mercoledì 16 aprile 2025

Si vis pacem para democratiam

 "Vedo nel triangolo Usa, Cina, Russia la presenza di diversamente fortissimi e deprecabilissimi elementi, congiunturali e strutturali, di autoritarismo. Credo che la conclusione adeguata del come reagire se vogliamo la pace consista nel suggerire, richiedere, cercare di introdurre elementi di democrazia, di diritti e doveri e loro osservanza, nella pratica interna e nel sistema/ordine internazionale. Si vis pacem para democratiam".

Così oggi chiude il suo articolo Gianfranco Pasquino su Domani. E da pacifista convinto, e non a corrente alternata, trovo la proposta nuova e da accogliere subito, anche se è difficile immaginare possa avere successo in questi tempi di crisi della democrazia. Rimane cmq un memento importante per il futuro, si spera prossimo.

Eppure al termine "democratiam" si potrebbe aggiungere l'aggettivo "paritaria", nel senso di una democrazia costruita, a ogni livello, dalle assemblee/parlamenti alle sedi di giunte/governi, su istituzioni dove la presenza di uomini e donne sia perfettamente alla pari, sino ai vertici, dove al "singolare" (il capo o la capa: monocratismo) si sostituisca il "duale" (bicratismo: un uomo e una donna).

Perché? Perché l'attuale assetto istituzionale è figlio esclusivamente della cultura maschilista/patriarcale e ha certo bisogno di una riforma.

E una conferma dell'origine maschia delle istituzioni può leggersi anche nell'articolo di Pasquino, inserito in un dibattito da altri aperto e più ampio. In realtà -si racconta- i tre leader mondiali, Donald Trump, Xi Jinping e Vladimir Putin sembrano ormai coinvolti dentro una "sfida" tutta di tipo machista, quasi imprigionati da una necessità culturale ad personam. E in questa sfida, scrive Pasquino, "chi si dimostra chicken, vale a dire fifone, sarà costretto a lasciare la guida di quel sistema politico, a maggior ragione se l'aveva conquistata promettendo il ritorno della grandezza del passato".

Se questa è la realtà (con i conseguenti gravissimi rischi per il mondo intero), è forse il caso di incrementare sì le regole della democrazia, e soprattutto nella direzione della parità uomini/donne, almeno per superare i limiti propri di una visione solo maschilista del "potere". E potrebbe il "potere" stesso esser visto forse come un "bene" (e non più come un "male").

O no?

Severo Laleo

martedì 15 aprile 2025

Femminismi di tutto il mondo unitevi! (per il bene comune)

 Leggo oggi con grande interesse e sconcerto l'articolo di Nadia Urbinati su Domani, 15 Aprile, dal titolo "Violenza sulle donne. La destra contribuisce a un'ideologia maschilista".

Che nel mondo fosse così diffuso, a ogni livello sociale, questo ritorno ad un virilismo/maschilismo fuori tempo e aggressivo ("manosfera"), non avrei mai immaginato. Proprio l'altro giorno, sempre su Domani, leggendo un articolo di Raffaele Simone, ho trovato, sia pure in un contesto più ampio e complesso (guerra/pace), un riferimento alla "maschiosfera" e alle sue pericolose conseguenze, in termini di violenza, sul piano comportamentale di tanti giovani.

Certo, è vero, a dare sostegno a questa esasperata mentalità maschilista è la destra mondiale, ma è pur vero che tutto l'armamentario maschilista ha origini antichissime. 

Cosa si può fare? 

Forse è arrivato il momento che il tutto il mondo femminista faccia una chiara e forte scelta politica, definitiva, tra teoria e prassi, ragionando sulle istituzioni politiche e prendendo posizioni "nuove". (Verrebbe da dire, femministe/i di tutto il mondo unitevi!)

È il caso di ragionare sull'idea di "potere" (e della sua organizzazione) per tentare di modificare la cultura dell'isolazionismo maschilista (sembra questa la direzione di tanto fervore virile!).

La destra autoritaria al potere nel mondo sostiene sì una visione maschilista del vivere, anche quando a dirigere, dal trono del "comando", si sceglie una donna, ma il virus maschilista è nella struttura stessa del potere, nella sua "cultura", nei suoi meccanismi, tra l'altro sempre più danarosi, per conquistarlo.

La struttura liberaldemocratica del potere politico, mentre è casuale nel numero dei rappresentanti tra uomini e donne, diventa monocratica al suo culmine, dando vita a una figura solitaria: capo/a solo/a al comando. 

Ma questa struttura è la diretta conseguenza culturale del maschilismo, nella sua forma più pura di esito di una lotta/combattimento /duello per la supremazia.

Per evitare ogni violenza di genere, mondo maschile e mondo femminile (almeno secondo le differenze presenti oggi nel dibattito generale) devono avere pari opportunità di accesso al potere nel rispetto di nuove regole istituzionali: cioè parità assoluta uomini donne in ogni sede di dibattito/decisione, in ogni sede di governo, e soprattutto rompere il monocratismo della singolarità del/la capo/a con la dualità uomo/donna all'apice della direzione politica (bicratismo).

Forse, almeno nel centrosinistra, tra uomini e donne di buon volontà, determinati/e a guardare al futuro, con il fine di estendere la forma partecipativa della democrazia, è auspicabile nasca un'intesa per una riforma istituzionale fondata sulla parità reale e assoluta uomini/donne. E chissà, solo un confronto strutturalmente alla pari uomini/donne potrebbe garantire il superamento di ogni ideologia di sopraffazione.

O no?

Severo Laleo



sabato 12 aprile 2025

Dirigente classe di destra

 Si è già incaricato, e a suo modo, Gramellini di chiosare il discorso (si fa per dire!) di Lollobrigida sulla moltiplicazione del vino e il discorso (si fa per dire!) di Nordio sulla colpa (e quale colpa!) dei giudici nel sovraffollamento delle carceri. 

Certo, di fronte a così assurde manifestazione di pensiero è lecito sì sorridere, ma sarebbe giusto soprattutto indignarsi, perché chi ha la responsabilità di governare dovrebbe dimostrare di possedere almeno un elementare buon senso. E Lollobrigida e Nordio hanno superato il segno già più volte: hanno aggiunto a vecchie sguaiataggini nuove insulsaggini!

Chissà, forse per la tranquillità del ministro della giustizia, sarebbe opportuno, dato il livello delle argomentazioni, chiedere al ministro dell'agricoltura di intercedere presso chi sa, essendo, a suo dire, persona di fede, anche per la moltiplicazione, non solo del vino, bensì delle carceri.

O no? 

Severo Laleo

giovedì 10 aprile 2025

Ma è la violenza/guerra un'eterna condanna?

 Caro Scapece,

hai letto su Domani di Sabato, 5 Aprile, il bell'articolo di Raffaele Simone, come al solito chiaro e stimolante, dal titolo "Cercare le origini della conflittualità. Soltanto così capiremo questo tempo"? Se sì, perché non me ne hai parlato subito? Tu sai quanto sia sentito il mio interesse a capire "le origini della conflittualità", e quindi della guerra! Vabbè, ti perdono, ma ti infliggerò, a mo' di penitenza, questa mia rapida lettura/riflessione.

