giovedì 26 giugno 2025

Pedro Sanchez e il dovere principe della politica

 Il governo spagnolo, nella persona del Primo Ministro Pedro Sanchez,
si è impegnato, nel recente vertice dell’Alleanza Atlantica, a preservare
l'unità” della Nato, senza dover aumentare la spesa per la difesa
al 5 per cento del Pil.
In breve, ha dichiarato Sanchez, "la Spagna non spenderà il 5 per cento
del suo Pil per la difesa, ma la sua partecipazione, il suo peso
e la sua legittimità nella Nato rimarranno intatti". Perfetto!
Ma perché la Spagna non ritiene di dover spendere il 5 per cento
del suo Pil per la difesa?
Ebbene, per dare un’idea dell’importanza nuova e della responsabile
serietà dei ragionamenti politici di Sanchez (specie in un contesto
in cui Trump sa solo straparlare -e minaccia dazi per vendetta!-
e Rutte sa solo adulare, entrambi senza una sofferta “visione
del mondo), si riportano di seguito alcuni brani della sua dichiarazione.
 Afferma Sanchez: “Comprendiamo la difficoltà del contesto geopolitico;
rispettiamo pienamente, come è naturale, il legittimo desiderio
degli altri Paesi di aumentare i propri investimenti nella difesa,
se lo desiderano, ma noi non lo faremo”.
Ecco la novità importante: “Noi non lo faremo!”
Non usa espressioni ambigue Sanchez, è chiaro. 
E spiega le sue ragioni: “Non lo faremo ... perché nel nostro caso,
il 5 per cento del nostro prodotto interno lordo speso per la difesa
sarebbe sproporzionato e inutile -ancora parole chiare:

sproporzionato e inutile”- ... non ha senso che il governo spagnolo

si impegni a spendere il 5 per cento del Pil per la difesa.

Farlo ci costringerebbe a rompere la nostra promessa, a sperperare

-ancora parola forte: "sperperare!"- miliardi di euro e,

paradossalmente, non ci renderebbe più sicuri o alleati migliori.

In definitiva, ci allontanerebbe

dalla vera soluzione, che è quella di procedere verso la creazione

di un’Unione Europea di sicurezza e difesa.

Solo nelle parole di Sanchez è possibile ancora scorgere, per fortuna,
la permanenza di un legittimo democratico rapporto tra "popolo"
e "governo", rapporto saltato in Europa (il Parlamento si attiva contro
il Consiglio!) e in ogni altro Stato europeo: nessun "popolo"
è stato chiamato a partecipare a una così grave, nuova, imprevista
decisione, nata solo dal vociare alto e minaccioso di un Presidente Usa

fuori controllo e vendicativo.
Sanchez è il solo a tener vivo questo rapporto, non inseguendo

altre "autorità", se non il pieno rispetto della "sua promessa".

Una lezione magistrale!
E continua:
L’umanità oggi ha bisogno di più sicurezza, ma anche di molta
più diplomazia, di molta più cooperazione e solidarietà tra i Paesi e,
quindi, di più speranza.
Il mondo, come stiamo vedendo attualmente dai media, sta iniziando
a scrutare un abisso oscuro. Stiamo normalizzando il fatto che alcune
potenze si bombardino a vicenda, che i loro leader si scambino minacce
nucleari e che sia la popolazione civile a subire tutte queste conseguenze.
Il nostro Paese, la Spagna, non può voltare le spalle a questa realtà,
ma non dovrebbe nemmeno accettarla come normale.
Dobbiamo proteggerci da queste nuove minacce, è ovvio,
ma dobbiamo anche esigere moderazione reciproca e ricordare
al mondo e a noi stessi, e la storia ce lo insegna,
che le guerre non hanno mai vincitori ...
la Spagna ha una vocazione chiara: pace e sviluppo, cooperazione e multilateralismo. Non vogliamo più conflitti; ciò che vogliamo
sono più diritti, più giustizia, più dignità, perché il modo migliore
per evitare le guerre è generare prosperità e speranza.
E se è vero che per raggiungere questo obiettivo abbiamo bisogno
della capacità di deterrenza, abbiamo anche bisogno della ferma volontà
di preservare la pace. E in questo ambito e con questa aspirazione,
la Spagna ci sarà sempre
Ed ecco, in queste parole, il dovere principe della politica nel suo guardare
al futuro. E mentre tutti, in un'Europa smarrita, corrono dietro al riarmo
per il riarmo, nutrendosi di vieti falsi slogan, senza esprimere una visione
e una strategia di lunga portata, anzi continuando a credere, spesso ammutoliti
fan di Trump, al ruolo salvifico della FORZA per imporre la pace, Sanchez, solitario, svolge ragionamenti politici e indica, da persona riflessiva,
una strada diversa rispetto al semplice uso della forza: l'umanità non può continuare a credere nel  consumato e fallimentare principio del "si vis pacem,
para bellum", perché la logica del preparare la guerra è sempre sfociata,
alla fine, nella guerra, e questa volta la guerra potrebbe essere l'ultima.
Tra troppi statisti, innamorati solo del POTERE (molti analisti pensano
addirittura sia diventata la guerra -è il caso soprattutto di Netanyahu-
una "strategia" per tenere stretto il potere a fini personali), Sanchez
chiama il potere e i potenti a "preservare la pace".
E apre l'intelligenza alla speranza.
Solo il garantire "più diritti, più giustizia, più dignità" per ogni persona
al mondo potrà restituire alla nostra civiltà in pericolo, con la fine
di ogni conflitto, il senso dell'umana solidarietà.
O no?
Severo Laleo
P.S. Grazie Sanchez, non perda la voglia di usare sempre la "parola".


domenica 22 giugno 2025

La guerra, i maschi e Dio


 Ed eccoli qui, i MASCHI più potenti del mondo, lugubremente insieme, dopo aver lanciato le bombe sull'Iran. 

E senza vergogna, il CAPO, lì davanti gracchiante, incapace di parole nuove, ritorna, secondo l'antico barbaro rituale, a invocare DIO.

Non è da credere! Non è da credere!

Il Presidente degli Stati Uniti, dopo aver collocato l'"odio" nel campo avverso, definito "bullo" il suo nemico, osa, con blasfema sicurezza, associare alla sua decisione di guerra l'AMORE e DIO, non si sa quale: "Amiamo DIO e il nostro grande ESERCITO", e a seguire, naturalmente, ama, quel presidente, le bombe e la morte. 

Sì, la morte, soprattutto di persone, ma anche di territori e ambiente, è l'unica prevedibilissima conseguenza di ogni guerra. Eppure si lascia il destino del mondo alla corriva tendenza dei capi, sempre maschi, di usare la forza e solo la forza. Vincere o perdere: non si conosce né si pratica altra logica. 

L'interminabile, sconvolgente, davanti agli occhi di tutti, eccidio di persone a Gaza, è un terribile esempio di questa logica, capace di spegnere, con la sua atroce continuità, ogni norma del DIRITTO e, forse, ogni residuo di umanità in ognuno di noi.

Prima di arrivare a usare la "parola", questi maschi, devono mostrare muscoli di morte.

Nominiamo questi grandi responsabili di morte ognuno con il suo "orgoglio", di ragione e di torto: Putin, Zelensky, Hamas, Netanyahou, Khamenei, Trump (e altri silenti e/o complici). Tutti, ciascuno a suo modo, al di là anche dell'origine e della natura del Potere, hanno in comune una visione della vita fondata esclusivamente sul dominio dell'altro, a volte fino alla sua eliminazione o alla propria autodistruzione: la storia è là, maestra, dinanzi a noi.

