scusami se sarò spiccio stasera, ma vorrei solo parlarti rapidamente
E questa volta vorrei anche spingerti a leggerlo. Sai, Libertà inutile,
Infine, inaspettatamente, ho trovato anche un incoraggiante spunto
Stammi bene e sempre accuort.
parole per una "cultura del limite" a cura di Severo Laleo ... de tous temps penseurs, sages ou philosophes, ont cherché les moyens à s'opposer à la démesure (hybris) ... les convivialistes
Trovo sulla stampa, per la gioia di questo blog, la seguente dichiarazione
del sindaco di Milano, Sala: “Avevo fatto delle promesse che spero
di aver mantenuto. La prima: un’assoluta parità uomini-donne,
la volta scorsa era stata sostanziale. Ritengo normale
che sia così.”
Al di là della soddisfazione di aver mantenuto una promessa,
la dichiarazione del sindaco Sala assume un’importanza politica
notevole, perché alla “sua” decisione di scegliere sei uomini
e sei donne per la “sua” Giunta dà il carattere della “normalità”.
Ora, se il sindaco Sala riconosce la “normalità” della parità assoluta
uomini-donne, immagino potrebbe anche non essere contrario
ad una “norma” per la quale ogni sede di amministrazione/governo,
per legge appunto, debba essere a parità assoluta uominidonne.
In pratica, con la sua dichiarazione il sindaco Sala esplicitamente afferma
di non condividere l’idea e la prassi (per altro già limitata da vigenti
disposizioni) di lasciare alla personale decisione del “capo”,
magari illuminato, e sempre maschio (almeno in questa tornata
recente elettorale), la scelta di quanti uomini e quante donne
debbano entrare in Giunta/Governo, ma di ritenere “normale”
la parità assoluta uominidonne.
Una normalità forse da estendere (non esiste ragione per essere
contrari!) anche al governo nazionale, ancora così tanto dominato
da troppi maschi combattenti.
In attesa del bicratismo, s'intende (anche nella guida dei partiti)!
O no?
Severo Laleo
Si è svolto il 21 giugno scorso un summit, a cura della Fondazione Women
Political Leaders, per ribadire ancora una volta l’importanza
della leadership politica femminile, soprattutto adesso dopo la pandemia,
per costruire il futuro in direzione di una “nuova normalità
e un mondo migliore per tutti.” E vabbè!
Hanno anche parlato Draghi e Macron.
Draghi, capo di un esecutivo al maschile, dichiara: “Ogni giorno milioni
di ragazze imparano che non possono realizzare i loro sogni.
Sono discriminate, a volte con violenza. Devono accettare,
anziché scegliere, obbedire anziché inventare.
Tutto questo non è solo immorale e ingiusto, è anche poco lungimirante:
le nostre economie si perdono alcuni dei loro maggiori talenti,
le nostre società ignorano alcune delle migliori leader del futuro...
ridurre le differenze di genere deve essere una priorità globale”.
Dichiara Draghi, ma non propone e non agisce in senso politico
per rinnovare le istituzioni e ridurre realmente le differenze di genere.
Anzi, dimentica spesso di "nominare" donne in misura pari
agli uomini, quando ha bisogno di qualificate collaborazioni.
Macron, a sua volta, già impegnato a tenere in piedi un esecutivo
a parità di genere, dichiara: “Abbiamo bisogno di costruire
una leadership femminile nel regno politico. Nessuna società
sarà in grado di affrontare le sfide di oggi se utilizzerà solo metà
delle sue risorse viventi, della sua forza, della sua capacità
di promuovere, sia nel servizio pubblico che nelle aziende,
la diversità, che è la pietra angolare dell'innovazione.”
Dichiara bene Macron, e con maggior vigore, ma non esistono
sue proposte e strade percorribili per “costruire una leadership
femminile nel regno politico.”
La retorica delle buone intenzioni è salva, ma il paniere è vuoto.