Sai, nel suo articolo, Simone, dopo aver sottolineato la diffusione, in questi tempi di "riarmo", di una "mentalità guerriera", e cita a proposito il "rozzo" Hegseth, analizza due "importanti" libri, "animati da un esplicito spirito hobbesiano [<Homo homini lupus>]". Per dirti in breve, la tesi di fondo del libro di Gianluca Sadun Bordoni, "La guerra e la natura umana", è che la guerra "è comunque sempre con noi" e che la pace è "un'invenzione moderna"; e anche per Alfio Mastropaolo, autore del libro "Fare la guerra con altri mezzi", un'analisi "serrata" e "fittissima -scrive sempre Simone- di riferimenti storici e dottrinali", la guerra, alla fin fine, si conferma "permanente".

Come vedi, caro Scapece, mi tocca per forza aggiungere questi altri due libri all'elenco dei libri da leggere, sia perché è giusto capire meglio le ragioni delle tesi dei due autori, sia per controllare se è stata presa in considerazione l'idea (se può esistere) che la guerra in realtà sia un'invenzione culturale solo maschile (non dirmi niente, tanto conosci la mia fissazione!).

Ebbene, chiusa l'analisi dei libri, Simone osserva la presenza, accanto alle guerre "in grande", delle guerre "in piccolo", quelle tra "persone e gruppi: baby gang, coltelli o armi in tasca, challenge e provocazioni, giochi pericolosi, stupri di gruppo, bravate criminali... Se le guerre in grande derivano dallo scontro dei macrosistemi analizzati da Mastropaolo, quelle in piccolo crescono e si nutrono nel malsano brodo di violenza creato dalla fusione del mondo mediatico col mondo reale". Simone, continuando nella sua osservazione, conferma (e sottolinea?) l'esistenza di una "maschiosfera" in quel mondo culturale di "guerra permanente"; e alla fine s'interroga: "Come non sospettare che le guerre in grande siano la versione ingigantita e mortifera di quelle in piccolo loro base comune sia la propensione umana alla violenza?"
Il sospetto è condivisibile, anche se forse è possibile sostituire l'aggettivo "umana" , accanto a "propensione", con l'aggettivo "maschile".
O no?
Stammi bene Scapece, e sempre buone cose,
il tuo Severo.

mercoledì 9 aprile 2025

Trump, il limite e le risate repubblicane

 Nelle relazioni tra persone, sempre, ma specie se investite
di un ruolo pubblico, la norma, non solo formale,
ma decisamente sostanziale, è il reciproco rispetto.
E cos'è il rispetto? Essenzialmente il rispetto è il considerare
l'altra persona alla pari, appunto nel rispetto pieno
di una comune dignità: in breve, la dignità della persona
rappresenta il limite oltre il quale a nessuna/o
è consentito andare; superato il limite, si cade nell'oltraggio.
Ed è subito violenza!
Ebbene Trump, uso all'oltraggio volgarviolento per chi non è con lui
e agli elogi spropositati e elementari per chi gli è fedele,
non conosce il limite e vede, con tronfiocomica vanità personale,
nelle altre persone (nel caso in questione, nelle/i rappresentanti
di altri Stati) semplicemente
"una fila di supplicanti pronti a baciargli il culo!"
Che il vocabolario di Trump (per non parlare della sua logica)
sia infantile e volgare, può anche essere tollerato, ma che quel vocabolario,
segno di una visione sprezzante della relazione con l'altra/o,
possa suscitare "risate" nel Comitato nazionale repubblicano
marca la fine (temporanea cmq) del discorso politico: la democrazia
s'inchina al Capo!
O no?

Severo Laleo

P.S. E ora a tutta birra con le esecuzioni capitali: la civilizzazione dell'America è a una sua svolta raccapricciante.

sabato 5 aprile 2025

E i senatori Usa Cantwell e Grassley scoprono la cultura del limite

 Il Trump obsoleto e goffo del cartellone daziario, gonfio del suo personale potere, illustra la sua decisione commerciale ai suoi sudditi e suddite obbedienti. Il mondo osserva, tra ammirazione latente e viva preoccupazione, il potente capo decisionista maschio con cartellone, e già tanti qui e là corrono a elogiare il potere dell'Uno, il nuovo Putin dell'occidente (e c'è chi in Italia ritorna a inseguire con rapidità l'approvazione del premierato! E sottintende: la democrazia è lenta e limitante).

Appunto, la democrazia è l'arte di definire "limiti" al potere (eppure in tutto il mondo ancora nessuna/o tocca/riforma l'arbitrarietà del monocratismo in sé, quale esito di una cultura esclusivamente patriarcale!)

Così, negli Usa, ucciso (si crede, almeno!) il Deep State, si risveglia, con una sua credibile voce, la rappresentatività della politica e due senatori, bipartisan, aprono il ciclo critico.

Ed ecco di seguito, proprio a segnalare il senso di una "cultura del limite", quanto si legge nel sito senatoriale di Maria Cantwell:

"I senatori Cantwell e Grassley presentano un disegno di legge bipartisan per riaffermare il ruolo commerciale del Congresso. La legislazione richiede al presidente di spiegare il ragionamento e gli impatti delle nuove tariffe al Congresso entro 48 ore; tutte le nuove tariffe scadranno dopo 60 giorni a meno che il Congresso non le approvi esplicitamente.

WASHINGTON, DC – Oggi, i senatori statunitensi Maria Cantwell (D-WA) e Chuck Grassley (R-IA), entrambi membri senior del Senate Finance Committee, hanno presentato una legislazione bipartisan per riaffermare il ruolo chiave del Congresso nell'impostazione e nell'approvazione della politica commerciale statunitense. Il Trade Review Act del 2025, modellato sulla War Powers Resolution del 1973, ristabilirebbe i limiti alla capacità del presidente di imporre tariffe unilaterali senza l'approvazione del Congresso.   

"Le guerre commerciali possono essere altrettanto devastanti, motivo per cui i Padri Fondatori hanno dato al Congresso la chiara autorità costituzionale sulla guerra e sul commercio. Questa legge riafferma il ruolo del Congresso sulla politica commerciale per garantire che le politiche commerciali basate su regole siano trasparenti, coerenti e avvantaggino il pubblico americano. Le tariffe arbitrarie, in particolare sui nostri alleati, danneggiano le opportunità di esportazione degli Stati Uniti e aumentano i prezzi per i consumatori e le aziende americane", ha affermato il senatore Cantwell. "Come rappresentanti del popolo americano, il Congresso ha il dovere di fermare le azioni che causeranno loro danni".