Alla fin fine, i bulli sono dappertutto nel mondo!

Forse solo una ribellione mondiale, con manifestazioni e inerzia sabotatrice, soprattutto di donne, e uomini di pace, può cambiare questo correre "fiero" verso la morte.

O no?

Severo Laleo


mercoledì 18 giugno 2025

Il mio amico O.

 Caro Scapece,

purtroppo devo confermarti quella notizia/sospetto di cui ti parlai l'anno scorso: il nostro caro comune amico di Ariano, è certo ora, non sta bene. Ieri ho chiamato una sua vicina di casa (il telefono di O. non squilla più da un po') che, nella lingua della vita, mi ha detto commossa: "Non ci sta più con la testa!" 

Povero il nostro amico! E mio compagno di liceo. Vorrei gridare, anche a chi si è scontrato con lui, che O. ha dedicato tutta la sua vita di lavoro a un assoluto rigore morale, senza il minimo segno, come dire, di personale fierezza, anzi nella sua più naturale normalità. E ha vissuto la sua solitudine, nonostante la sua dolce vena amicale, apparentemente con buona gestione, ma nessuno credo può conoscere i suoi tormenti, che a volte mi pareva di cogliere nelle sue pause durante le nostre lunghe conversazioni a passeggio, quando all'improvviso, per un qualche ignoto motivo, smorzava il suo sorriso in una maschera di tristezza. 

Annegava per fortuna gioiosamente la sua solitudine nel paesaggio avito in lunghissime solitarie passeggiate multichilometriche, innamorato vero di pianori ondulati, di verdi monti, di tramonti indicibili: nei sui racconti, a voce, senza foto, tutta la felicità del suo essere con/nella natura! E spesso, al termine di interminabili camminate, ecco gli incontri di generosa convivialità con gli amici. La sua generosità, figlia di un istintivo distacco da ogni oggetto, è l'altro tratto forte della sua personalità. 

E ora è ancora più solo, chiuso nel suo sé. 

Spero tanto di incontrarlo presto per strappargli almeno un antico sorriso.

E devi sapere, caro Scapece, che il nostro amico, pur condizionato da ragazzo e in giovane età da un chiuso ambiente di destra molto conservatore, è riuscito, attraverso il confronto con gli altri (e quanti duri giovanili scontri anche con me!), scivolando lentamente nella vita, attraverso gli studi e l'analisi del reale, ad approdare, da persona diventata ostinatamente libera, ad una concezione liberalsocialista della società.

E ora la sua libertà dipende dall'intelligenza, speriamo buona, di chi l'assiste. 

E vabbè! Così va la vita.

Scusami Scapece, avrei voluto parlarti del libro di Chandler, ma O. mi ha preso la mano (e l'amicizia è un sentimento a cui si obbedisce).

Buone cose

a.

domenica 8 giugno 2025

Democrazia, riforme istituzionali, referendum

 Brevissima riflessione sul futuro della democrazia, oggi, nel giorno della tornata referendaria. La democrazia, così come la conosciamo oggi, è fondamentalmente costruita/definita, dappertutto, su/da una serie di diversi sistemi elettorali a partecipazione popolare. E dappertutto è evidente una crisi di partecipazione. Specie negli ultimi decenni abbiamo assistito a un depauperamento continuo, anche sul piano culturale, della partecipazione democratica. 

Sempre più persone, disgustate dai comportamenti delle classi dirigenti, in Italia spesso davvero deprimenti e insopportabili, non partecipano al voto. Al rito elettorale partecipano in grandissima parte i militanti e gli amici degli amici. E con l'arte, in aggiunta, dell'indirizzamento e controllo del voto tramite le nuove tecnologie, abbiamo visto salire ai posti di governo personaggi di scarsa preparazione culturale, etica e politica, per non dire peggio, dimostrandosi, in questo, bravissima la destra populista. Un esempio per tutti: Trump negli Stati Uniti. Si è oltre ogni limite, dal linguaggio insultante alle decisioni irrispettose della dignità umana. 

Forse è il caso, soprattutto da parte delle forze politiche ancora sinceramente civili e democratiche, di riflettere su nuovi sistemi elettorali tali da combinare insieme sistemi a sorteggio con sistemi elettorali a voto, tali da portare nelle sedi/assemblee istituzionali di dibattito politico la parità assoluta uomini/donne (la cultura maschilista è ancora un peso troppo dominante); infine sì può riformare, conseguentemente, l'attuale sistema di potere di governo ancora di tipo monocratico, l'uomo solo al comando (dappertutto, essenzialmente), in un sistema di governo di tipo duale, non più un "capo", ma una coppia, un uomo e una donna (bicratismo) a esprimere la direzione.

Eppure, nella crisi generale delle democrazie, la partecipazione al voto attraverso i referendum costituisce ancora l'unica possibilità di farsi ascoltare direttamente senza provare alcun disgusto. Se esiste ancora un significato per la democrazia è grazie al voto referendario: ogni persona può esprimere il suo Sì o il suo No su normative importanti che riguardano in genere la vita della società intera. Quando i partiti suggeriscono l'astensione solo strumentalmente e solo per sminuire l'esercizio di una libera scelta, feriscono intenzionalmente la democrazia, soprattutto ferendo un aspetto vivificante della nostra "civiltà delle relazioni". Spero si realizzi, anche attraverso questo referendum, uno scatto di dignità politica da parte di ogni persona libera. Il voto referendario resta ancora l'isola di salvezza della partecipazione democratica.

E può aprire speranze a possibili cambiamenti, nel cammino verso la civilizzazione dell'umanità. 

O no?

Severo Laleo

PS. Vado a votare.

sabato 7 giugno 2025

La pace non è garantita dall'incremento degli armamenti ma dall'estensione della democrazia e dei diritti.

 La gran parte della classe dirigente europea, sia se al governo sia se all'opposizione, è schierata con l'idea di difendere l'Europa con l'incremento degli armamenti militari. 

Si sostiene che senza sistemi d'arma adeguati e d'avanguardia, per l'acquisto dei quali bisogna fare enormi sacrifici economici, sempre a scapito delle classi povere e medie, di fatto riducendo, proprio a seguito di tagli al welfare, l'agibilità democratica e sociale di un paese, si sostiene, ripeto, che non sia possibile difendere a lungo l'Europa e la sua civiltà da eventuali aggressori, e si ha in mente la Russia di Putin (e forse solo Putin).

Ora, immaginiamo per un attimo che un "mostro" aggressore, potente in armi, occupi militarmente un paese dell'Unione Europea, dopo una guerra atroce, c'è forse qualcuno che può sostenere che un paese democratico dell'UE possa adattarsi così facilmente ad un occupante "straniero"? Potrebbe mai un paese dalla viva coscienza democratica piegarsi a controlli dittatoriali di un qualunque aggressore? Quanto tempo potrebbe durare un'occupazione di questo tipo? Un nulla!

Riflettiamo. 

A garantire la libertà, insieme alla difesa dei nostri stati democratici, non sarà l'incremento degli armamenti, ma l'estensione della coscienza democratica, investendo le risorse immaginate per il riarmo in interventi sociali, economici e culturali. Più un popolo è educato alla democrazia, più un popolo è libero di esercitare i suoi diritti civili, nel senso più ampio possibile, più un popolo è coeso e solidale, senza dubbio saprà resistere con più determinazione a qualsiasi ipotesi di occupazione.

