....Bisogna imparare ad accettare
e far emergere il
valore di un "bordo",
nelle relazioni umane.
Di un limite. Non è una barriera, il bordo,
è un confine che
chiama all'impegno e alla responsabilità di conoscerlo,
prima di
attraversarlo, di rispettarlo senza scavalcarlo e di amarlo
senza
calpestarlo”.
Parole perfette
anche per questo blog.
La "paura" degli
uomini
Gli uomini, in verità, dicono altre/i, nonostante siano
da sempre immersi
nel continuum
culturale della forza/dominio dei modelli virili, quando
si scontrano con la
libera determinazione della donna che credono
"propria", hanno paura di
perdere il "potere" e, di fronte al nuovo stato
di
frustrazione e insicurezza,
possono cedere alla violenza.
C'è del vero, ma non è tutto.
In ogni caso
l'invito a "scardinare le gabbie dei modelli di genere" e
a
"accogliere la libertà"
(Serughetti) è un passo necessario e decisivo,
ma non da affidare, purtroppo, alla sola
buona volontà/disposizione
delle singole persone. Forse sono
necessarie innovazioni di genere
nelle strutture di potere.
L'impegno dei
"maschi" a manifestare
A difendersi dalla violenza dei
maschi sono le donne e sono
anche le donne a voler gridare in
piazza in mille manifestazioni
la rabbia/dolore da una parte, in quanto "oggetti"
di violenza,
e la gioia lucente dall'altra nel reclamare il diritto di essere
soggetti liberi,
con la libera determinazione nella relazione, con la libera
convinzione
della parità di genere.
Eppure sono anche tanti gli
uomini disponibili a scendere in piazza
per essere coinvolti nella
grande manifestazione per l'eliminazione
della violenza sulle donne,
aprendo all'interno della "comunità" dei maschi
un
dibattito alla ricerca di tutti gli
elementi/segni/atti di potere/sopraffazione
sulle donne
interiorizzati in secoli di cultura
maschilista e patriarcale.
E' questo scendere in piazza un contributo molto forte al fine
di offrire
esempi di autocritica operante alle nuove generazioni.
Perché il
manifestare in piazza esprime la volontà, dichiarata e praticata,
di un cambiamento
culturale fondato sul reciproco rispetto nella relazione
uomo/donna.
La
parità (visibile) nei "luoghi" del potere
Oggi alla
manifestazione organizzata da Non Una di Meno torna
questa
consapevolezza: "Gli uomini uccidono perché possono,
e non
solo perché sono educati a
farlo, ma perché viviamo in una struttura
in cui il potere è ancora maschile.
Non voler intervenire su questo porta
a interventi cosmetici nel migliore dei
casi, dannosi nel peggiore".
Il potere è ancora maschile è
una verità. E maschile dappertutto
è la sua visibilità. E la visibilità
educa più di tante parole.
E' ora di riflettere, almeno da
parte dei femminismi, sull'organizzazione
del potere a ogni
livello, soprattutto a livello istituzionale, individuando
possibili percorsi di
superamento delle istituzioni finora sperimentate
e date per
"naturali" (e naturali non
sono, anzi paiono non rispettare
la natura!).
Se "i sessi
sono due" e hanno pari dignità, non si comprende perché
nell'organizzazione
del potere, tutto ancora fondato sulla cultura
maschilista, non si debba
superare il monocratismo (costruito
dal/sul sesso forte), esito
storico-istituzionale di quella cultura,
con il bicratismo di genere.
La “coppia”
diventa così un “luogo” di "potere", ora dialogante,
all’interno del
quale la "scelta", qualunque sia, non prevede
l’eliminazione
dell’altro. E tutte/i si interiorizzerà un altro modo di intendere la relazione.
La sostituzione dell'"uno"
(maschio) con il "due" (maschio/femmina)
nelle strutture di potere aprirebbe
a una nuova visione antropologica
e potrebbe contribuire
all'eliminazione della violenza di un sesso
(il maschile) sull'altro
sesso (il femminile), educando "dal vivo" le nuove
generazioni all'idea della comune, pari responsabilità tra i sessi.
O
no?
Severo Laleo