"Per troppo tempo, il Congresso ha delegato la sua chiara autorità di regolamentare il commercio interstatale ed estero al ramo esecutivo. Sulla base dei miei precedenti sforzi come presidente del comitato finanziario, mi unisco al senatore Cantwell per presentare il Trade Review Act bipartisan del 2025 per riaffermare il ruolo costituzionale del Congresso e garantire che il Congresso abbia voce in capitolo nella politica commerciale", ha affermato il senatore Grassley.

Il disegno di legge ripristina l'autorità e la responsabilità del Congresso in materia di tariffe, come delineato nell'Articolo I, Sezione 8 della Costituzione, ponendo i seguenti limiti al potere del presidente di imporre tariffe:

Per promulgare una nuova tariffa, il presidente deve notificare al Congresso l'imposizione (o l'aumento) della tariffa entro 48 ore.

La notifica al Congresso deve includere una spiegazione delle motivazioni del presidente per l'imposizione o l'aumento della tariffa, e

Fornire un'analisi del potenziale impatto sulle aziende e sui consumatori americani.

Entro 60 giorni, il Congresso deve approvare una risoluzione congiunta sulla nuova tariffa, altrimenti tutte le nuove tariffe sulle importazioni scadono dopo tale termine.

In base al disegno di legge, il Congresso ha la facoltà di porre fine alle tariffe in qualsiasi momento, approvando una risoluzione di disapprovazione.

Sono esclusi i dazi antidumping e compensativi".


Forse qualcosa si muove negli Usa e non è un male. 

O no?

Severo Laleo

venerdì 4 aprile 2025

Di tal Carrasco "il verso di ade"

 Caro Scapece, 

come ti va? Hai già assorbito i colpi del ciclone sbandato Trump? Mah! Certo, viviamo tempi abbastanza difficili, forse pericolosi, e comunque rozzi di violenza; eppure, e tu già sai, nonostante tutto, io sono abbastanza ottimista: credo nella serenità della maggior parte dei giovani, uomini e donne, e nel fatto che abbiano interiorizzato così fortemente, e quasi naturalmente, il desiderio di libertà che non penso si faranno turlupinare da questi nuovi ricchi giocatori d'azzardo autoritari e sciovinisti fuori tempo massimo.

Sembrano queste nostre nuove generazioni tutte schiave degli smartphone, delle piattaforme social, in verità, proprio quelle piattaforme, quei canali social hanno dato alle nuove generazioni un'impronta nuova di libertà, non facilmente addomesticabile. E vabbè, su questo ti linko il mio "La guerra, i capi e le/i governate/i" e cambio discorso.


Parliamo di cose più divertenti. 

Mi è capitato l'altro giorno di leggere un piccolo libro giuntomi a casa a seguito di affettuosi suggerimenti. Il titolo è "il verso di ade", così tutto minuscolo, di tal Gunther Maria Carrasco, per i tipi di déclic, e già qui siamo di fronte a qualcosa dal sapore musicale. 

Ho letto tutto d'un fiato (ah, se mi leggesse tal Gunther!), ma, alla fine, devi sapere, mi sono divertito, anche se sono caduto nella trappola di voler capire il perché della lupa e del vano. Ma ho subito lasciato il cupo per tornare al gioco. All'esperimento. Non so se dire letterario o semplicemente di scrittura. In ogni caso godibile. Nel risvolto di copertina troverai la "sinossi". Eccola, così avrai un'idea chiara anche del testo: "Volevano solo fare colazione Pardo e sua figlia Ade. Ed ecco che la piccola scompare in modo oscuro. Pardo si mette in cerca, e non lui solo. La quête sarà popolata da un satiro su una poltrona a rotelle guidata dalla forza di volontà, da un dubbio maresciallo con il suo inseparabile pappagallo, da una nonna nottambula e da un nonno sognatore. E la mamma? Dov'è finita la mamma? La mamma adesso è No. Una cosa alla volta. A complicare il tutto, un'epidemia di versi in volo. E Manichino, scusa, non lo dici? Sicuro, Ade, anche Manichino, ma non nella sinossi: un po' più in là". 

Bisogna ammettere, caro Scapece, noi siamo abituati a narrazioni "sensate", rischiamo quindi di chiudere ogni ascolto dinanzi a qualsivoglia "diversità". Così, mentre troppi nel mondo vogliono ristabilire l'ordine fisso dualgender, ben venga a dirsi l'ampio mix di generi. Rompere i confini è sempre salutare, anche per la gioia di raccontare. 

Gioiosamente😉 la lingua di Carrasco è usa capriolare libenter fino all'estremità del foglio, dove si inarca in una verticale mai pericolosa; e per forza, perché la mente ricerca comunque il suo ordine nel marasma delle braghe voraci della lingua. E si illude Trump di usare il martello di Pavone per uccidere il vocabolario americano; la lingua è sempre libera, non si piega, è compos sui, e ogni operazione è operazione nulla, operazione stanca, operazione alla valditara. L'utente (libera/o) costruisce sempre il senso (democratico) laddove tutto si destruttura e si sfracella: non praevalebunt!

Potrai anche essere colpito da un settenario e tramortito da un endecasillabo, ma l'incolumità è salva, perché saprai resistere fino alla fine estendendo i significati. Il senso della vita è qui: cammini e cammini, cadi e ricadi, procedi e procedi, e per cosa? Per conquistare la fermezza: nessuna/o tocchi la libertà!

Altrimenti si rischia di svanire.

Eppure la maestria alta di tal Carrasco prende il sopravvento sul gioco, ad esempio, nella descrizione/incontro con il maresciallo, descrizione preziosa e pregiata, dove perfetto è l'equilibrio tra "eloquio" e "chiappette", tra suoni e sensi, anche se robusto è l'inchino ubbidiente e disciplinato ai limiti sintattici. E torna al successo l'ordine. E tutte/tutti con taxi!

Non ti aggiungo altro, e si potrebbe. Perché tanto altro c'è. Ad esempio, se vuoi leggere pagine di delicata cura e d'incanto d'amore, non perderti il seguito a partire da "la prima volta andò a sbattere sul vetro".

Vabbè, ora te l'invio "il verso di ade", divertiti!

Stammi bene,

tuo Severo




giovedì 3 aprile 2025

E il capo si svela obsoleto (e goffo)


 Non è stato notato da molti, ma del giorno della "liberazione americana", giorno già definito storico proprio da chi la storia strapazza, sarà consegnata agli atti una foto simbolo, come dire, fuori tempo, datata, quasi a segnare un ritorno al passato, per forma e materia.

Sì, perché nel paese della Silicon Valley, affollato di Power Point e colorato di mille Slides in ogni dove, il Presidente degli Usa, Donald Trump, nel suo cappotto divisa, all'apice del suo personale esercizio del Potere, si presenta, alla giornata della "liberazione americana", in giardino, ai suoi fedeli, per illustrare i dazi, sì, questa grande innovazione senza precedenti, i dazi, e si trova a reggere nelle sue mani, malamente e goffamente, senza eleganza istituzionale, un cartellone enorme, non maneggevole e illegibile.