È politicamente sbagliato ritenere che le armi garantiscano la pace; la pace è nella struttura democratica di ogni paese. 

Forti e sicuri in questa convinzione, si abbia la forza, il coraggio, e soprattutto una nuova determinazione a tirar fuori tra i confliggenti il "discorso", le parole giuste per aprire tavoli di trattative. E questo è un compito storico dell'Europa, anzi la sua missione etico-politica.

Solo la "parola" ucciderà la guerra.

O no?

Severo Laleo

domenica 11 maggio 2025

"Mai più la guerra". Lettera aperta (si fa per dire!) a Papa Leone XIV

 Caro Leone XIV,

dispiace dire, ma avrai un gran da fare nel continuare l'opera di Papa Bergoglio, soprattutto nel rendere chiara a tutte e a tutti la direzione del cammino spirituale (e sociale) della Chiesa. Un'opera enorme, eppure necessaria. E attesa, anche per un'opera di riconciliazione interreligiosa, allargata e profonda.

Il mondo è a un suo bivio in questi nostri tempi di crisi e dovrà presto scegliere tra "istinto di morte/guerra" e "dovere di conservar vita/pace". La tua scelta, si sa, è già segnata, si spera diventi attiva e coinvolgente.

E dovrai comunque, per il bene di ogni persona, credente o laica, subito preoccuparti di tenere salda l'organizzazione della Chiesa "in spirito e verità".

Per questo, e per una pace attiva, dovrai organizzare incontri ecclesiali ecumenici (un nuovo Concilio?), con sedi a Kiev e a Mosca, e in Terra Santa, sia a Gerusalemme sia a Gaza, 

Difficile? Certo, ma solo tu, caro Papa, potrai fare cose difficili, dando un senso concreto alle parole del Vangelo, in continuità con l'impegno di pace di Francesco.

Tu vedi con chiarezza quanto il mondo sia ancora regolato dal principio della forza, quanto sia ancora succube del retaggio aculturale dell'uomo forte, pronto a ridurre al "silenzio" l'altro, fino al silenzio mortale, in quanto incapace dell'esercizio culturale della "parola" per costruire la coesistenza. Il "mai più la guerra" passa solo attraverso la pratica della "parola"!

Sarà quindi tuo compito dimostrare l'insensatezza dell'uso della forza nelle relazioni tra stati (e persone) con una proposta/azione di responsabilità e mitezza, magari aprendo anche una sessione speciale dell'Onu: il fine è salvare la vita sulla terra. Non hai forse parlato di "pace disarmata e disarmante"?

Per quanto riguarda le relazioni tra persone, qualunque stato sociale occupino, persone ricche o povere, persone residenti o immigrate, persone abili o non abili, basta insistere con forza su un dato: ogni persona ha diritto alla sua esistenza, a vivere secondo dignità, a non soffrire per mancanza di alimentazione, di cure/salute, di vestiario, di abitazione, di educazione, di spazi/opportunità di libertà, di solidarietà, di convivialità; in breve, ogni persona ha diritto ad avere tutto quanto è necessario perché possa provare la pienezza del rispetto di sé. E ancora: ogni persona ha il diritto di gestire liberamente la propria vita, secondo la sua volontà, sempre nel rispetto di ogni altra persona, senza uso di forza, di manipolazione o di altre forme di sfruttamento. Si spera nessuna tua decisione possa creare problemi a chi per natura e/o cultura già soffre situazioni di profondo disagio: non esiste la "normalità" e non può essere utilizzata la"normalità" per giustificare la violenza reale o la violenza dell'indifferenza.

Se le persone povere fuggono da miseria, e spesso da guerre (per le persone ricche è tutto più facile!), in cerca altrove di un posto migliore dove andare a vivere è giusto aprire giuste strade di accoglienza e lavorare nella grande comunità mondiale per rendere migliori i posti dove si può rimanere a vivere. E per far questo bisogna cambiare la logica del convivere; ad esempio, riconvertire le spese per le armi in spese per il benessere, costruendo case, garantendo lavoro, distribuendo reddito, favorendo ogni condizione di vita utile perché ogni persona possa esercitare la sua libertà in piena dignità. Ed è tutto possibile.

E che dire delle donne? Qualcosa dovrà pur cambiare nella Chiesa. Per equità, e senza necessità di inutili dimostrazioni, le donne nella scelta delle azioni riguardanti il "mondo" (e non solo) dovrebbero poter avere la stessa responsabilità decisionale ora riservata agli uomini, dovrebbero, in breve, poter incidere nella realtà prendendo le decisioni sempre insieme con gli uomini e non solo quando capita casualmente. Non esiste parità se non è garantita dappertutto la parità. È semplice a dirsi e sarebbe molto più semplice a farsi con semplici riforme a livello di istituzioni. 

Caro Leone XIV, dispiace dire, ma avrai proprio un gran da fare. 

Buone cose

Severo Laleo



martedì 29 aprile 2025

Una riforma per un'altra foto: guerra/pace e maschi alfa.


 Oggi, 29 Aprile, è possibile leggere su Domani un articolo di Gianfranco Pellegrino davvero interessante per più di un aspetto, e già dal titolo "La foto dei "volenterosi". Guerra e pace restano affare da sodalizi di maschi alfa".

A partire appunto da una foto svolge l'autore una serie di riflessioni sul Potere e sui suoi "riti' iconici e gestuali, in "un'atmosfera di consorteria (tutta) maschile". L'autore, pur consapevole del suo sguardo condizionato da "parzialità maschile", prova a osservare la foto con cura, direi da esperto di storia, e riesce a produrre un'analisi convincente e reale. E sulla foto conclude: "Questa foto evoca lo sguardo maschile sul mondo nel momento stesso in cui lo mette in scena, rappresentando i maschi potenti come ce li aspettiamo: sodali fra loro, intenti a fare e disfare la pace e la guerra, tanto garanti della forza pacifica quanto responsabili della forza distruttiva". E oltre la foto l'autore continua a osservare: "Vediamo appunto la recita della maschilità, la mascolinità che domina ancora il mondo ufficiale, la politica, le sorti di tutti, maschi e femmine. Vediamo l'assenza di un qualsiasi contraltare a questa mascolinità piuttosto tipica. In questa, come in altre foto ufficiali, non ci sono maschi atipici, e chissà poi che cosa sono i maschi atipici: maschi decostruiti, maschi senza la divisa d'ordinanza delle grisaglie e dei doppi petti, maschi che non si atteggiano a leader? E non ci sono donne".

Ecco il punto, non ci sono donne. E il problema non è certo "mitigare l'aria da sodalizio mascolino" con una presenza femminile a caso (Meloni).

E qui l'autore si ferma nelle osservazioni. Non va oltre. Eppure sarebbe facile continuare a riflettere. E chiedersi: perché il Potere è solo ancora maschile? Semplice. Perché questo nostro Potere, con la sua organizzazione, è figlio di un sistema istituzionale nato e cresciuto dal e nel patriarcato. Il mondo è composto da uomini e donne (nella sua semplificata opposizione binaria), ma il sistema di Potere è solo maschile, anche se a raggiungere l'apice può essere casualmente una donna. 

Bisogna cambiare le istituzioni: parità assoluta uomini/donne in ogni sede, a ogni livello, di dibattito/assemblea e di decisione/governo, sostituendo infine il monocratismo (l'uomo solo al comando!) con il bicratismo (guida/leadership duale uomo/donna). 

