domenica 28 marzo 2021

Bracco, chi era costui. Una stroncatura di Piero Gobetti

 

Bracco, chi era costui? Bracco?

Certo, se non avessi letto la stroncatura di un giovane Piero Gobetti

in una lettera del 1922 a Ada Prospero, la sua ancora più giovane

fidanzata (si tratta di freschi ventenni!), forse non l’avrei mai saputo.

Il fatto è che Gobetti, non solo svolge la sua stroncatura

a tutto campo senza pietà del povero Bracco,

scrittore e drammaturgo, ma gli aggiunge anche delle note,

come dire, di carattere regionale, anzi metropolitane:

non era un veneziano come Goldoni, ma napolitano”,

cioè “presuntuoso, approssimativo, fanfarone”.

Forse è un po’ troppo, specie se hai radici napoletane:

ora a un napoletano gli puoi dare sì dell’“approssimativo”,

soprattutto quando vuole chiudere un discorso,

per tagliar corto e bene, con un “vabbuò ja!”, e gli puoi

anche dare del “fanfarone”, quando vuol far vista d’allegro

con un chiassoso “uè, uè”, ma non gli puoi dare del “presuntuoso”:

il “napolitano” non conosce presunzione, veramente!

Al limite gli puoi giusto dire, e forse per una serie di ragioni storico-sociali

è anche vero, “che ne sa sempre una più del diavolo”,

chiunque esso sia, povero o ricco, capoccione o analfabeta,

perché impara presto a conoscere le turbolenze della vita.

E Bracco (mentre ben altri intellettuali cincischiavano) dimostrerà

di lì a qualche anno, con una scelta politica e morale,

di avere altra pasta d’uomo, non piegandosi al fascismo,

lui pur uomo di mondo e di successo, e di non meritare quelle note

metropolitane, se non bonariamente per gioco tra persone in gamba.

Ma siamo ancora nel 1922, e Gobetti, la cui indefettibile onestà

intellettuale è di esempio per chiunque abbia il dono del pensiero libero,

salva di Bracco almeno la commedia La fine dell’amore,

con questo rapido giudizio: “un’opera valida nella sua leggerezza.”

Ma subito si pente (si fa per dire!) e, al di là dell’opera in questione,

sottolinea: “...anche il suo stile ha una imprecisione e una falsa

pienezza di voluttà viziosa e napoletana che circuisce e disgusta”.

Aiuto!

Ho sentito così, istintivamente, il bisogno di leggere almeno

quell’opera, per capire meglio questo Bracco e farmene una mia idea,

non solo in rispettosa stima nei confronti del Gobetti critico

(che merita sul punto un approfondimento in altra sede),

ma anche con l’intima volontà di onorare la memoria

di un antifascista della prima ora, pronto, senza esitazioni,

a pagar di persona.*


Ebbene, La fine dell’amore è davvero un’opera “valida”,

scritta con un piglio leggero e divertente, con qualche garbata staffilata,

(è definita una “satira” in quattro atti), ma un piglio, a suo modo, fermo

nel denunciare (forse il termine nella sua valenza attuale è troppo forte

e importante per il caso) la vacuità (con nota di squallore nel personaggio 

Rivoli), di un mondo maschile dal quale Bracco sembra prendere bene 

le distanze, cercando al contrario di concedere alla sola figura femminile Anna

la possibilità di comprendere il significato pieno dell’amore tra un uomo 

e una donna, con un cenno vago e fugace all’esistenza di una questione 

femminile (il personaggio Albenga segue “conferenze feministe”!).

Il tutto, appunto, in “leggerezza”, ma una leggerezza gradevole

quasi sollecitante tenuemente una riflessione sull’essere donna

tra cotanti uomini.

O no?

Severo Laleo


*Vorrei qui riportare, per restituire il meritato onore
a un “napolitano” per nulla “presuntutoso, approssimativo
e fanfarone” quanto si può leggere in Wikipedia:
Il 5 novembre 1936, Emma Gramatica, già interprete di alcune opere
teatrali di Roberto Bracco, saputo che il suo amico, ormai settantacinquenne,
versava in cattive condizioni di salute e di forte indigenza, chiese al ministro
della Cultura Popolare Dino Alfieri di aiutarlo finanziariamente, al fine di...
«...trovare un modo pietoso per alleviare la vita che si spegne di quest’uomo
di ingegno che ha avuto gravi torti ma non ha mai fatto nulla di male
e se non ha tentato nulla per riparare i suoi errori non è stato per orgoglio
ma per dignitoso riserbo, temendo di essere mal giudicato
Mussolini dispose d'urgenza che l'aiuto gli fosse concesso
e l'assegno fu recapitato da Alfieri alla Gramatica.
Ma Bracco, messo al corrente dell'iniziativa dell'amica,
non accettò il sussidio. L'attrice fu costretta a restituire la somma,
accompagnata da una lettera dello stesso Bracco al ministro Alfieri,
datata 9 gennaio 1937: «Eccellenza, per una serie di circostanze
che sarebbe qui inutile precisare, mi è pervenuto con molto ritardo
lo chèque di Lire diecimila da Lei inviatomi. (...) Una profonda e benefica
commozione ha prodotto in me l'atto generoso da Lei compiuto
con eleganza di gran signore e con una squisita riservatezza,
in cui ho ben sentito la bontà e la comprensione di chi amorosamente
e validamente vigila le sorti della famiglia artistica italiana.
Ma la commozione profonda e benefica non deve far tacere
la mia coscienza di galantuomo, la quale mi avverte che quel denaro
non mi spetta
E’ vero, puoi notare sì in Bracco un’attenzione insistita all’eloquio
avvolgente, ma quel che ha da dire rispetta onore e verità.
Senza falsità.