Infine, l’obiettivo fondamentale della stessa Fondazione,
tra gli altri, è proprio quello di aumentare il numero e l'influenza
delle donne nelle posizioni di leadership politica.
Ma non si trovano proposte di legge ad hoc.
Tutto appare un gioco delle parti e un incredibile spreco
di risorse a ogni livello. Si attende.
Eppure, perché, se c’è tutta questa volontà e convinzione, e c’è,
di portare quanto meno a parità la presenza politica di uomini
e donne anche a livello di leadership, perché non si introducono
semplici riforme istituzionali, a quanto pare da tutte/i ormai
ritenute non procrastinabili, per le quali, ad esempio,
a. le assemblee politiche, ad ogni livello, siano sempre formate
da un numero pari di uomini e donne (almeno qui da noi in Europa);
b. gli esecutivi sian sempre formati da uomini e donne alla pari,
per legge e non per “concessione” del capo, quasi sempre
un maschio;
c. la carica monocratica di Presidente, di Capo del Governo,
di Ministro sia trasformata in carica duale da affidare a un uomo
e una donna insieme con pari facoltà (bicratismo vs monocratismo)?
Perché invece di dichiarare continuamente l’importanza della presenza
delle donne in politica, non ci si impegna a agire per rendere reale
questa presenza alla pari con gli uomini, modificando le leggi?
Le strutture di potere politico (e non solo) sono l’esito di una storia
patriarcale tutta al maschile e per questo ogni carica di potere
è sempre di tipo monocratico. Con la presenza paritaria di uomini
e donne al potere, può essere sperimentata una forma diversa
di organizzazione del “comando” non più di forma monocratica.
E forse qualcuna/o potrebbe studiare le conseguenze in campo culturale
e sociale di una nuova forma di esercizio della guida politica.
O no?
Severo Laleo
Il Presidente del Consiglio Draghi ha nominato, senza ripensamento
alcuno, cinque uomini nella "nuova struttura tecnica"
per la gestione dei fondi in arrivo per la realizzazione del PNRR.
Cinque maschi su cinque!
Eppure Draghi sembrava aver capito nei suoi discorsi d’inizio
governativo, l’importanza di superare la disparità uomo-donna
non solo a livello salariale e occupazionale.
Infatti nel discorso programmatico di governo esposto
al Senato, Draghi sostenne: "Una vera parità di genere non significa
un farisaico rispetto di quote rosa richieste dalla legge: richiede
che siano garantite parità di condizioni competitive tra generi".
Con quali proposte e con quali atti il nostro PdC ha inteso/intende
superare il fariseismo e garantire "parità di condizioni competitive
tra generi"? Azzerando la presenza di donne e dimenticando così
di garantire, attraverso presenze maschili e femminili,
“una visione della cura” anche là dove, in economia,
è oltremodo necessaria?
Perché non nominare sei persone, tre uomini e tre donne,
magari a sorteggio, da un elenco di persone, disponibili
a domanda, estremamente qualificate per titoli e esperienze
professionali? Si possono correggere errori così gravi?
Dov’è l’autorità di Draghi, valente servitore di Stato?
Non c’entra la politica, non c’entrano i partiti, c’entrano i flussi di potere
sempre vivi dentro ambienti sempre chiusi e dominati da maschi.
Il maschilismo è duro a morire. Anche per Draghi.
I maschi restano al proprio posto e le chiacchiere di Draghi
già volano nel vento.
O no?
Severo Laleo
Hanno perso la vita, nella cabina dal panorama splendido,
quattordici persone.
E la causa, nell’ipocrita incredulità tragica, è ora a tutte/i nota:
la corsa ad acchiappare solo e sempre soldi. Comunque.
E per far soldi, si sa, i freni sono l’ostacolo.
E gli occhi si devono chiudere.
E così, mentre il processo di civilizzazione di una società moderna
imporrebbe a ogni persona, qualunque sia il suo compito/ruolo,
il rispetto di una “cultura del limite”,
al contrario, il nostro paese continua a procedere senza freni.