Chissà, forse un giorno sarà questa foto, dell'uomo con cartellone, a ben rappresentare i progetti di involuzione, in ogni direzione, di una Presidenza Usa, la più sostenuta con corrivi ossequi dalla più avanzata industria tecnocratica.

O no?

Severo Laleo





lunedì 24 marzo 2025

La guerra, i capi e le/i governate/i

 Qualcosa lentamente cambia nel mondo occidentale (e a seguire cambierà anche in altri "mondi"), e proprio ora, in questi tempi di crisi della democrazia liberaldemocratica e di irruenta onda nazionalviolenta: può sembrare strano e contraddittorio, ma a cambiare è/sarà il rapporto tra governanti (in verità, a essere attenti, Trump, Putin, Netanyahu, e compagnia bella, non sono governanti, ma, nonostante le elezioni, semplicemente "capi", ancora intirizziti di vieto virilismo, senza visione giusta di "governo") e governate/i (sempre più libere/i di esprimersi o non esprimersi, gelose/i della propria libertà, e non tutte/i manovrabili a piacere). 

E qual /sarà la leva di questo cambiamento? 

È il porsi di ognuna/o, a ogni livello, di fronte alla guerra.

I governanti, da una parte, pochi, vecchi, ricchi e maschi, decidono la guerra, come e quando vogliono, senza preoccuparsi molto di quante persone, quasi sempre povere e giovani, mandano a morire, tra civili e soldati, tra i propri e gli altri.

Dall'altra parte, le/i governate/i, soprattutto giovani, diventano sempre più estranee/i al bellicismo dei capi, e non ambiscono certo, almeno nella nostra Europa, a uccidere per un'idea assurda di patria o di potenza. 

Le nuove generazioni intendono sempre più garantirsi spazi di libertà di vita in reciproca sicurezza, con il vivere in pace e senza guerre. La guerra appare loro un residuo medievale per la soluzione di problemi e conflitti. 

Perché dovrebbero uccidersi tra loro se possono concordare soluzioni senza massacrarsi?

Ha ragione Benigni: se oggi nei musei della tortura possiamo inorridire di fronte a tremende macchine del dolore, domani chi verrà dopo di noi potrà inorridire di fronte alle più terrificanti armi di guerra/morte, fino alla bomba atomica.

È facile a dirsi: o i musei della guerra o il nulla! 

E sebbene sia molto diffuso un nuovo parlare di spirito bellico, di riarmo, di nuove forze militari, naturalmente di difesa, un varco enorme e sempre più visibile s'apre tra governanti e governati sul tema della guerra e sarà questo il varco attraverso il quale avanzerà una nuova democrazia di uomini e donne del no alla guerra.

O no?

Severo Laleo

venerdì 7 marzo 2025

8 Marzo 2025: liberare le istituzioni dal modello maschile

 Si legge in Wikipedia alla voce "Ni una menos": "Ni una menos (lett. "Non una di meno") è un movimento femminista socio-politico che si batte contro la violenza di genere, il patriarcato, il maschilismo, il machismo e il sessismo tramite scioperi, manifestazioni e mobilitazioni non violente. Si adopera per una società libera dalla logica patriarcale e per liberare le istituzioni, i media, il lavoro e i comportamenti da un modello in prevalenza maschile".

Bene. D'accordo pienamente. Eppure non sono ancora di dominio pubblico le proposte per "liberare le istituzioni... da un modello in prevalenza maschile".

Forse sarà necessario studiare con nuova passione le origini delle nostre istituzioni, soprattutto politiche, per analizzare quanto esse siano debitrici nella loro conformazione attuale alla cultura maschilista: ad esempio, l'idea di avere "un capo" (e ora capita anche "una capa") all'apice della piramide decisionale non è forse derivante dall'antica logica del "duello" tra Maschi Alfa? Comanda chi vince tra due maschi: di qui l'idea della "normalità" della forza/violenza, della "normalità" del monocratismo, dell'"uomo solo al comando"! Il monocratismo, sia pure in regimi democratici, è cmq l'esito storico-istituzionale di una cultura maschilista.

Ora, se si lavora per "liberare le istituzioni" dal "modello maschile" bisognerebbe anche immaginare forme di parità assoluta (e estesa) tra uomini e donne: ad esempio, avere a guida di un governo non più solo "un capo" (e quasi sempre un uomo), con la sua originaria cultura, ma insieme un uomo e una donna, l'uno e l'altra con la "propria" cultura, superando così il monocratismo con il bicratismo, di per sé cmq dialogico e riflessivo. Non solo. Anche tutte le sedi istituzionali di dibattito politico e decisionale, per essere libere dal "modello maschile", dovrebbero avere una composizione a "parità assoluta" uomini/donne; la composizione di un parlamento non può essere affidato al caso o a un'ineguale competizione. 

Forse solo con la parità assoluta e con il bicratismo è possibile immaginare una società nuova non può fondata sulla logica della "forza".

O no?

Severo Laleo

P.S.

Scrive oggi, nella giornata dell'8 Marzo, Giorgia Serughetti su "Domani", in un articolo pare molto "sentito": "Il femminismo ha saputo dire una parola "altra" sulla guerra fin dal tempo dalle mobilitazioni delle suffragiste. Si pensi a quando nel 1915, centodieci anni fa, nell'infuriare della Prima guerra mondiale, oltre mille donne si ritrovarono all'Aja per il primo Congresso internazionale delle donne per la pace, per «stringersi le mani da sorelle, al di là della guerra delle nazioni»... È quindi tempo per il pensiero e la politica femminista di affinare le armi della critica e gli strumenti di lotta, per rintracciare la radice antica del dominio patriarcale dentro la dinamica e la retorica dello scontro armato, svelando la dimensione di genere di ogni disegno nazionalistico di potenza".

Bene. D'accordo. Ma non è più tempo solo di "affinare le armi della critica e gli strumenti di lotta, per rintracciare la radice antica del dominio patriarcale dentro la dinamica e la retorica dello scontro armato", forse è giunto il tempo di un impegno politico forte per trasformare le istituzioni politiche attuali, segnate proprio dal "dominio patriarcale", in istituzioni "altre".

O no? 






mercoledì 5 marzo 2025

Un'Europa con le armi e senza un'anima non serve

 E l'Europa, nata sull'idea forte e nuova di "mai più la guerra", dopo il terrore disumano scatenato dal nazifascismo con la Seconda Guerra Mondiale, si trova ora, dimentica dei suoi valori, e quasi intontita dai proclami volgari di vecchi maschi autoritari o aspiranti tali, a rincorrere il Riarmo Generale. E senza un ragionamento nuovo, solo con infantile emotività. Forse non si è ancora studiato abbastanza quanto la cultura patriarcale di tanti attuali governanti, esaltati monocrati, e di tutte le strutture istituzionali delle democrazie moderne impermeabili al femminismo pacifista, possa influire sull'idea/pratica dell'inevitabilità della guerra. 

