Si sa, si sa da sempre, la guerra è affar di uomini, nel senso di maschi al potere, abituati per natura e cultura a accapigliarsi per raggiungere un obiettivo di dominio, spesso mascherato da ragioni di sicurezza, di economia, di spazio vitale e via di seguito.
Le relazioni internazionali sono intrise di quest'anima maschilista, se a ogni convegno/incontro/dialogo tra parti in causa il tema è sempre unico: trovate equilibri territoriali, di armamenti, di risorse per garantirsi reciproca sicurezza. Sul tavolo solo e sempre la pistola. E spesso il più forte impone le sue ragioni, fino all'aggressione. E proprio qui che la cultura del dominio cancella, con il "costi quel che costi" il senso della "cura" nei confronti dei popoli governati. Le persone diventano strumenti per il dominio di questo o dell'altro. La vita stessa viene espropriata in un assurdo crescendo di violenza.
L'assenza di "cura" lascia campo aperto al traffico di morte dell'antico, inveterato spirito di "dominio".
Questo modo di reggere il mondo è da cambiare,
Uomini e donne non possono massacrarsi.
E già la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani e la nostra Costituzione aprono spiragli verso il cambiamento. Verso un'idea di pace attiva e dialogante. Manca forse solo la trasformazione delle strutture di potere, oggi a preponderanza maschile, in strutture di potere a parità uomini donne, per dare presenza anche alla cultura della differenza.
Domani 8 marzo, le donne ucraine e le donne russe, con il sostegno di milioni di altre donne in tutto il mondo, in ogni città del mondo, si incontreranno, anche senza un luogo, per imporre con le manifestazioni il punto di vista della "cura": il rifiuto della guerra per il rispetto della vita di tutte/i.
A queste donne, quest'anno, le mimose.
bellissimo intervento
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