Si legge in Wikipedia alla voce "Ni una menos": "Ni una menos (lett. "Non una di meno") è un movimento femminista socio-politico che si batte contro la violenza di genere, il patriarcato, il maschilismo, il machismo e il sessismo tramite scioperi, manifestazioni e mobilitazioni non violente. Si adopera per una società libera dalla logica patriarcale e per liberare le istituzioni, i media, il lavoro e i comportamenti da un modello in prevalenza maschile".
Bene. D'accordo pienamente. Eppure non sono ancora di dominio pubblico le proposte per "liberare le istituzioni... da un modello in prevalenza maschile".
Forse sarà necessario studiare con nuova passione le origini delle nostre istituzioni, soprattutto politiche, per analizzare quanto esse siano debitrici nella loro conformazione attuale alla cultura maschilista: ad esempio, l'idea di avere "un capo" (e ora capita anche "una capa") all'apice della piramide decisionale non è forse derivante dall'antica logica del "duello" tra Maschi Alfa? Comanda chi vince tra due maschi: di qui l'idea della "normalità" della forza/violenza, della "normalità" del monocratismo, dell'"uomo solo al comando"! Il monocratismo, sia pure in regimi democratici, è cmq l'esito storico-istituzionale di una cultura maschilista.
Ora, se si lavora per "liberare le istituzioni" dal "modello maschile" bisognerebbe anche immaginare forme di parità assoluta (e estesa) tra uomini e donne: ad esempio, avere a guida di un governo non più solo "un capo" (e quasi sempre un uomo), con la sua originaria cultura, ma insieme un uomo e una donna, l'uno e l'altra con la "propria" cultura, superando così il monocratismo con il bicratismo, di per sé cmq dialogico e riflessivo. Non solo. Anche tutte le sedi istituzionali di dibattito politico e decisionale, per essere libere dal "modello maschile", dovrebbero avere una composizione a "parità assoluta" uomini/donne; la composizione di un parlamento non può essere affidato al caso o a un'ineguale competizione.
Forse solo con la parità assoluta e con il bicratismo è possibile immaginare una società nuova non può fondata sulla logica della "forza".
O no?
Severo Laleo
P.S.
Scrive oggi, nella giornata dell'8 Marzo, Giorgia Serughetti su "Domani", in un articolo pare molto "sentito": "Il femminismo ha saputo dire una parola "altra" sulla guerra fin dal tempo dalle mobilitazioni delle suffragiste. Si pensi a quando nel 1915, centodieci anni fa, nell'infuriare della Prima guerra mondiale, oltre mille donne si ritrovarono all'Aja per il primo Congresso internazionale delle donne per la pace, per «stringersi le mani da sorelle, al di là della guerra delle nazioni»... È quindi tempo per il pensiero e la politica femminista di affinare le armi della critica e gli strumenti di lotta, per rintracciare la radice antica del dominio patriarcale dentro la dinamica e la retorica dello scontro armato, svelando la dimensione di genere di ogni disegno nazionalistico di potenza".
Bene. D'accordo. Ma non è più tempo solo di "affinare le armi della critica e gli strumenti di lotta, per rintracciare la radice antica del dominio patriarcale dentro la dinamica e la retorica dello scontro armato", forse è giunto il tempo di un impegno politico forte per trasformare le istituzioni politiche attuali, segnate proprio dal "dominio patriarcale", in istituzioni "altre".
O no?
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