Possibile non sappia quest'Europa spendersi per trovare strade di pace? E possa solo accontentarsi di esistere per riaffermare un sua semplice identità di facciata? E addirittura possa resistere muta di fronte all'abisso di violenza in atto in Medio Oriente, elevando l'ipocrisia a sistema di relazioni? Forse è ora di definire/ concordare in ogni relazione un limite d'obbligo oltre il quale a nessuna/o sia lecito andare. E non è forse lecito lavorare per definire limiti, ad esempio, tra l'altro, alla ricchezza per evitare deliri di onnipotenza di singole persone, e alla povertà per evitare cadute nella solitudine del degrado di ogni singola persona? Non esiste pace senza giustizia sociale.

Giusto abitare la piazza in nome dell'Europa? Sì, certo, specie se si tratta dell'idea di Europa secondo il "manifesto" della Fondazione PerugiaAssisi. Ecco di seguito il testo integrale:


Dobbiamo ricostruire un’Europa di pace Non basta dire “Europa, Europa…” per evitare l’inferno

“Dobbiamo recuperare lo spirito di Ventotene e lo slancio pionieristico dei Padri Fondatori, che seppero mettere da parte le ostilità della guerra, porre fine ai guasti del nazionalismo dandoci un progetto capace di coniugare pace, democrazia, diritti, sviluppo e uguaglianza.” Discorso di insediamento del Presidente del Parlamento Europeo David Sassoli (Strasburgo, 3 luglio 2019)

Cosa possiamo fare per salvare l’Unione Europea? Per promuovere l’Unione “politica”? Per colmare il gap esistente tra le ambizioni e la realtà?

Partiamo dal presupposto che siamo tutti d’accordo sul fatto che c’è bisogno di più Europa, soprattutto di più Europa “politica”. In molti lo stiamo ripetendo da diversi lustri, quanto meno dalla caduta del Muro di Berlino e dalla fine dell’era bipolare.

Il punto è: quale Europa “politica” vogliamo?

L’Europa che rilancia una folle corsa al riarmo o l’Europa che avvia un negoziato globale per la pace e la giustizia sociale internazionale? 

L’Europa sonnambula che cammina verso il precipizio trascinando con sé le popolazioni che dovrebbe servire o l’Europa determinata “a salvare le future generazioni dal flagello della guerra e a riaffermare la fede nei diritti fondamentali, nella dignità e nel valore della persona umana”?

L’Europa che lascia impuniti i crimini più atroci, quali i crimini di guerra e contro l’umanità o l’Europa che fa della giustizia penale internazionale una delle sue priorità?

L’Europa dei doppi standards – si alle sanzioni contro la Russia, no alle sanzioni contro Israele, si al mandato d’arresto internazionale contro Putin, no al mandato d’arresto internazionale contro Netanyahu – o l’Europa della legge uguale per tutti?

L’Europa che fa prevalere le criminali politiche neoliberiste sulla giustizia sociale, climatica e di genere o l’Europa che vuole dare piena attuazione agli obiettivi di sviluppo sostenibile entro il 2030 come previsto dall’Agenda delle Nazioni Unite?

L’Europa che alimenta la tumultuosa crescita dei partiti di estrema destra, cova nel suo seno i nazionalismi e costruisce muri ai suoi confini esterni, o l’Europa dei diritti fondamentali, dello stato sociale, della solidarietà, dell’accoglienza, dell’inclusione? E ancora.

L’Europa intergovernativa dell’unanimità e dei veti o l’Europa sopranazionale della maggioranza qualificata con un ruolo centrale del Parlamento europeo e del Comitato europeo delle Regioni e con un dialogo strutturato con le organizzazioni della società civile?

Quali sono i valori dell'Unione Europea? L'individuazione dei valori è fondamentale perché consente di capire le ragioni profonde che stanno alla radice del processo di integrazione sopranazionale europeo. Il prof. Antonio Papisca scriveva: “Il problema dei valori è il problema del perché dell'UE, della sua identità: l'Europa unita eventualmente si, ma à quoi faire?"

Qual è l’identità dell’Europa? Quella di difendere i rispettivi confini nazionali per evitare che le persone che cercano di fuggire dalle guerre e dalla fame possano arrivare da noi, o quella di spegnere gli incendi lavorando per la pace e il rispetto di tutti i diritti umani per tutti?

L’UE è sempre stata un attore civile (economico, commerciale, culturale). Un attore di soft power, a sostegno del diritto internazionale dei diritti umani, della diplomazia preventiva e del multilateralismo efficace, anche di fronte a minacce globali quali terrorismo, conflitti regionali, proliferazione di armi di distruzione di massa.

Per diventare un attore di hard power ci vogliono unità, visione, strategia, leadership, tutte caratteristiche che mancano all’UE. Ma soprattutto ci vogliono soldi, tanti soldi, che non ci sono o che bisogna togliere alla cura delle persone, della loro dignità e dei loro diritti fondamentali.

Oggi, l’UE è divisa. E’ divisa sulla politica estera, sulla politica di difesa, sullo sviluppo di una politica industriale in materia di armamenti, sulla politica di asilo e immigrazione, sulla politica della cittadinanza, sulla politica fiscale, sul green deal, …. 

Ma non può esistere una politica comune di difesa senza una politica estera comune, senza una visione strategica di lungo periodo. Per esempio: quali saranno i rapporti dell’UE con la Russia quando la guerra sarà finita? Saranno rapporti fondati sul dialogo e la cooperazione o sulla deterrenza e il riarmo? La mancanza di una visione e di una volontà unitaria rimane dunque il problema centrale dell’UE.

* * *

Il futuro della pace e della sicurezza dell’Europa non può essere affidato alla follia di governanti che alimentano le guerre e una nuova spaventosa corsa al riarmo. Oggi c’è bisogno di una nuova Conferenza di Helsinki che, come nel 1975, riunisca tutti gli Stati del nostro continente e dia nuovo avvio alla costruzione in Europa di un sistema di sicurezza comune, dall’Atlantico agli Urali, basato sul disarmo, i diritti umani, il diritto all’autodeterminazione dei popoli e i diritti delle minoranze.

L’Europa deve ricominciare a lavorare per la pace, con coraggio, lungimiranza e creatività. Come fecero i Padri fondatori dell’Europa che, sulle macerie di due guerre mondiali, in un tempo di grandi sofferenze e divisioni, “osarono trasformare i modelli che provocavano soltanto violenza e distruzione”. Grazie a questo sforzo straordinario, l’Europa è stata un originale progetto e un grande esperimento di pace. Nessuno può permettersi di cancellare quella che è la prima ragion d’essere dell’Europa.

L'Europa che vogliamo ripudia la guerra, è fondata sulla pace e sui diritti umani, sulla dignità umana e sui diritti che le ineriscono, sui valori indivisibili e universali della libertà, della democrazia, dell'eguaglianza, della giustizia e della solidarietà.

L’Europa che vogliamo è aperta, democratica, solidale e nonviolenta. E’ l’Europa della convivialità e dell’interculturalità; un’Europa che è accoglienza di popoli, di lingue, di culture, di identità e di storie diverse; un’Europa che rifiuta il razzismo e la discriminazione in tutte le sue forme; che riconosce e rispetta i diritti dei migranti e il diritto d’asilo ai profughi e rifugiati in fuga dalla guerra, dalla violenza e dalla fame.