Solo così forse, almeno per ora nelle democrazie occidentali, sarà possibile vedere un'altra  foto del Potere.

O no?

Severo Laleo

mercoledì 16 aprile 2025

Si vis pacem para democratiam

 "Vedo nel triangolo Usa, Cina, Russia la presenza di diversamente fortissimi e deprecabilissimi elementi, congiunturali e strutturali, di autoritarismo. Credo che la conclusione adeguata del come reagire se vogliamo la pace consista nel suggerire, richiedere, cercare di introdurre elementi di democrazia, di diritti e doveri e loro osservanza, nella pratica interna e nel sistema/ordine internazionale. Si vis pacem para democratiam".

Così oggi chiude il suo articolo Gianfranco Pasquino su Domani. E da pacifista convinto, e non a corrente alternata, trovo la proposta nuova e da accogliere subito, anche se è difficile immaginare possa avere successo in questi tempi di crisi della democrazia. Rimane cmq un memento importante per il futuro, si spera prossimo.

Eppure al termine "democratiam" si potrebbe aggiungere l'aggettivo "paritaria", nel senso di una democrazia costruita, a ogni livello, dalle assemblee/parlamenti alle sedi di giunte/governi, su istituzioni dove la presenza di uomini e donne sia perfettamente alla pari, sino ai vertici, dove al "singolare" (il capo o la capa: monocratismo) si sostituisca il "duale" (bicratismo: un uomo e una donna).

Perché? Perché l'attuale assetto istituzionale è figlio esclusivamente della cultura maschilista/patriarcale e ha certo bisogno di una riforma.

E una conferma dell'origine maschia delle istituzioni può leggersi anche nell'articolo di Pasquino, inserito in un dibattito da altri aperto e più ampio. In realtà -si racconta- i tre leader mondiali, Donald Trump, Xi Jinping e Vladimir Putin sembrano ormai coinvolti dentro una "sfida" tutta di tipo machista, quasi imprigionati da una necessità culturale ad personam. E in questa sfida, scrive Pasquino, "chi si dimostra chicken, vale a dire fifone, sarà costretto a lasciare la guida di quel sistema politico, a maggior ragione se l'aveva conquistata promettendo il ritorno della grandezza del passato".

Se questa è la realtà (con i conseguenti gravissimi rischi per il mondo intero), è forse il caso di incrementare sì le regole della democrazia, e soprattutto nella direzione della parità uomini/donne, almeno per superare i limiti propri di una visione solo maschilista del "potere". E potrebbe il "potere" stesso esser visto forse come un "bene" (e non più come un "male").

O no?

Severo Laleo

martedì 15 aprile 2025

Femminismi di tutto il mondo unitevi! (per il bene comune)

 Leggo oggi con grande interesse e sconcerto l'articolo di Nadia Urbinati su Domani, 15 Aprile, dal titolo "Violenza sulle donne. La destra contribuisce a un'ideologia maschilista".

Che nel mondo fosse così diffuso, a ogni livello sociale, questo ritorno ad un virilismo/maschilismo fuori tempo e aggressivo ("manosfera"), non avrei mai immaginato. Proprio l'altro giorno, sempre su Domani, leggendo un articolo di Raffaele Simone, ho trovato, sia pure in un contesto più ampio e complesso (guerra/pace), un riferimento alla "maschiosfera" e alle sue pericolose conseguenze, in termini di violenza, sul piano comportamentale di tanti giovani.

Certo, è vero, a dare sostegno a questa esasperata mentalità maschilista è la destra mondiale, ma è pur vero che tutto l'armamentario maschilista ha origini antichissime. 

Cosa si può fare? 

Forse è arrivato il momento che il tutto il mondo femminista faccia una chiara e forte scelta politica, definitiva, tra teoria e prassi, ragionando sulle istituzioni politiche e prendendo posizioni "nuove". (Verrebbe da dire, femministe/i di tutto il mondo unitevi!)

È il caso di ragionare sull'idea di "potere" (e della sua organizzazione) per tentare di modificare la cultura dell'isolazionismo maschilista (sembra questa la direzione di tanto fervore virile!).

La destra autoritaria al potere nel mondo sostiene sì una visione maschilista del vivere, anche quando a dirigere, dal trono del "comando", si sceglie una donna, ma il virus maschilista è nella struttura stessa del potere, nella sua "cultura", nei suoi meccanismi, tra l'altro sempre più danarosi, per conquistarlo.

La struttura liberaldemocratica del potere politico, mentre è casuale nel numero dei rappresentanti tra uomini e donne, diventa monocratica al suo culmine, dando vita a una figura solitaria: capo/a solo/a al comando. 

Ma questa struttura è la diretta conseguenza culturale del maschilismo, nella sua forma più pura di esito di una lotta/combattimento /duello per la supremazia.

Per evitare ogni violenza di genere, mondo maschile e mondo femminile (almeno secondo le differenze presenti oggi nel dibattito generale) devono avere pari opportunità di accesso al potere nel rispetto di nuove regole istituzionali: cioè parità assoluta uomini donne in ogni sede di dibattito/decisione, in ogni sede di governo, e soprattutto rompere il monocratismo della singolarità del/la capo/a con la dualità uomo/donna all'apice della direzione politica (bicratismo).

Forse, almeno nel centrosinistra, tra uomini e donne di buon volontà, determinati/e a guardare al futuro, con il fine di estendere la forma partecipativa della democrazia, è auspicabile nasca un'intesa per una riforma istituzionale fondata sulla parità reale e assoluta uomini/donne. E chissà, solo un confronto strutturalmente alla pari uomini/donne potrebbe garantire il superamento di ogni ideologia di sopraffazione.

O no?

Severo Laleo



sabato 12 aprile 2025

Dirigente classe di destra

 Si è già incaricato, e a suo modo, Gramellini di chiosare il discorso (si fa per dire!) di Lollobrigida sulla moltiplicazione del vino e il discorso (si fa per dire!) di Nordio sulla colpa (e quale colpa!) dei giudici nel sovraffollamento delle carceri. 

Certo, di fronte a così assurde manifestazione di pensiero è lecito sì sorridere, ma sarebbe giusto soprattutto indignarsi, perché chi ha la responsabilità di governare dovrebbe dimostrare di possedere almeno un elementare buon senso. E Lollobrigida e Nordio hanno superato il segno già più volte: hanno aggiunto a vecchie sguaiataggini nuove insulsaggini!

Chissà, forse per la tranquillità del ministro della giustizia, sarebbe opportuno, dato il livello delle argomentazioni, chiedere al ministro dell'agricoltura di intercedere presso chi sa, essendo, a suo dire, persona di fede, anche per la moltiplicazione, non solo del vino, bensì delle carceri.

O no? 

Severo Laleo

giovedì 10 aprile 2025

Ma è la violenza/guerra un'eterna condanna?

 Caro Scapece,

hai letto su Domani di Sabato, 5 Aprile, il bell'articolo di Raffaele Simone, come al solito chiaro e stimolante, dal titolo "Cercare le origini della conflittualità. Soltanto così capiremo questo tempo"? Se sì, perché non me ne hai parlato subito? Tu sai quanto sia sentito il mio interesse a capire "le origini della conflittualità", e quindi della guerra! Vabbè, ti perdono, ma ti infliggerò, a mo' di penitenza, questa mia rapida lettura/riflessione.