Non ci si ferma davanti a niente. Dov’è il limite?
E gli esempi sono anche in alto, tra chi ha responsabilità di governo.
Le dispute tra tutela della salute e “esigenze economiche” (?),
in quest’era di covid, sono quotidiane; e per mediazione si sceglie
la strada del “rischio ragionato/calcolato”, dal significato truffaldino,
invece della strada delle azioni di sicurezza, sempre, nella difesa
della vita delle persone.
Sul Mottarone il rischio ragionato/calcolato ha portato la morte.
Perché pare abbiano ragionato sul rischio.
La cabina lasciata senza freni è la metafora di un intero Paese.
Un po’ dappertutto, per scelte temerarie e per egoismo violento,
si registra una corsa a distruggere/aggirare l’idea civile di un limite,
insieme con conseguenti sue norme e suoi controlli,
di quel limite che recita semplicemente “niente contro la persona”,
ora nell’assenza di protezione/sicurezza delle persone sul lavoro,
ora nella criminale manutenzione dei nostri ponti sulle strade,
ora nella pericolosa semplificazione nelle norme per gli appalti,
ora nell’opposizione di classe a una pur timida richiesta di una nuova
tassa di successione.
Per ogni decisione/azione la domanda dovrebbe essere sempre:
qual è il limite?
La riflessione politica sull’importanza di una “cultura del limite”,
sempre in continuo aggiornamento, in dibattiti democratici aperti
e trasparenti, è fondamentale e non può dipendere da ipotesi
di un vantaggio puramente monetario (il vantaggio economico può essere
il risultato di un più complesso studio e non potrà prescindere
dall’obbligo di garantire prioritariamente l’integrità della vita reale delle persone).
E in questo blog non si ha timore di affermare che se ci fossero state donne
di pari numero degli uomini là dove si è deciso di “togliere i freni”,
forse la cabina sarebbe ancora al suo posto.
O no?
Severo Laleo
Caro Scapece,
come va? tutto bene? vedo che sei diventato proprio pigro!
Ma come, ti chiedo via Whatsapp, per essere rapido,
un aiuto a individuare un buon suggerimento bibliografico
su Roberto Bracco, e tu decidi di prenderti tempo?
E vabbè, resterò in attesa.
Sai, di Roberto Bracco non so nulla: ho trovato per caso il suo nome,
leggendo, per tutt'altra ragione, le Lettere di Piero Gobetti alla sua Ada,
e mi ha colpito un suo giudizio molto duro, dell'estate del 1922,
appunto su Bracco; e mi è venuta voglia di saperne di più,
e ho deciso di prendermi una pausa di studio sull'argomento,
sia per capire il perché di un giudizio così severo da parte di un autore,
Gobetti, che per me è un importante punto di riferimento culturale
e etico-politico, ma anche per conoscere un po' più da vicino questo povero
Bracco e veder quel che ha combinato di così tanto improponibile;
tra l'altro si tratta di un figlio della tua (e un po' mia) terra.
(Il richiamo delle radici funziona sempre!)
Ho già letto la sua commedia "La fine dell'amore", un’opera
considerata "valida nella sua leggerezza" da Gobetti stesso,
e ne ho gradita la lettura, ma vorrei anche leggere qualcosa
sulla sua storia personale di uomo, di giornalista, di artista:
so che saprai consigliarmi.
Intanto, a proposito di giornalismo, indovina cosa ho letto in questi giorni?
Il Portavoce di Rocco Casalino. "Come mai?" so già che mi dirai.
Ti sembrerà strano, ma sono stato spinto alla lettura da un senso
di curiosità e di latente rispetto nei confronti di una persona
che nella sua qualità di semplice portavoce veniva attaccato
come se fosse responsabile della politica del governo;
ed erano attacchi semplicemente di rigetto della persona, astiosi,
e senza un motivo esplicitato.
