Quando tante persone,
anzi tantissime, non sentono più il dovere
di andare a votare, il
significato è chiaro: niente/nessuno merita
più la fiducia, perché i
partiti, in quanto luoghi di dibattito
e di formazione, sono
morti; niente/nessuno merita di “rappresentare”
le persone nelle
istituzioni, perché troppo spesso
i candidati, ballerini
tra una cordata e l’altra, sono indifendibili
sul piano della
competenza morale (sì è una competenza,
la moralità, specie in
politica, e non un tratto personale del carattere,
anzi andrebbe “misurata”, con regole trasparenti e controllabili,
prima di consentire l'accesso a una carica pubblica,
quale valutazione di merito);
niente/nessuno riesce a mobilitare,
perché ormai è morto
anche l’ascolto dei leader dal carisma,
italiana maniera, esclusivamente
affabulatorio.
Una volta c’era Bossi, il populista tuonante contro i più deboli
della “catena umana”,
ora l’epigono è Salvini, il mitragliante,
ma sempre contro gli “ultimi”;
una volta c’era il populista Berlusconi,
il genio della
comunicazione, il “liberale” (si fa per dire!), ora
–saltata la distinzione
oppositiva destra/sinistra- l’epigono è Renzi,
il socialista del “futuro è solo l’inizio”; una volta c’era Grillo,
il vaffa lucido delle piazze rivoluzionarie, ora è ancora Grillo,
inutile barcamenante,
l’epigono stanco di sé stesso.
E tutti maschi pieni di sé. Grandi di Ego.
Eppure per la democrazia non è
un giorno nero. E’ un giorno di giubilo.
Le persone, libere di
votare, hanno scelto di non votare, lasciando
a una minoranza la
responsabilità del “non cambiamento”,
qualunque sia il suo
nome. E insieme la responsabilità
del perdurare della
corruzione, dell’illegalità, dell’evasione fiscale,
della criminalità. In
una parola, la responsabilità del crescente
divario tra povertà e
ricchezza, tra chi ha e chi non ha, tra chi può
e chi non può, tra chi
conosce il “capo di turno” e chi non conosce
nessuno. Niente è
cambiato. Identico il verso.
La democrazia delle
persone alla pari è ancora un’utopia.
Eppure la giustizia
sociale non può tollerare, anzi proprio
non sopporta, la corruzione e la
illegalità diffusa
con i suoi condoni sempre in agguato.
La sconfitta dei leader,
nella forma arcaica di lotta tra “galli”,
o nella forma moderna di
“giocatori in campo”, è definitiva.
E’ ora di aprire gli
occhi. E per la sinistra non è ora di chiedere
a qualche nuovo leader
(Landini?) di “scendere in campo”
a “giocare la partita”.
La politica è roba
seria, di tutti per tutti. E se in Emilia Romagna
e in Calabria è morta
con l’astensione di massa la sovranità elettorale
è ora ormai, almeno a sinistra,
di costruire la sovranità conviviale,
per “la
distribuzione equitativa del lavoro e della ricchezza;
per la democratizzazione
di tutte le istanze della vita pubblica;
per la fine della
corruzione e dell’impunità che hanno trasformato
il sogno europeo di
uguaglianza, libertà e fraternità nell'incubo
di una società ingiusta,
disuguale, oligarchica e cinica”,
per la democrazia delle
persone, perché “la democrazia,
è la capacità di
decidere tra tutti ciò che è di tutti”
(dal Manifesto di
sostegno a Podemos).
Il leaderismo, esito
storico del maschilismo e della sua visione
del potere, è da
superare definitivamente. Le persone libere
non hanno bisogno di
conduttori, di comunicatori,
anche se continueranno a chiedere a competenti e disponibili
di assumere l’incarico di
coordinare e “originare” le
decisioni.
Ma la struttura di direzione politica nei partiti
e nelle istituzioni non
può continuare a essere monocratica,
affidata a una figura solitaria,
maschile o femminile,
un Obama o una Merkel, quasi a perpetuare il
retaggio
di un’idea di potere medievale, o di vecchia democrazia,
ma dovrà
essere duale, di coppia, bicratica,
di un uomo
e una donna. Solo i
maschilisti inconsapevoli non riescono a leggere
e prevedere e immaginare
i tanti vantaggi, innegabili,
sul piano culturale e sociale, derivanti da
una nuova struttura duale
del governo. E solo la
pigrizia conservatrice non vuole riconoscere
il passo verso una più
matura civilizzazione della società.
Le donne non devono più
essere chiamate, dal decisore di turno,
a fare il numero pari, a
dare visibilità di contorno.
Le donne hanno diritto, per legge, attraverso
nuove forme
di organizzazione del servizio potere, di
essere sempre alla pari,
in ogni sede di decisione, per garantire nuove,
inedite,
possibilità di comprensione dei bisogni delle persone tutte,
e
nuove possibilità di realizzazione di ogni azione utile a dare
esigibilità
a quei bisogni. Nuove forme di direzione
politica
e di organizzazione politica potranno generare nuovi modelli
di stare insieme politicamente nei territori per andare
oltre
una sovranità limitata all'espressione di un voto ogni tanto.
Non basta
chiedere/gridare “scioperiamo la democrazia”,
è necessario trovarsi
insieme nei mille luoghi possibili e là costruire
insieme, tra persone alla pari, il convivio politico.
Spetta alla sinistra,
superate le insidie frazionanti degli egoismi
di Narciso, retaggio di un antico maschilismo, trovare una unità
O no?
Severo Laleo