 Abbiamo bisogno urgente di un’Europa di pace:

decisa a riaffermare sé stessa come soggetto politico di pace, democratico e indipendente; 

determinata a costruire un ordine mondiale più giusto, pacifico e democratico centrato sulle Nazioni Unite e sul diritto internazionale dei diritti umani, sulla solidarietà e la cooperazione internazionale; 

decisa a contrastare la corsa al riarmo, a promuovere il disarmo e a combattere la fame, la sete, le malattie e la povertà promuovendo un’economia di pace e giustizia; 

impegnata a ridefinire coerentemente i suoi rapporti di amicizia e cooperazione con tutti i popoli e i paesi, a partire dai suoi vicini, con il mondo arabo e con il resto del mondo.

 Abbiamo bisogno di un’Europa che sappia agire non in base alla legge della forza ma con la forza della legge. In questa prospettiva, l’Onu, istituzione multilaterale per antonomasia, è indispensabile per gestire l’ordine mondiale nel rispetto di “tutti i diritti umani per tutti” e per costruire un’economia di giustizia. C’è bisogno di una istituzione mondiale in cui tutti gli stati, grandi e piccoli, siano rappresentati e tutti i popoli, anche i più lontani e diseredati, possano far sentire la loro voce. Se l’UE è sincera nel proclamare oggi la centralità delle Nazioni Unite, occorre senza indugio che persegua il duplice obiettivo del potenziamento e della democratizzazione della massima organizzazione mondiale.

 La via giuridica e istituzionale alla pace, con al centro l’architettura multilaterale e il diritto internazionale dei diritti umani generato all’indomani della Seconda guerra mondiale, è la bussola che l’Unione Europea deve seguire se vuole continuare ad esistere.

 

Marco Mascia, Presidente Centro Diritti Umani “Antonio Papisca” – Università di Padova 

Flavio Lotti, Presidente Fondazione PerugiAssisi per la Cultura della Pace 3 marzo 2025"

Tutte/i in piazza a difendere l'Europa, e soprattutto questa idea di Europa.

O no?

Severo Laleo





















giovedì 27 febbraio 2025

E il Re vende al ricco un incarico pubblico

 Fu la Rivoluzione Francese -e siamo, per chi vuol dimenticare la storia, nel 1789!- a porre fine definitivamente alla compravendita degli incarichi pubblici. 

Nei secoli precedenti era prassi comune, da parte dei potenti di allora, Re e Imperatori, distribuire le cariche pubbliche tramite un contratto di compravendita: ogni carica aveva il suo prezzo. 

Eppure, oggi, tempo d'intelligenza artificiale, la pratica della compravendita di una carica pubblica è  tornata in auge. Chissà, per inventare un nuovo futuro per i popoli! 

È successo: accanto all'aspirante Presidente degli Stati Uniti, un uomo gironzola e spesso si dimena durante la campagna elettorale; dai più è anche definito un genio della modernità, un uomo di grandi impensati progetti futuribili. Ebbene, quest'uomo, per garantirsi un ruolo pubblico all'interno di un'amministrazione di governo, ha avuto un'idea geniale: sborsare moltissimi soldi. Così l'aspirante Presidente, una volta diventato Presidente, sente l'obbligo di ringraziare il suo molto generoso finanziatore con un incarico pubblico importante all'interno della sua nuova amministrazione. 

La "storia" torna sempre se non la si cura! L'avanzatissimo tecnologico esperto di ogni teoria del futuro, per contare su tavoli del potere, può solo comprare la sua carica per intervenire nel pubblico. Il matrimonio di interesse è, quindi, tra una visione imperiale d'altri tempi, diventata dominante grazie a un voto democratico, e una cultura tecnocratica, storicamente depauperata, per di più vestita di una rumorosa motosega!

Si potrebbe sorridere, ma la scelta del "potere democratico" di appaltare un settore pubblico a estranei solo in virtù di soldi è un ritorno a tempi prerivoluzione francese, ed è un pericolo, in termini di civile libertà, per tutte/i.

Forse l'idea, visti anche annessi e connessi, di futuro di questi nuovi gasati "rivoluzionari" nasce già morta! In ogni caso non praevalebunt!

O no?

Severo Laleo

venerdì 21 febbraio 2025

Sylvie Goulard, le "mamme", la pace e altro

 Chi ha seguito stamani Omnibus sulla 7, avrà anche ascoltato, sul finire della trasmissione, l'ottima intervista a Sylvie Goulard. Tra le molte altre riflessioni interessanti sull'Europa e le sue istituzioni, a un certo punto Sylvie Goulard afferma: "Avremo bisogno certamente di istituzioni che decidono più rapidamente, ma oggi la priorità è di andare avanti con una posizione compatta di fronte a questa nuova alleanza America Russia: e qui devo dire, come francese in una tv italiana, che sono stufa degli interessi nazionali, perché l'interesse di tutte le mamme italiane e francesi o tedesche o polacche è di assicurare ai figli un ambiente di pace e di prosperità...La battaglia non è tra di noi. La battaglia deve essere contro chi vuole distruggere le nostre democrazie e il nostro futuro. Dunque basta con questa visione nazionalista!"

Non manca certo di chiarezza Goulard, e di parole per il nostro futuro d'Europa. 

Eppure, anche se non riesce a fare baluginare condizioni di azione, colpisce, e non credo sia un caso o una maniera, quel suo riferirsi alle mamme in quanto, forse per esperienza di vita, per convinzione profonda, radicale, di genere -si potrebbe dire-, (le più) desiderose di pace!

Non si può non essere d'accordo. 

Il problema è capire quando questo conclamato/assodato desiderio delle "mamme" di "un ambiente di pace" per figlie/i  possa diventare, insieme con altre donne e persone, un impegno politico vivo, reale e in atto (e in futuro di riforma delle istituzioni).  Ma è un obbligo politico lavorare su questo fronte.

Si guardi la foto dei protagonisti di Riad: non esprime forse una "situazione" politica di un sol tipo? Ha da riflettere il pensiero dei femminismi e ha da prendere iniziative il movimento dei femminismi, ora, subito, sulla pace e, domani, con tempestività, al lavoro sulla riforma delle istituzioni di rappresentanza e di governo. 

È ancora possibile lasciare al caso la composizione degli organismi assembleari, senza la parità assoluta, uomini/donne, ed è ancora possibile fidarsi del monocratismo esecutivo, esito diretto del dominio maschile nelle istituzioni? 

Forse, se si vuole un futuro di pace, si può andare oltre le "abitudini" dell'esistente.

Se non ora, quando?

O no?

Severo Laleo

lunedì 3 febbraio 2025

Poesia e fede in Nicola Prebenna, Per cieli nuovi e Terra nuova

 Caro Scapece, è un po' che non ci si scrive, ma, lo so, è colpa mia: dietro ai nipoti ci si dimentica degli amici (forse più scusa che verità!). So cmq di essere perdonato.

