martedì 1 maggio 2012

L’incapacità opaca del maschio e la libertà lucente della donna



Il maschio cresce, ancora oggi, con l’idea, d’antica tradizione culturale,
di diventare “capo” e “padrone”, abile/pronto a decidere
per il “bene” suo e degli “altri”, in autonoma solitudine,
e non sopporta conflitti e contraddizioni al “suo” volere,
specie nel fragile campo dei sentimenti  (quando anche a scuola 
si aprirà un qualche spazio all’educazione sentimentale!),
e non è per niente abituato, se non espressamente educato, alla codecisione,
alla pari, specie con l’altro sesso.
E la violenza, facile, entra a dirimere i contrasti.
Ma la società tutta, ancora oggi, in Italia e non solo, è strutturata
sull’idea di “mondo” costruita e organizzata dal maschio,
con la “sua” visione, con i “suoi” riti, con la “sua” concorrenza,
senza limiti.
Ed è questo il peso più insopportabile del maschilismo,
e della sua intrinseca violenza,
anche quando a interpretare/esercitare strutture “maschili” è una donna.
Il maschio, anche se ben educato, ha ancora un’opaca incapacità
a costruire rapporti alla pari con persona diversa dalla “sua” identità:
non esistono, così, rapporti alla pari tra ricchi e poveri, tra uomini e donne,
tra “capi” e “sudditi”, tra “normali” e “diversi”.
Anche se l’idea di “persona” esiste da un po’ di tempo!
Siamo il paese, del resto, unico al mondo, dei “servi liberi”,
di chi, cioè, “libero” decide di farsi “schiavo”; è come dire:
se una donna diventa “serva libera” di un uomo/capo/padrone,
tutto s’aggiusta e cessa anche ogni violenza.
Ma per fortuna la libertà delle donne è lucente
e forse illuminerà il mondo nuovo.
O no?
Severo Laleo

Anche per questo accolgo l’appello/invito contro il femminicidio


Cinquantaquattro. L’Italia rincorre primati: sono cinquantaquattro, dall’inizio di questo 2012, le donne morte per mano di uomo. L’ultima vittima si chiama Vanessa, 20 anni, siciliana, strangolata e ritrovata sotto il ponte di una strada statale. I nomi, l’età, le città cambiano, le storie invece si ripetono: sono gli uomini più vicini alle donne a ucciderle. Le notizie li segnalano come omicidi passionali, storie di raptus, amori sbagliati, gelosia. La cronaca li riduce a trafiletti marginali e il linguaggio le uccide due volte cancellando, con le parole, la responsabilità. E’ ora invece di dire basta e chiamare le cose con il loro nome, di registrare, riconoscere e misurarsi con l’orrore di bambine, ragazze, donne uccise nell’indifferenza. Queste violenze sono crimini, omicidi, anzi FEMMINICIDI. E’ tempo che i media cambino il segno dei racconti e restituiscano tutti interi i volti, le parole e le storie di queste donne e soprattutto la responsabilità di chi le uccide perché incapace di accettare la loro libertà.
E ancora una volta come abbiamo già fatto un anno fa, il 13 febbraio, chiediamo agli uomini di camminare e mobilitarsi con noi, per cercare insieme forme e parole nuove capaci di porre fine a quest’orrore. Le ragazze sulla rete scrivono: con il sorriso di Vanessa viene meno un pezzo d’Italia. Un paese che consente la morte delle donne è un paese che si allontana dall’Europa e dalla civiltà.
Vogliamo che l’Italia si distingua per come sceglie di combattere la violenza contro le donne e non per l’inerzia con la quale, tacendo, sceglie di assecondarla.

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