Sai, nel suo articolo, Simone, dopo aver sottolineato la diffusione, in questi tempi di "riarmo", di una "mentalità guerriera", e cita a proposito il "rozzo" Hegseth, analizza due "importanti" libri, "animati da un esplicito spirito hobbesiano [<Homo homini lupus>]". Per dirti in breve, la tesi di fondo del libro di Gianluca Sadun Bordoni, "La guerra e la natura umana", è che la guerra "è comunque sempre con noi" e che la pace è "un'invenzione moderna"; e anche per Alfio Mastropaolo, autore del libro "Fare la guerra con altri mezzi", un'analisi "serrata" e "fittissima -scrive sempre Simone- di riferimenti storici e dottrinali", la guerra, alla fin fine, si conferma "permanente".

Come vedi, caro Scapece, mi tocca per forza aggiungere questi altri due libri all'elenco dei libri da leggere, sia perché è giusto capire meglio le ragioni delle tesi dei due autori, sia per controllare se è stata presa in considerazione l'idea (se può esistere) che la guerra in realtà sia un'invenzione culturale solo maschile (non dirmi niente, tanto conosci la mia fissazione!).

Ebbene, chiusa l'analisi dei libri, Simone osserva la presenza, accanto alle guerre "in grande", delle guerre "in piccolo", quelle tra "persone e gruppi: baby gang, coltelli o armi in tasca, challenge e provocazioni, giochi pericolosi, stupri di gruppo, bravate criminali... Se le guerre in grande derivano dallo scontro dei macrosistemi analizzati da Mastropaolo, quelle in piccolo crescono e si nutrono nel malsano brodo di violenza creato dalla fusione del mondo mediatico col mondo reale". Simone, continuando nella sua osservazione, conferma (e sottolinea?) l'esistenza di una "maschiosfera" in quel mondo culturale di "guerra permanente"; e alla fine s'interroga: "Come non sospettare che le guerre in grande siano la versione ingigantita e mortifera di quelle in piccolo loro base comune sia la propensione umana alla violenza?"
Il sospetto è condivisibile, anche se forse è possibile sostituire l'aggettivo "umana" , accanto a "propensione", con l'aggettivo "maschile".
O no?
Stammi bene Scapece, e sempre buone cose,
il tuo Severo.

mercoledì 9 aprile 2025

Trump, il limite e le risate repubblicane

 Nelle relazioni tra persone, sempre, ma specie se investite
di un ruolo pubblico, la norma, non solo formale,
ma decisamente sostanziale, è il reciproco rispetto.
E cos'è il rispetto? Essenzialmente il rispetto è il considerare
l'altra persona alla pari, appunto nel rispetto pieno
di una comune dignità: in breve, la dignità della persona
rappresenta il limite oltre il quale a nessuna/o
è consentito andare; superato il limite, si cade nell'oltraggio.
Ed è subito violenza!
Ebbene Trump, uso all'oltraggio volgarviolento per chi non è con lui
e agli elogi spropositati e elementari per chi gli è fedele,
non conosce il limite e vede, con tronfiocomica vanità personale,
nelle altre persone (nel caso in questione, nelle/i rappresentanti
di altri Stati) semplicemente
"una fila di supplicanti pronti a baciargli il culo!"
Che il vocabolario di Trump (per non parlare della sua logica)
sia infantile e volgare, può anche essere tollerato, ma che quel vocabolario,
segno di una visione sprezzante della relazione con l'altra/o,
possa suscitare "risate" nel Comitato nazionale repubblicano
marca la fine (temporanea cmq) del discorso politico: la democrazia
s'inchina al Capo!
O no?

Severo Laleo

P.S. E ora a tutta birra con le esecuzioni capitali: la civilizzazione dell'America è a una sua svolta raccapricciante.

sabato 5 aprile 2025

E i senatori Usa Cantwell e Grassley scoprono la cultura del limite

 Il Trump obsoleto e goffo del cartellone daziario, gonfio del suo personale potere, illustra la sua decisione commerciale ai suoi sudditi e suddite obbedienti. Il mondo osserva, tra ammirazione latente e viva preoccupazione, il potente capo decisionista maschio con cartellone, e già tanti qui e là corrono a elogiare il potere dell'Uno, il nuovo Putin dell'occidente (e c'è chi in Italia ritorna a inseguire con rapidità l'approvazione del premierato! E sottintende: la democrazia è lenta e limitante).

Appunto, la democrazia è l'arte di definire "limiti" al potere (eppure in tutto il mondo ancora nessuna/o tocca/riforma l'arbitrarietà del monocratismo in sé, quale esito di una cultura esclusivamente patriarcale!)

Così, negli Usa, ucciso (si crede, almeno!) il Deep State, si risveglia, con una sua credibile voce, la rappresentatività della politica e due senatori, bipartisan, aprono il ciclo critico.

Ed ecco di seguito, proprio a segnalare il senso di una "cultura del limite", quanto si legge nel sito senatoriale di Maria Cantwell:

"I senatori Cantwell e Grassley presentano un disegno di legge bipartisan per riaffermare il ruolo commerciale del Congresso. La legislazione richiede al presidente di spiegare il ragionamento e gli impatti delle nuove tariffe al Congresso entro 48 ore; tutte le nuove tariffe scadranno dopo 60 giorni a meno che il Congresso non le approvi esplicitamente.

WASHINGTON, DC – Oggi, i senatori statunitensi Maria Cantwell (D-WA) e Chuck Grassley (R-IA), entrambi membri senior del Senate Finance Committee, hanno presentato una legislazione bipartisan per riaffermare il ruolo chiave del Congresso nell'impostazione e nell'approvazione della politica commerciale statunitense. Il Trade Review Act del 2025, modellato sulla War Powers Resolution del 1973, ristabilirebbe i limiti alla capacità del presidente di imporre tariffe unilaterali senza l'approvazione del Congresso.   

"Le guerre commerciali possono essere altrettanto devastanti, motivo per cui i Padri Fondatori hanno dato al Congresso la chiara autorità costituzionale sulla guerra e sul commercio. Questa legge riafferma il ruolo del Congresso sulla politica commerciale per garantire che le politiche commerciali basate su regole siano trasparenti, coerenti e avvantaggino il pubblico americano. Le tariffe arbitrarie, in particolare sui nostri alleati, danneggiano le opportunità di esportazione degli Stati Uniti e aumentano i prezzi per i consumatori e le aziende americane", ha affermato il senatore Cantwell. "Come rappresentanti del popolo americano, il Congresso ha il dovere di fermare le azioni che causeranno loro danni".

"Per troppo tempo, il Congresso ha delegato la sua chiara autorità di regolamentare il commercio interstatale ed estero al ramo esecutivo. Sulla base dei miei precedenti sforzi come presidente del comitato finanziario, mi unisco al senatore Cantwell per presentare il Trade Review Act bipartisan del 2025 per riaffermare il ruolo costituzionale del Congresso e garantire che il Congresso abbia voce in capitolo nella politica commerciale", ha affermato il senatore Grassley.

Il disegno di legge ripristina l'autorità e la responsabilità del Congresso in materia di tariffe, come delineato nell'Articolo I, Sezione 8 della Costituzione, ponendo i seguenti limiti al potere del presidente di imporre tariffe:

Per promulgare una nuova tariffa, il presidente deve notificare al Congresso l'imposizione (o l'aumento) della tariffa entro 48 ore.

La notifica al Congresso deve includere una spiegazione delle motivazioni del presidente per l'imposizione o l'aumento della tariffa, e

Fornire un'analisi del potenziale impatto sulle aziende e sui consumatori americani.

