Dopo
il fortunato slogan, ora alquanto trascurato, acciaccato, speriamo
non proprio sgarrupato, "uno vale uno", gridato a
ragione dal M5S
ad indicare la propensione del
movimento per la democrazia dal basso,
in rete, partecipata, diretta
(a quando l’introduzione sperimentale
del sorteggio?), oggi, in
questa campagna elettorale, a ricordare il valore
di una democrazia piena e partecipata, ampia e difficile, ricca di tantissime
voci di
persone alla pari, è solo Potere al Popolo.
Infatti,
se una fallace legge elettorale prima s’inventa, senza pudore
linguistico, l’espressione “capo
della forza politica”,
proprio così “capo”,
e poi
sancisce l’obbligo
per ogni partito
di depositare
insieme
al contrassegno
e al
programma elettorale
il nome e il cognome
di
ogni distruzione di
un agire
politico democratico
e trasparente).
Dicono le persone di Potere
al Popolo:
noi
non abbiamo
capi
o leader,
“per
noi fare politica è dare voce e forza a una collettività, alle
resistenze,
ai bisogni che attraversano il paese”.
Ben
detto, in attesa del ben fare!
E
già
il
programma è scaturito
da
un’opera
di scrittura collettiva,
perché per Potere
al Popolo
l’obiettivo
dichiarato,
facile
per ora a dirsi,
è
“costruire una vera democrazia e ridare potere al popolo”.
Si tratta di una speranza dotata, pare, di consapevole impegno.
E
per questo le persone di Potere
al Popolo
non
scelgono
un “capo”,
ma un “portavoce,
anzi una portavoce, delle migliaia di storie
del nostro popolo, una
di noi, che condivide le nostre condizioni di vita,
speranze,
progetti".
E
sia.
Ma sempre “una”
è! Anche se solo portavoce.
Il
vizio, per la democrazia piena di persone alla pari, è proprio
in
quell’ “un”! Quell’
“un”,
associato
a “capo”, è
il
risultato
di una lunga storia
di potere maschile. E’ quasi l’esito
di
un duello. E’ la supremazia
di un “capo” vincitore, il quale fonda/istituisce la
struttura monocratica
del “potere”, ed è tutta e sola
opera/produzione del maschilismo.
Ora
nel programma scritto dalle tante
persone
di Potere
al Popolo
al
punto 12, tra
tanto altro, si
legge:
“noi
lottiamo per
•
la
radicale rimessa in discussione dei ruoli maschile e femminile
nella
riproduzione sociale ed un sistema di welfare che liberi
tempo di
vita per tutte e tutti;
•
la
rottura del carattere monosessuato dello spazio pubblico e della
politica.
Ecco,
forse per rimettere in discussione “i
ruoli maschile e femminile”
e per rompere il “carattere
monosessuato dello spazio pubblico
e della politica”
sarebbe utile, se ben si intendono le parole,
sperimentare una
presenza
duale
nel ruolo di portavoce,
un uomo e una donna, quasi a rompere quel
monocratismo
di origine maschilista, ma ancora oggi quasi
esclusivamente
dominato da figure, parole, atti maschili, con nuove
forme e modelli
di relazioni tra i ruoli maschile e femminile anche a
livello
di coordinamento di idee/azioni/decisioni: dall’uomo solo
al comando,
all’uomo e alla donna insieme a portar
voce.
E
tale scelta forse
avrà anche un suo “indotto” politico e
culturale per le nuove generazioni.
O
no?
Severo
Laleo