Mi son chiesto: che c'entra il portavoce con il Presidente del Consiglio?
Avrai sentito anche tu tante volte dire con scherno "il governo Conte-Casalino"!
Un fatto inusitato, non s’era mai sentito finora un attacco combinato
al Presidente del Consiglio e al suo portavoce. Come mai?
Che sarà mai questo portavoce!
In verità, poiché ad attaccare con disprezzo il portavoce erano persone
notoriamente use a un linguaggio infantilmente violento, nella maggioranza
e nelle opposizioni, avrei potuto anche lasciar perdere, ma la curiosità,
e quell'atteggiamento istintivo di difendere chi è colpito senza motivo,
hanno dettato la scelta.
E leggendo ho capito fino in fondo tutta la volgarità dei suoi detrattori.
E questo è il miglior esito della mia lettura, sul piano etico e politico,
a prescindere dalla storia personale del Portavoce, anzi dell’ingegnere
Casalino. (Scrivo il titolo per intero non solo perché ho letto tanto soddisfa
il nostro, ma anche perché, da persona del Sud, so quanto sia gioiosa
soddisfazione, un po’ canzonatoria, tra uomini, scambiarsi vociate
con dei gran "dotto', ingegne', professo', avvoca'".)
Infine, non avendo mai seguito una sola puntata del Grande Fratello,
non avevo alcuna necessità di superare pregiudizi vari.
Il libro nasce, a mio parere, da una voglia semplice, e pare sincera,
di raccontarsi, di dire cioè a molte persone, attraverso un impegno di scrittura,
a volte sofferto, altre volte leggero, comunque importante, il suo “caso”,
essendo l’autore il primo a meravigliarsi di tutto il suo percorso di vita,
indubbiamente fuori dal “normale”. E, nonostante il racconto di tanti fatti
molto personali, qualche volta inopportuni nel dettaglio cronachistico,
al punto da crear disagio al buon lettore, ma da dar gusto al palato dei gossipari,
(si dice così?) trovo nell’aggettivo “limpido”, spesso ripetuto,
la chiave di tutto. Limpido, per il nostro ingegnere, in assenza
di una dichiarata ideologia, raccoglie il senso di una visione della vita,
anche nel suo lato politico. L’idea di una “limpidezza” pensata, cercata,
praticata convince, se la convinzione non è l’effetto della sua capacità,
come racconta sempre di sé, di “intortare” le/gli altre/i.
(Segue emoji dell’occhiolino!)
Credo non abbia Casalino pretese letterarie: per lui il racconto è tutto.
Eppure le pagine sulla scuola in Germania e in Italia, nel Sud,
la corsa al cimitero sulle ali di un’idea di “perdono”, la gioia vistosa e vera
(a scrivere è direttamente la gioia stessa!) del suo chiacchierare con la Merkel
(che fa bene a stimare profondamente) con quella voglia fanciullesca di sbattere
un forte “hai visto?” sulla faccia dei suoi compagni di scuola tedeschi,
quelle pagine, ripeto, sono molto gradevoli.
Grazie alla teoria della “complessità”1, cara al nostro ingegnere,
anche Rocco è solo da capire e non da giudicare a occhio;
e per me è (stato) un compito facile, sia per il mio mestiere,
sia per un nostro comune passaggio di vita, questo, riguardante la morte:
“Mio padre aveva cinquantatré anni. Io ventidue” Uguale!
Senti Scapece, alla fine, mi va di augurare all’ingegnere di fare tanta strada
ancora, perché capisco che questo gli piace molto, senza mai dimenticare
però la limpidezza, idea-forza semplice, vincente anche quando si perde.
(Ma vale solo per chi si azzuffa!)
E se, caro Scapece. questo ingegnere ha davvero un fiuto particolare
“nell’individuare al primo colpo i fuoriclasse”, certo non perderà colpi.