Entro 60 giorni, il Congresso deve approvare una risoluzione congiunta sulla nuova tariffa, altrimenti tutte le nuove tariffe sulle importazioni scadono dopo tale termine.

In base al disegno di legge, il Congresso ha la facoltà di porre fine alle tariffe in qualsiasi momento, approvando una risoluzione di disapprovazione.

Sono esclusi i dazi antidumping e compensativi".


Forse qualcosa si muove negli Usa e non è un male. 

O no?

Severo Laleo

venerdì 4 aprile 2025

Di tal Carrasco "il verso di ade"

 Caro Scapece, 

come ti va? Hai già assorbito i colpi del ciclone sbandato Trump? Mah! Certo, viviamo tempi abbastanza difficili, forse pericolosi, e comunque rozzi di violenza; eppure, e tu già sai, nonostante tutto, io sono abbastanza ottimista: credo nella serenità della maggior parte dei giovani, uomini e donne, e nel fatto che abbiano interiorizzato così fortemente, e quasi naturalmente, il desiderio di libertà che non penso si faranno turlupinare da questi nuovi ricchi giocatori d'azzardo autoritari e sciovinisti fuori tempo massimo.

Sembrano queste nostre nuove generazioni tutte schiave degli smartphone, delle piattaforme social, in verità, proprio quelle piattaforme, quei canali social hanno dato alle nuove generazioni un'impronta nuova di libertà, non facilmente addomesticabile. E vabbè, su questo ti linko il mio "La guerra, i capi e le/i governate/i" e cambio discorso.


Parliamo di cose più divertenti. 

Mi è capitato l'altro giorno di leggere un piccolo libro giuntomi a casa a seguito di affettuosi suggerimenti. Il titolo è "il verso di ade", così tutto minuscolo, di tal Gunther Maria Carrasco, per i tipi di déclic, e già qui siamo di fronte a qualcosa dal sapore musicale. 

Ho letto tutto d'un fiato (ah, se mi leggesse tal Gunther!), ma, alla fine, devi sapere, mi sono divertito, anche se sono caduto nella trappola di voler capire il perché della lupa e del vano. Ma ho subito lasciato il cupo per tornare al gioco. All'esperimento. Non so se dire letterario o semplicemente di scrittura. In ogni caso godibile. Nel risvolto di copertina troverai la "sinossi". Eccola, così avrai un'idea chiara anche del testo: "Volevano solo fare colazione Pardo e sua figlia Ade. Ed ecco che la piccola scompare in modo oscuro. Pardo si mette in cerca, e non lui solo. La quête sarà popolata da un satiro su una poltrona a rotelle guidata dalla forza di volontà, da un dubbio maresciallo con il suo inseparabile pappagallo, da una nonna nottambula e da un nonno sognatore. E la mamma? Dov'è finita la mamma? La mamma adesso è No. Una cosa alla volta. A complicare il tutto, un'epidemia di versi in volo. E Manichino, scusa, non lo dici? Sicuro, Ade, anche Manichino, ma non nella sinossi: un po' più in là". 

Bisogna ammettere, caro Scapece, noi siamo abituati a narrazioni "sensate", rischiamo quindi di chiudere ogni ascolto dinanzi a qualsivoglia "diversità". Così, mentre troppi nel mondo vogliono ristabilire l'ordine fisso dualgender, ben venga a dirsi l'ampio mix di generi. Rompere i confini è sempre salutare, anche per la gioia di raccontare. 

Gioiosamente😉 la lingua di Carrasco è usa capriolare libenter fino all'estremità del foglio, dove si inarca in una verticale mai pericolosa; e per forza, perché la mente ricerca comunque il suo ordine nel marasma delle braghe voraci della lingua. E si illude Trump di usare il martello di Pavone per uccidere il vocabolario americano; la lingua è sempre libera, non si piega, è compos sui, e ogni operazione è operazione nulla, operazione stanca, operazione alla valditara. L'utente (libera/o) costruisce sempre il senso (democratico) laddove tutto si destruttura e si sfracella: non praevalebunt!

Potrai anche essere colpito da un settenario e tramortito da un endecasillabo, ma l'incolumità è salva, perché saprai resistere fino alla fine estendendo i significati. Il senso della vita è qui: cammini e cammini, cadi e ricadi, procedi e procedi, e per cosa? Per conquistare la fermezza: nessuna/o tocchi la libertà!

Altrimenti si rischia di svanire.

Eppure la maestria alta di tal Carrasco prende il sopravvento sul gioco, ad esempio, nella descrizione/incontro con il maresciallo, descrizione preziosa e pregiata, dove perfetto è l'equilibrio tra "eloquio" e "chiappette", tra suoni e sensi, anche se robusto è l'inchino ubbidiente e disciplinato ai limiti sintattici. E torna al successo l'ordine. E tutte/tutti con taxi!

Non ti aggiungo altro, e si potrebbe. Perché tanto altro c'è. Ad esempio, se vuoi leggere pagine di delicata cura e d'incanto d'amore, non perderti il seguito a partire da "la prima volta andò a sbattere sul vetro".

Vabbè, ora te l'invio "il verso di ade", divertiti!

Stammi bene,

tuo Severo




giovedì 3 aprile 2025

E il capo si svela obsoleto (e goffo)


 Non è stato notato da molti, ma del giorno della "liberazione americana", giorno già definito storico proprio da chi la storia strapazza, sarà consegnata agli atti una foto simbolo, come dire, fuori tempo, datata, quasi a segnare un ritorno al passato, per forma e materia.

Sì, perché nel paese della Silicon Valley, affollato di Power Point e colorato di mille Slides in ogni dove, il Presidente degli Usa, Donald Trump, nel suo cappotto divisa, all'apice del suo personale esercizio del Potere, si presenta, alla giornata della "liberazione americana", in giardino, ai suoi fedeli, per illustrare i dazi, sì, questa grande innovazione senza precedenti, i dazi, e si trova a reggere nelle sue mani, malamente e goffamente, senza eleganza istituzionale, un cartellone enorme, non maneggevole e illegibile.

Chissà, forse un giorno sarà questa foto, dell'uomo con cartellone, a ben rappresentare i progetti di involuzione, in ogni direzione, di una Presidenza Usa, la più sostenuta con corrivi ossequi dalla più avanzata industria tecnocratica.

O no?

Severo Laleo





lunedì 24 marzo 2025

La guerra, i capi e le/i governate/i

 Qualcosa lentamente cambia nel mondo occidentale (e a seguire cambierà anche in altri "mondi"), e proprio ora, in questi tempi di crisi della democrazia liberaldemocratica e di irruenta onda nazionalviolenta: può sembrare strano e contraddittorio, ma a cambiare è/sarà il rapporto tra governanti (in verità, a essere attenti, Trump, Putin, Netanyahu, e compagnia bella, non sono governanti, ma, nonostante le elezioni, semplicemente "capi", ancora intirizziti di vieto virilismo, senza visione giusta di "governo") e governate/i (sempre più libere/i di esprimersi o non esprimersi, gelose/i della propria libertà, e non tutte/i manovrabili a piacere). 

E qual /sarà la leva di questo cambiamento? 

È il porsi di ognuna/o, a ogni livello, di fronte alla guerra.

I governanti, da una parte, pochi, vecchi, ricchi e maschi, decidono la guerra, come e quando vogliono, senza preoccuparsi molto di quante persone, quasi sempre povere e giovani, mandano a morire, tra civili e soldati, tra i propri e gli altri.