Credo di averti in altra occasione già parlato di Nicola Prebenna, anch'egli uomo di scuola, e studioso e poeta. E mio amico: un'amicizia nata tra i banchi delle scuole elementari e, seppur non coltivata negli anni per le diverse, lontane strade di vita, ha tacitamente conservato intatta l'intensità antica di un tempo. L'altro giorno ho ricevuto l'ultimo suo libro di poesie, "Per cieli nuovi e Terra nuova", Terebinto Edizioni, 2024. 

Ora, di questa raccolta di poesie vorrei brevemente parlarti, anche per invitarti a leggerle, magari con quella vaga idea, a volte propria di che è avanti negli anni, di credere di non morire e basta. Avrai sentito anche tu il giornalista Aldo Cazzullo, autore del fortunato "Il Dio dei nostri padri", dire, immedesimandosi in suo padre che sentiva di dover dare conto a Dio, di avere una "speranzella" di ritrovarlo, Dio. No, il mio amico Nicola non ha una "speranzella", ha una "visione" della "vita e oltre", dove "la voce infinita del Padre" è presente e certa e "tutti avvolge e tutti consola". "La vita e oltre" è il titolo della sua poesia, credo, testamento; coinvolgente, è da riportare per intero. "Avvolgetemi nel calore dei versi/che ho deposto nel solco del tempo/e della mente; lasciate che il corpo/si muti conforme alle leggi di natura;/l'anima mia disseminata nelle parole/e trapiantata nelle poche opere/qui e là germinate conforto riceva/dal memore pensiero e dall'affettuosa/immersione nella vita che fu/e che ci vide congiunti alla conquista/del bene e intenti a fuggire/il male e i suoi frutti./Dal fondo della tomba anzi tempo/prenotata illumina il buio del vostro/presente la fioca luce della pietà/che su voi veglia e che lontano/repelle il momento dell'incontro,/che pure un giorno avverrà, ma meglio/ per voi se dopo una lunga corsa/ad inseguire voci implumi di bimbi/e conquiste audace del cuore/proteso all'eternità./

Nel calore dei versi e delle parole/nella luce che dal tumulo si irradia/e nel filo esile della memoria/che in voi alberga e si nutre, si perpetua/la vita, la nostra vita, quella/che da sponde opposte e lontane/dell'universo si congiunge nell'attimo/dell'incontro che si fa eterno/e ci sbalza nel regno dell'infinita/voce del Padre, che tutti c'avvolge/e tutti consola./

E la pietra vuoto sepolcro rimane."

Tutta la raccolta è pervasa da una religiosità essenziale, dove la preghiera trova sì il suo posto, non per un isolarsi dal mondo, ma per implorare "bontà e fraternità". In parole e atti. Leggi anche "Il mio regno" e forse concorderai con me. 

Eppure una poesia soprattutto mi ha molto toccato, forse per fatto biografico, perché quasi mi ha trasportato sui banchi della nostra originaria amicizia, dove mi par di vedere Nicola, con i suoi occhi vivissimi, guardate lontano, al suo orizzonte. Eccola, con il titolo "L'orizzonte si apriva": "Entrando nel regno delle prospettive/ possibili mi sono smarrito nei tanti/anfratti che racchiudevano tutti/un segreto e poi ho scoperto/che identica era la disposizione di cuore/a colorare di prospettive reali/l'orizzonte che s'apriva allo sguardo; ed ora il servizio sacro, ora l'amore/per il sapere, ora l'ardore della santità,/ora la scelta della dedizione/ estreme variazioni si facevano/all'ansia di bene senza limiti./E non cessa l'ardore di inseguire sempre/e dovunque il bene intravisto e inseguito./L'animo si riconforta.

Ecco, caro Scapece, questo è il Nicola che ho conosciuto una volta: a questo Nicola ho voluto e voglio ancora bene. 

Leggimelo "Per cieli nuovi e Terra nuova"!

Stammi bene!

Severo

venerdì 31 gennaio 2025

Almasri, Ragion di Stato, trasparenza, democrazia

 L'affare Almasri ha dimostrato ancora una volta l'incompetenza arruffona e imbrogliona di questo governo anche nei suoi più alti rappresentanti, spesso benevolmente "salvati" da una buona parte della stampa. Si scopre così di essere governati: 1.da un Ministro dell'Interno che spiega tranquillo al Parlamento la sua decisione, senza sensata logica, di rimpatriare/liberare un criminale, già arrestato su mandato della Corte Penale Internazionale, perché "pericoloso" (ma si può!); 2.da un sottosegretario alla Presidenza del Consiglio... senza parola, muto; 3.da un Ministro della Giustizia, in genere loquace oltre misura, che si esprime con un suo comunicato/giustificazione del fattaccio quale "misura  in quel momento più appropriata...a salvaguardare la sicurezza dello Stato e la tutela  dell'ordine pubblico" (quale "misura più appropriata" del carcere?); 4.da una Presidente del Consiglio che nelle sue esternazioni ha continuato imperterrita, dimentica del suo ruolo, a svolgere il suo mestiere di comiziante, da una parte quale vittima, dall'altra quale esperta in aggressioni, senza mai rispondere sul fatto: e attacca La Corte Penale Internazionale e la magistratura italiana, in maniera questa volta, oltre i limiti. E i famosi leader suoi alleati? Si accodano allineati e coperti. In breve, incompetenza e ammuina perché nulla mai cambi. Anzi, si fa di tutto, ora anche negli USA, per garantire al "Potere" di Governo (e ai suoi ricchissimi alleati) tutte le decisioni senza più il doveroso rispetto dei vincoli delle leggi e i controlli a opera del sistema Giustizia.

Sembra incepparsi definitivamente la macchina della democrazia, in piedi soltanto al grido: "il popolo ha votato!"

"Si fanno cose sporchissime per la sicurezza" esclama il giornalista di lungo corso Vespa.

Ma a nessuna/o quasi viene in mente di chiedersi: le "ragioni di stato" -cose sporchissime- possono ancora essere strumenti di soluzione dei problemi in una democrazia avanzata? Non è forse la trasparenza, piena e assoluta, il dovere di ogni governo e il diritto di ogni persona?

Le persone ancora sinceramente ispirate a modelli di democrazia avanzata sono chiamate a battersi per cambiare questo stato di cose, contribuendo a sgonfiare questa bolla estesa di incompetenza/prepotenza, incompatibile con le "regole" della democrazia.

Forse ha ragione il prof. Pasquino: la democrazia potrà avere anche cadute, ma continuerà a procedere lungo la strada obbligata della sua estensione/espansione!

O no?

Severo Laleo

mercoledì 22 gennaio 2025

Michelle Obama o dell'opposizione politica radicale

 Il gesto di Michelle Obama di non essere presente alla cerimonia di insediamento di Trump si vuole continuare a credere sia una scelta politica di gran respiro, con un implicito disegno di lotta politica senza cedimenti sul valore della democrazia delle persone (di ogni persona, a partire dalle donne).

