Il
romanzo delle "quote rosa"
ha ora un altro capitolo,
grazie
a due persone nuovissime nel panorama politico italiano:
Appendino, sindaca di Torino e Raggi,
sindaca di Roma.
Entrambe
bocciano le quote rosa, perché
rappresentano
o
“un recinto per panda” o “aiutini” in contrasto con la
meritocrazia (sic).
Anche se Appendino
aggiunge, in verità, pur senza dare
una qualche possibilità di realizzazione
alle sue parole:
"il modello ideale
a cui tendere è quello senza quote rosa."
D'accordo:
il modello ideale a cui tendere è senza quote rosa,
perché le quote rosa saranno fuori luogo, inutili, senza senso,
quando sarà superata/sbloccata l’attuale
struttura di “Potere”,
derivante
direttamente da una storia tutta
dominata dall’impronta assoluta
del maschilismo. Anzi,
a leggere i giornali, Appendino un
tempo
avrebbe gradito “l’imposizione della parità di genere”.
D’accordo:
intuizione giusta, ma ancora congelata nel M5S.
Forse addirittura inesprimibile. E
i motivi sono tanti, culturali
e di pratica politica.
L’imposizione della parità di genere è,
in realtà, un passo obbligato
per
accedere a una visione del “Potere”
oltre il maschilismo,
anzi
oltre l’idea stessa di “Potere” in sé finora nota.
Infatti
il parlare di quote rosa non
coinvolge la critica
alla
struttura del “Potere” in sé. Nelle
società moderne
–e
ripeto un discorso già scritto- le strutture di "Potere" sono figlie
dell'antica visione maschile del mondo, senza dubbio alcuno.
Anzi
il maschilismo ha generato le strutture di governo
a
sua immagine, a immagine del suo “IO”, solo, forte e potente.
E
così il monocratismo, l’idea di un Capo Uno, di un uomo solo
al
comando, è il risultato, l’esito oggettivo, inevitabile, del maschilismo,
di quella storia cioè finora costruita dagli uomini, quelli maschi.
Eppure proprio il monocratismo è la modalità di governo da superare
se
si vuole una reale democrazia di genere.
Se
la parità uomo/donna non irrompe nel livello monocratico
di
ogni “governo”, la nostra società continuerà a restare
imbrigliata
nelle antiche strutture di potere appannaggio maschile.
Perché
le strutture di potere/governo sono affidate a una sola persona
e
non a una coppia uomo/donna?
Perché
a diffondersi finora è stato il modello di un’autorità unica,
a Capo Uno, e
non duale, a Due?
E’
forse il monocratismo una modalità
di governo naturale?
O
è il risultato di un lungo processo storico, segnato dall'assenza di donne?
La
semplice scalata alla parità uomo/donna attraverso le quote rosa
non
scalfisce la struttura maschilista della nostra organizzazione sociale.
Per
aprire una via possibile al cambiamento della società,
anche
nella direzione dell’estensione della democrazia e della trasparenza,
e
soprattutto della formazione di una decisione pubblica
non
più condizionata/dominata da una cultura di genere maschile,
in
tutte le “sedi/posizioni” di natura decisoria di pubblica utilità
la
presenza uomo/donna non può non essere pari, anzi, deve essere pari.
In
realtà, il monocratismo, il
potere/dominio, cioè, di uno solo,
pur
conquistato per via democratica, è l’esito obbligato del maschilismo,
con
tutte le sue degenerazioni, dal leaderismo carismatico
all’uomo
della provvidenza, e non muta, anche se il monocrate è donna.
Il
maschilismo e la struttura maschile del potere cadranno
quando
cadrà il monocratismo. E le conseguenze, in termini
di
un’educazione, non violenta, alla parità, generata non da teorie
ma
dal nuovo contesto di relazione uomo/donna al “Potere”,
saranno
visibili nelle nuove generazioni.
Chissà, forse
il bicratismo perfetto potrà segnare
una nuova stagione
di
democrazia.
O
no?
Severo
Laleo
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