Dall'altra parte, le/i governate/i, soprattutto giovani, diventano sempre più estranee/i al bellicismo dei capi, e non ambiscono certo, almeno nella nostra Europa, a uccidere per un'idea assurda di patria o di potenza. 

Le nuove generazioni intendono sempre più garantirsi spazi di libertà di vita in reciproca sicurezza, con il vivere in pace e senza guerre. La guerra appare loro un residuo medievale per la soluzione di problemi e conflitti. 

Perché dovrebbero uccidersi tra loro se possono concordare soluzioni senza massacrarsi?

Ha ragione Benigni: se oggi nei musei della tortura possiamo inorridire di fronte a tremende macchine del dolore, domani chi verrà dopo di noi potrà inorridire di fronte alle più terrificanti armi di guerra/morte, fino alla bomba atomica.

È facile a dirsi: o i musei della guerra o il nulla! 

E sebbene sia molto diffuso un nuovo parlare di spirito bellico, di riarmo, di nuove forze militari, naturalmente di difesa, un varco enorme e sempre più visibile s'apre tra governanti e governati sul tema della guerra e sarà questo il varco attraverso il quale avanzerà una nuova democrazia di uomini e donne del no alla guerra.

O no?

Severo Laleo

venerdì 7 marzo 2025

8 Marzo 2025: liberare le istituzioni dal modello maschile

 Si legge in Wikipedia alla voce "Ni una menos": "Ni una menos (lett. "Non una di meno") è un movimento femminista socio-politico che si batte contro la violenza di genere, il patriarcato, il maschilismo, il machismo e il sessismo tramite scioperi, manifestazioni e mobilitazioni non violente. Si adopera per una società libera dalla logica patriarcale e per liberare le istituzioni, i media, il lavoro e i comportamenti da un modello in prevalenza maschile".

Bene. D'accordo pienamente. Eppure non sono ancora di dominio pubblico le proposte per "liberare le istituzioni... da un modello in prevalenza maschile".

Forse sarà necessario studiare con nuova passione le origini delle nostre istituzioni, soprattutto politiche, per analizzare quanto esse siano debitrici nella loro conformazione attuale alla cultura maschilista: ad esempio, l'idea di avere "un capo" (e ora capita anche "una capa") all'apice della piramide decisionale non è forse derivante dall'antica logica del "duello" tra Maschi Alfa? Comanda chi vince tra due maschi: di qui l'idea della "normalità" della forza/violenza, della "normalità" del monocratismo, dell'"uomo solo al comando"! Il monocratismo, sia pure in regimi democratici, è cmq l'esito storico-istituzionale di una cultura maschilista.

Ora, se si lavora per "liberare le istituzioni" dal "modello maschile" bisognerebbe anche immaginare forme di parità assoluta (e estesa) tra uomini e donne: ad esempio, avere a guida di un governo non più solo "un capo" (e quasi sempre un uomo), con la sua originaria cultura, ma insieme un uomo e una donna, l'uno e l'altra con la "propria" cultura, superando così il monocratismo con il bicratismo, di per sé cmq dialogico e riflessivo. Non solo. Anche tutte le sedi istituzionali di dibattito politico e decisionale, per essere libere dal "modello maschile", dovrebbero avere una composizione a "parità assoluta" uomini/donne; la composizione di un parlamento non può essere affidato al caso o a un'ineguale competizione. 

Forse solo con la parità assoluta e con il bicratismo è possibile immaginare una società nuova non può fondata sulla logica della "forza".

O no?

Severo Laleo

P.S.

Scrive oggi, nella giornata dell'8 Marzo, Giorgia Serughetti su "Domani", in un articolo pare molto "sentito": "Il femminismo ha saputo dire una parola "altra" sulla guerra fin dal tempo dalle mobilitazioni delle suffragiste. Si pensi a quando nel 1915, centodieci anni fa, nell'infuriare della Prima guerra mondiale, oltre mille donne si ritrovarono all'Aja per il primo Congresso internazionale delle donne per la pace, per «stringersi le mani da sorelle, al di là della guerra delle nazioni»... È quindi tempo per il pensiero e la politica femminista di affinare le armi della critica e gli strumenti di lotta, per rintracciare la radice antica del dominio patriarcale dentro la dinamica e la retorica dello scontro armato, svelando la dimensione di genere di ogni disegno nazionalistico di potenza".

Bene. D'accordo. Ma non è più tempo solo di "affinare le armi della critica e gli strumenti di lotta, per rintracciare la radice antica del dominio patriarcale dentro la dinamica e la retorica dello scontro armato", forse è giunto il tempo di un impegno politico forte per trasformare le istituzioni politiche attuali, segnate proprio dal "dominio patriarcale", in istituzioni "altre".

O no? 






mercoledì 5 marzo 2025

Un'Europa con le armi e senza un'anima non serve

 E l'Europa, nata sull'idea forte e nuova di "mai più la guerra", dopo il terrore disumano scatenato dal nazifascismo con la Seconda Guerra Mondiale, si trova ora, dimentica dei suoi valori, e quasi intontita dai proclami volgari di vecchi maschi autoritari o aspiranti tali, a rincorrere il Riarmo Generale. E senza un ragionamento nuovo, solo con infantile emotività. Forse non si è ancora studiato abbastanza quanto la cultura patriarcale di tanti attuali governanti, esaltati monocrati, e di tutte le strutture istituzionali delle democrazie moderne impermeabili al femminismo pacifista, possa influire sull'idea/pratica dell'inevitabilità della guerra. 

Possibile non sappia quest'Europa spendersi per trovare strade di pace? E possa solo accontentarsi di esistere per riaffermare un sua semplice identità di facciata? E addirittura possa resistere muta di fronte all'abisso di violenza in atto in Medio Oriente, elevando l'ipocrisia a sistema di relazioni? Forse è ora di definire/ concordare in ogni relazione un limite d'obbligo oltre il quale a nessuna/o sia lecito andare. E non è forse lecito lavorare per definire limiti, ad esempio, tra l'altro, alla ricchezza per evitare deliri di onnipotenza di singole persone, e alla povertà per evitare cadute nella solitudine del degrado di ogni singola persona? Non esiste pace senza giustizia sociale.

Giusto abitare la piazza in nome dell'Europa? Sì, certo, specie se si tratta dell'idea di Europa secondo il "manifesto" della Fondazione PerugiaAssisi. Ecco di seguito il testo integrale:


Dobbiamo ricostruire un’Europa di pace Non basta dire “Europa, Europa…” per evitare l’inferno

“Dobbiamo recuperare lo spirito di Ventotene e lo slancio pionieristico dei Padri Fondatori, che seppero mettere da parte le ostilità della guerra, porre fine ai guasti del nazionalismo dandoci un progetto capace di coniugare pace, democrazia, diritti, sviluppo e uguaglianza.” Discorso di insediamento del Presidente del Parlamento Europeo David Sassoli (Strasburgo, 3 luglio 2019)

Cosa possiamo fare per salvare l’Unione Europea? Per promuovere l’Unione “politica”? Per colmare il gap esistente tra le ambizioni e la realtà?

Partiamo dal presupposto che siamo tutti d’accordo sul fatto che c’è bisogno di più Europa, soprattutto di più Europa “politica”. In molti lo stiamo ripetendo da diversi lustri, quanto meno dalla caduta del Muro di Berlino e dalla fine dell’era bipolare.

Il punto è: quale Europa “politica” vogliamo?

