Caro Scapece,
sei riuscito a
resistere al caldo di quest’anno?
Certo, per te che
non ami il mare come si deve (per un napoletano, poi!),
ma solo
indirettamente, per la gioia dei tuoi nipoti,
non sarà stato
facile tutte le volte scappare al fresco.
A me è andata un
po’ meglio.
Lo sai, qui da me,
sulla mia collina con vista mare, la sera si respira sempre.
Specie se un
maestrale non chiassoso (che in paese i vecchi accolgono
con un benevolo
“maestralicchio”) spazza via l’afa, ti soffia in viso,
e ai tuoi occhi apre
il panorama con le isole dalmate.
E per fortuna, così
sono riuscito a leggere ancora con qualche lucidità!
Un libro, comunque,
facile da leggere, di Elisabeth Badinter.
“L’amore in
più. Storia dell’amore materno.”
e
molto utile per l’ampiezza
documentaria in tema di
famiglia,
tra il XVII e il XIX. E si scoprono storie di vita interessanti,
ad esempio, le vicissitudini familiari dell’infanzia di Talleyrand,
il grande statista (e, lo sapevi?, I Vescovo della mia Benevento!),
e le riflessioni problematiche di Madame Guitton,
madre del pensatore cattolico Jean Guitton.
Caro
Scapece mio,
noi siamo cresciuti con il
mito dell’amore
materno,
quel
mito dell’amore totale
proprio delle nostre madri, spesso a figliolanza
abbondante,
aggravato, quel
mito, dal sentimentalismo nostro
meridionale,
per
non parlare del “mammismo”
campano; ebbene, a leggere
il libro
della
Badinter, la nostra
idea di madre, tutta dedita
ai figli e alla famiglia,
che
non si risparmia, che accetta da “santa
donna” ogni
“sacrificio”
(e
tu ben conosci la determinazione di madre
pur della Filumena
di Eduardo),
non
è un’idea “naturale”
e universale,
non ha origine nell’istinto
materno,
ma
nasce e
si diffonde solo a
partire dalla fine del ‘700,
in coincidenza
con
l’uscita dell’Émile
di Rousseau,
e insieme con
il diffondersi
di
un cambiamento di atteggiamento culturale e sociale
nei confronti del bambino e figlio.
Hai capito?
Quante volte abbiamo avuto l’ardire di giudicare i comportamenti
materni!
E quante volte, presi nella rete della nostra cultura, abbiamo
sbagliato!
Certo
a noi maschi, impegnati per
di più in occupazioni gratificanti,
è convenuto relegare la donna nel suo ruolo di madre tenera,
attenta,
amorevole, sempre
disponibile, istintivamente
disponibile,
e,
se anche avvertivamo un’ingiustizia in
questa strabica visione,
si
interveniva solo per “aiutare”,
senza porre in discussione
la divisione dei ruoli.
Il
libro della Badinter
è del 1980; può sembrare
rivoluzionario a noi vecchi,
noi mariti e padri negli anni 70, ma già per i nostri figli è
materia archeologica,
sebbene in ambienti tradizionali e scarsamente sensibili alla parità
dei sessi
resistono
sacche di maschilismo familiare, se
non di dominio
del
maschio sulla femmina, con
ogni terribile conseguenza.
E
ora capisco anche la delusione amara di Ottone,
ti ricordi?,
il
sempre imbronciato compagno di Liceo, quando
scoprì,
quasi
brutalmente, dalla sua cara e santa
madre
che era madre solo per caso e
non per sua volontà.
“Ma
come, non ci hai voluto bene?”
insisté Ottone!
“Certo,
e tanto, e sempre. Ma se fosse stato per me, nessuno
di
voi cinque,
sarebbe nato”.
Una delusione cocente, ma anche
un invito a riflettere.
Per i nostri figli e le nostre
figlie, nate/i negli anni anni 70 e oltre,
non esiste più divisione dei
ruoli; l’amore materno e l’amore paterno
pari
sono, e
madre
e padre sono ormai intercambiabili.
Non più il padre infallibile e
padrone, capo assoluto di tutta la famiglia,
non
più la madre santa
donna,
regina del focolare, responsabile di tutto,
ma
più semplicemente madre e padre insieme, duale guida della famiglia.
E
forse
per
questo esito è
giusto dire grazie anche al movimento femminista
del secolo scorso.
O no?
Lo so, sei d’accordo con me in
questo, anche se nicchi nel voler comprendere
la mia fissazione di estendere
la guida duale alle istituzioni del Paese.
E vabbè. Stammi bene e sempre
buone cose.
Severo
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