Il gesto di Michelle Obama potrebbe rappresentare un esplicito e sensato smarcamento da un'idea della politica quale sfacciato ottenimento e uso del Potere da parte del Maschio Alfa Trump (e da un gregge di suoi sostenitori, anche egregi).

Non a caso questa scelta di opposizione politica radicale viene proprio da una donna e proprio nel momento di più significativa visibilità.

Riflettiamo: cos'è il mondo di Trump, se non un mondo a misura e dominio del maschio? Con altri maschi intorno a lui tra i più ricchi del mondo? Che hanno dimostrato -la ricchezza di per sé non è malvagia, è  solo da limitare- di sapere inseguire solo interessi strettamente personali, alleandosi con chi in politica non li ostacoli con norme e regole civili, presi come sono dall'ambizione miserevole/inutile/competitiva di raggiungere il massimo del profitto in ogni campo, dal danaro al potere politico. 

Michelle Obama, con la sua assenza rivela un'altra visione della vita da spendere nella società, una visione non dominata da un interesse personale e particolare, non dominata dall'accecamento del Danaro e del Potere-consapevole forse di quanto avvilimento per la persona possa recare con sé il dominio del Danaro e del Potere-, rivela al contrario Michelle Obama una visione fondata sul rispetto di ogni donna, di ogni persona a prescindere dal suo "genere".

Nel mondo maschio di Trump la donna è accolta (si fa per dire!) solo se complementare al potere maschile. 

Ora, se non si rovescia questa ora vincente visione del Potere dalla radice, la democrazia non potrà mai essere piena. 

Forse solo la rivolta delle donne, a cominciare dalla rivolta etico-politica di Michelle Obama, potrà salverà l'America e dare senso pieno alla democrazia delle persone. 

O no?

Severo Laleo

domenica 19 gennaio 2025

Landini il "folle" e il "tetto" alla ricchezza

 Apprende Landini con precisione nella trasmissione Accordi&Disaccordi sul Nove che il patrimonio di Musk è di 428 miliardi di dollari; è impressionato Landini e dichiara di non riuscire "nemmeno a capire" cosa possa significare tanta ricchezza, se non una follia, non ne comprende la dimensione e aggiunge "una cosa che può apparire ancora più folle: io penso che siamo arrivati al punto in cui bisognerebbe mettere un tetto alla ricchezza".

La "cosa" di Landini, almeno in questo blog, non appare certo "folle", anzi appare sensata e in linea con l'esistenza stessa della democrazia. 

Porre un limite alla ricchezza (si possono trovare tante strade legittime, concordabili tra le parti, per combinare intraprendenza personale e solidarietà sociale!) con insieme porre un limite alla povertà (esistono, e già  sperimentate, molte soluzioni sul punto) è la più vera azione di politica di tutela delle libertà di ogni persona, un'azione senza la quale non si potrà mai parlare di democrazia avanzata (dove magari sia anche garantita la parità uomini/donne nelle istituzioni, fino al bicratismo).

O no?

Severo Laleo

venerdì 17 gennaio 2025

Michelle Obama e la democrazia della comunicazione pulita

 Scrive oggi, 17 Gennaio, Gramellini nella sua Rubrica sul Corriere della Sera a proposito dell'annunciata assenza di Michelle Obama alla cerimonia di insediamento di Trump: "Razionalmente sto con Barack, perché le democrazie si reggono sul bon ton: c’è una cortesia istituzionale da rispettare, altrimenti si diventa identici a Trump, che infatti disertò l’insediamento di Biden. Però d’istinto mi vien da pensare che, se tutti ci comportassimo sempre come Michelle, il mondo sarebbe un posto più semplice. Se non da vivere, almeno da capire". 

Si può anche essere d'accordo con Gramellini, ma la sua idea della necessità di rispettare il bon ton e la "cortesia istituzionale" perché una democrazia continui a "reggersi", non coglie, forse, la portata della decisione di Michelle Obama. 

In realtà Michelle, con la sua decisione di non partecipare alla cerimonia di insediamento di Trump, sembra voler restituire alla democrazia il suo parlare aperto e responsabile, senza infingimenti o, peggio, di obbligata ipocrisia, e insieme sembra voler affermare l'irriducibilità della propria visione trasparente della comunicazione politica: non si può, di fronte alla storia e alla personalità di Trump, nonostante l'esito elettorale, far finta di niente, nemmeno per un giorno, sia pure speciale qual è la celebrazione dell'insediamento! Il suo è un atto tutto politico: Michelle Obama ha pronunciato così, chiaro, il suo non possumus! Per scelta politica. 

Per marcare un'opposizione netta, aperta, senza sorrisi a un modo trumpiano di concepire la democrazia (aggressione a Capitol Hill) e la relazione uomo/donna (aggressione nei confronti di una/più donna/e), Michelle inaugura nella politica, in ogni sua occasione, anche cerimoniale, la comunicazione pulita, soprattutto nel rispetto di milioni di uomini e donne dal forte e sincero sentire democratico. 

Si trova così Michelle Obama a svolgere un ruolo di nuova leader, e non per inseguire una sua "piccola ambizione", quanto per piantare le basi di una "grande ambizione" (ogni riferimento al film su Berlinguer è voluto!). 

O no?

Severo Laleo 

mercoledì 15 gennaio 2025

Basta con "quello che è" un invito all'approssimazione

 In questi ultimi tempi di immobile, controllato e quasi finto dibattito politico, soprattutto nei talk show per televisione, si è molto diffusa un'espressione, dal sapore accattivante, già nota e in uso da molti decenni, di tal fatta: "quello/a che è" e al plurale "quelli/e che sono". 

Questa perifrasi può anche sembrare innocua, buttata lì dal parlante per girovagare tra le parole e per prendere tempo, in realtà nasconde un tratto comune, presente nelle discussioni soprattutto in ambito politico, l'incapacità, cioè, di dire/definire, con chiarezza e personale responsabilità, i termini della discussione: l'espressione "quello/a che è" e 'quelli/e che sono", sembra un invito all'approssimazione, un invito a sciogliere nella genericità dati di fatto puntuali, anche se a volte nasce solo dal gusto di usare un'espressione alla moda. 

Eppure, poiché la lingua tende comunque all'economicità, nonostante ricorra, soprattutto nel parlato, a espressioni ridondanti, si vuol credere che anche quest'ultima moda, come tante altre nel passato, sarà superata. 

E si vuol credere che grazie a questo superamento anche i nostri attuali tempi dell'approssimazione lasceranno spazio a tempi di analisi più attente. E poiché il linguaggio dà veste anche alla conversazione democratica, "quella che è"😉 oggi una moda legata visibilmente all'indebolimento reale della democrazia della parola, si spera lascerà il posto a un parlare più diretto e più semplice, nella direzione dell'estensione della democrazia.

O no? 

Severo Laleo