L’Europa che rilancia una folle corsa al riarmo o l’Europa che avvia un negoziato globale per la pace e la giustizia sociale internazionale? 

L’Europa sonnambula che cammina verso il precipizio trascinando con sé le popolazioni che dovrebbe servire o l’Europa determinata “a salvare le future generazioni dal flagello della guerra e a riaffermare la fede nei diritti fondamentali, nella dignità e nel valore della persona umana”?

L’Europa che lascia impuniti i crimini più atroci, quali i crimini di guerra e contro l’umanità o l’Europa che fa della giustizia penale internazionale una delle sue priorità?

L’Europa dei doppi standards – si alle sanzioni contro la Russia, no alle sanzioni contro Israele, si al mandato d’arresto internazionale contro Putin, no al mandato d’arresto internazionale contro Netanyahu – o l’Europa della legge uguale per tutti?

L’Europa che fa prevalere le criminali politiche neoliberiste sulla giustizia sociale, climatica e di genere o l’Europa che vuole dare piena attuazione agli obiettivi di sviluppo sostenibile entro il 2030 come previsto dall’Agenda delle Nazioni Unite?

L’Europa che alimenta la tumultuosa crescita dei partiti di estrema destra, cova nel suo seno i nazionalismi e costruisce muri ai suoi confini esterni, o l’Europa dei diritti fondamentali, dello stato sociale, della solidarietà, dell’accoglienza, dell’inclusione? E ancora.

L’Europa intergovernativa dell’unanimità e dei veti o l’Europa sopranazionale della maggioranza qualificata con un ruolo centrale del Parlamento europeo e del Comitato europeo delle Regioni e con un dialogo strutturato con le organizzazioni della società civile?

Quali sono i valori dell'Unione Europea? L'individuazione dei valori è fondamentale perché consente di capire le ragioni profonde che stanno alla radice del processo di integrazione sopranazionale europeo. Il prof. Antonio Papisca scriveva: “Il problema dei valori è il problema del perché dell'UE, della sua identità: l'Europa unita eventualmente si, ma à quoi faire?"

Qual è l’identità dell’Europa? Quella di difendere i rispettivi confini nazionali per evitare che le persone che cercano di fuggire dalle guerre e dalla fame possano arrivare da noi, o quella di spegnere gli incendi lavorando per la pace e il rispetto di tutti i diritti umani per tutti?

L’UE è sempre stata un attore civile (economico, commerciale, culturale). Un attore di soft power, a sostegno del diritto internazionale dei diritti umani, della diplomazia preventiva e del multilateralismo efficace, anche di fronte a minacce globali quali terrorismo, conflitti regionali, proliferazione di armi di distruzione di massa.

Per diventare un attore di hard power ci vogliono unità, visione, strategia, leadership, tutte caratteristiche che mancano all’UE. Ma soprattutto ci vogliono soldi, tanti soldi, che non ci sono o che bisogna togliere alla cura delle persone, della loro dignità e dei loro diritti fondamentali.

Oggi, l’UE è divisa. E’ divisa sulla politica estera, sulla politica di difesa, sullo sviluppo di una politica industriale in materia di armamenti, sulla politica di asilo e immigrazione, sulla politica della cittadinanza, sulla politica fiscale, sul green deal, …. 

Ma non può esistere una politica comune di difesa senza una politica estera comune, senza una visione strategica di lungo periodo. Per esempio: quali saranno i rapporti dell’UE con la Russia quando la guerra sarà finita? Saranno rapporti fondati sul dialogo e la cooperazione o sulla deterrenza e il riarmo? La mancanza di una visione e di una volontà unitaria rimane dunque il problema centrale dell’UE.

* * *

Il futuro della pace e della sicurezza dell’Europa non può essere affidato alla follia di governanti che alimentano le guerre e una nuova spaventosa corsa al riarmo. Oggi c’è bisogno di una nuova Conferenza di Helsinki che, come nel 1975, riunisca tutti gli Stati del nostro continente e dia nuovo avvio alla costruzione in Europa di un sistema di sicurezza comune, dall’Atlantico agli Urali, basato sul disarmo, i diritti umani, il diritto all’autodeterminazione dei popoli e i diritti delle minoranze.

L’Europa deve ricominciare a lavorare per la pace, con coraggio, lungimiranza e creatività. Come fecero i Padri fondatori dell’Europa che, sulle macerie di due guerre mondiali, in un tempo di grandi sofferenze e divisioni, “osarono trasformare i modelli che provocavano soltanto violenza e distruzione”. Grazie a questo sforzo straordinario, l’Europa è stata un originale progetto e un grande esperimento di pace. Nessuno può permettersi di cancellare quella che è la prima ragion d’essere dell’Europa.

L'Europa che vogliamo ripudia la guerra, è fondata sulla pace e sui diritti umani, sulla dignità umana e sui diritti che le ineriscono, sui valori indivisibili e universali della libertà, della democrazia, dell'eguaglianza, della giustizia e della solidarietà.

L’Europa che vogliamo è aperta, democratica, solidale e nonviolenta. E’ l’Europa della convivialità e dell’interculturalità; un’Europa che è accoglienza di popoli, di lingue, di culture, di identità e di storie diverse; un’Europa che rifiuta il razzismo e la discriminazione in tutte le sue forme; che riconosce e rispetta i diritti dei migranti e il diritto d’asilo ai profughi e rifugiati in fuga dalla guerra, dalla violenza e dalla fame.

 Abbiamo bisogno urgente di un’Europa di pace:

decisa a riaffermare sé stessa come soggetto politico di pace, democratico e indipendente; 

determinata a costruire un ordine mondiale più giusto, pacifico e democratico centrato sulle Nazioni Unite e sul diritto internazionale dei diritti umani, sulla solidarietà e la cooperazione internazionale; 

decisa a contrastare la corsa al riarmo, a promuovere il disarmo e a combattere la fame, la sete, le malattie e la povertà promuovendo un’economia di pace e giustizia; 

impegnata a ridefinire coerentemente i suoi rapporti di amicizia e cooperazione con tutti i popoli e i paesi, a partire dai suoi vicini, con il mondo arabo e con il resto del mondo.

 Abbiamo bisogno di un’Europa che sappia agire non in base alla legge della forza ma con la forza della legge. In questa prospettiva, l’Onu, istituzione multilaterale per antonomasia, è indispensabile per gestire l’ordine mondiale nel rispetto di “tutti i diritti umani per tutti” e per costruire un’economia di giustizia. C’è bisogno di una istituzione mondiale in cui tutti gli stati, grandi e piccoli, siano rappresentati e tutti i popoli, anche i più lontani e diseredati, possano far sentire la loro voce. Se l’UE è sincera nel proclamare oggi la centralità delle Nazioni Unite, occorre senza indugio che persegua il duplice obiettivo del potenziamento e della democratizzazione della massima organizzazione mondiale.

 La via giuridica e istituzionale alla pace, con al centro l’architettura multilaterale e il diritto internazionale dei diritti umani generato all’indomani della Seconda guerra mondiale, è la bussola che l’Unione Europea deve seguire se vuole continuare ad esistere.

 

Marco Mascia, Presidente Centro Diritti Umani “Antonio Papisca” – Università di Padova 

Flavio Lotti, Presidente Fondazione PerugiAssisi per la Cultura della Pace 3 marzo 2025"

Tutte/i in piazza a difendere l'Europa, e soprattutto questa idea di Europa.

O no?

Severo Laleo