Ma per il suo sogno di “una meravigliosa storia d’amore” forse gli basta
uscire da sé e donarsi: per tutte/i cosa un po’ complicata.
O no?
Ti saluto, caro amico, e buone cose,
Severo
E in quel "papà" c'è tutta l'educazione familiare-sentimentale del Sud, nel bene e nel male.
Bracco, chi era costui? Bracco?
Certo, se non avessi letto la stroncatura di un giovane Piero Gobetti
in una lettera del 1922 a Ada Prospero, la sua ancora più giovane
fidanzata (si tratta di freschi ventenni!), forse non l’avrei mai saputo.
Il fatto è che Gobetti, non solo svolge la sua stroncatura
a tutto campo senza pietà del povero Bracco,
scrittore e drammaturgo, ma gli aggiunge anche delle note,
come dire, di carattere regionale, anzi metropolitane:
“non era un veneziano come Goldoni, ma napolitano”,
cioè “presuntuoso, approssimativo, fanfarone”.
Forse è un po’ troppo, specie se hai radici napoletane:
ora a un napoletano gli puoi dare sì dell’“approssimativo”,
soprattutto quando vuole chiudere un discorso,
per tagliar corto e bene, con un “vabbuò ja!”, e gli puoi
anche dare del “fanfarone”, quando vuol far vista d’allegro
con un chiassoso “uè, uè”, ma non gli puoi dare del “presuntuoso”:
il “napolitano” non conosce presunzione, veramente!
Al limite gli puoi giusto dire, e forse per una serie di ragioni storico-sociali
è anche vero, “che ne sa sempre una più del diavolo”,
chiunque esso sia, povero o ricco, capoccione o analfabeta,
perché impara presto a conoscere le turbolenze della vita.
E Bracco (mentre ben altri intellettuali cincischiavano) dimostrerà
di lì a qualche anno, con una scelta politica e morale,
di avere altra pasta d’uomo, non piegandosi al fascismo,
lui pur uomo di mondo e di successo, e di non meritare quelle note
metropolitane, se non bonariamente per gioco tra persone in gamba.
Ma siamo ancora nel 1922, e Gobetti, la cui indefettibile onestà
intellettuale è di esempio per chiunque abbia il dono del pensiero libero,
salva di Bracco almeno la commedia La fine dell’amore,
con questo rapido giudizio: “un’opera valida nella sua leggerezza.”
Ma subito si pente (si fa per dire!) e, al di là dell’opera in questione,
sottolinea: “...anche il suo stile ha una imprecisione e una falsa
pienezza di voluttà viziosa e napoletana che circuisce e disgusta”.
Aiuto!
Ho sentito così, istintivamente, il bisogno di leggere almeno
quell’opera, per capire meglio questo Bracco e farmene una mia idea,
non solo in rispettosa stima nei confronti del Gobetti critico
(che merita sul punto un approfondimento in altra sede),
ma anche con l’intima volontà di onorare la memoria
di un antifascista della prima ora, pronto, senza esitazioni,
a pagar di persona.*
Ebbene, La fine dell’amore è davvero un’opera “valida”,
scritta con un piglio leggero e divertente, con qualche garbata staffilata,
(è definita una “satira” in quattro atti), ma un piglio, a suo modo, fermo
nel denunciare (forse il termine nella sua valenza attuale è troppo forte
e importante per il caso) la vacuità (con nota di squallore nel personaggio
Rivoli), di un mondo maschile dal quale Bracco sembra prendere bene
le distanze, cercando al contrario di concedere alla sola figura femminile Anna
la possibilità di comprendere il significato pieno dell’amore tra un uomo
e una donna, con un cenno vago e fugace all’esistenza di una questione
femminile (il personaggio Albenga segue “conferenze feministe”!).
Il tutto, appunto, in “leggerezza”, ma una leggerezza gradevole
quasi sollecitante tenuemente una riflessione sull’essere donna
tra cotanti uomini.
O no?
Severo Laleo