mercoledì 10 marzo 2021

Per una sinistra conviviale



La nostra democrazia, dopo aver colpevolmente subito e accarezzato
il “partito carismatico”, il partito del "leader”, il “partito personale”,
il non-partito “movimento”, il partito dei fuggiaschi, il partito a brandelli
ha ora bisogno non di “abolire” i partiti, al contrario, ha bisogno
di “più partito”, cioè di un “luogo reale”, fisico,
dove regole nuove e trasparenti rendono possibile
una relazione “alla pari” tra le persone, dove la dirigenza sia scelta,
per un 50%, anche per “sorteggio”, dove uomini e donne, in spirito 
di servizio, siedono “in pari numero” nei posti di guida, dove non si elegga 
a “capo” un “singolo”, spesso un maschio, ma una “coppia”, 
un uomo e una donna passando dal monocratismo di sempre 
alla guida duale del futuro (bicratismo?),
dove il finanziamento sia, da una parte, pubblico (la responsabilità,
anche economica, della continuità democratica è un bene/dovere del Paese),
dall'altra, privato, ma possibile solo a iscritte e iscritti. Se i partiti 
e i movimenti, in sé, sono senza regole di democrazia, trasparenti 
e controllabili, se non hanno un luogo di condivisione delle idee, 
se non sperimentano, anche dopo aver usato la rete, l’ardire del comprendersi 
guardandosi negli occhi, non potranno mai essere in grado di estendere 
la democrazia e di costruire una “sovranità conviviale”.
Abbiamo bisogno di più partito se vogliamo costruire un nuovo modo dell’agire 
politico; ognuno di noi deve contribuire a "immaginare" ogni possibile strada
per raggiungere l’obiettivo. Ed ecco il mio immaginare.
Perché un nuovo modo di far partito possa libero nascere e camminare, 
e accogliere, lungo il suo cammino, nuove/i compagne/i di strada, 
immagino sia necessario organizzare, nei territori, tanti "luoghi di partenza", 
visibili, stabili, animati, rumorosi, equipaggiati, dove sia possibile sperimentare, 
in continuità e in solidarietà, anche amicale, una qualche ipotesi 
di nuova "comunità" politica. Magari “conviviale”.
E immagino nuove "sezioni/circoli" quali reali luoghi di incontro di tante/i 
giovani, e di tante/i meno giovani, luoghi gradevoli, in centro e in periferia, 
dove sia possibile stare insieme, collegarsi in rete, ascoltare musica, 
bere una bibita, e discutere dei problemi della società, a partire 
dalla conoscenza/studio dei bisogni del nostro “prossimo” di quartiere, 
senza lunghe riunioni di “partito", ma tessendo nel dialogo rapporti  di "felicità" 
sociale, chiacchierata e praticata, e costruendo dal vivo una comunità, 
contro i luoghi virtuali dei giochi televisivi, delle tribune di parole gridate 
e da spettacolo.
E immagino una grande discussione sui nuovi confini della libertà, per tornare 
a riprendere il tema (e la pratica) dei nostri resistenti, e guardare aventi,
anche per smascherare l'imbroglio dei "nuovi" profeti del liberalismo salvifico. 
E immagino tutto un lavoro di studio/proposte, a partire dal quartiere, e non solo 
per la riparazione delle buche nell’asfalto delle strade, ma soprattutto 
per la riparazione delle buche  nella sofferenza del tessuto sociale, un lavoro
per coniugare la libertà con la giustizia, e per ricominciare a parlare di libertà
dalla miseria, dall'ignoranza, dalla precarietà, dalla subalternità, sfidando
gli avversari continuamente, in ogni volantino, in ogni manifestazione,
in ogni dibattito, a livello locale e nazionale, programmaticamente, riempiendo 
la libertà almeno dei suoi contenuti costituzionali, di un lavoro vero, di una casa 
dignitosa, di un'istruzione di qualità, di una salute curata. E non solo 
con manifestazioni chiuse in un unico “luogo di raccolta” centrale, ma aperte 
in ogni “luogo vissuto” di lavoro politico, in contemporanea, e su un tema comune. 
(Quando sarà possibile!)
E immagino una discussione ampia sulla "cultura del limite", quale possibile altro
orizzonte culturale: se sia, ad esempio, necessario definire un limite alla ricchezza,
e alla povertà, e allo sfruttamento della natura, e all'uso delle risorse energetiche, 
e alla violenza di guerra e non, e alle morti sul lavoro, e attraverso quali 
provvedimenti e quali interventi culturali.
E immagino la lettura in comune, partecipata, anche all’aperto, nei nostri "luoghi",
di testi di riferimento precisi, fondamentali per alimentare una speranza 
di una società migliore, meglio se testi già codificati; ad esempio, la dichiarazione
universale dei diritti umani, la nostra carta costituzionale, le carte del socialismo
europeo e internazionale.
E immagino un gruppo di lavoro di persone con passione preparate, capaci 
di spiegare la politica a chi non ha tempi e strumenti,
e disponibili a svolgere, nei nostri "luoghi", senza scadenze, non più solo 
una "campagna" elettorale per chiedere voti, ma una "campagna" di informazione 
e di ascolto, per una reciproca formazione, in un rapporto alla pari, a tracciare, 
pietra con pietra, un lastricato democratico.
E se tutti insieme si immagina, forse molte diventeranno, per costruire a sinistra
un Partito Nuovo, le cose da fare.
O no?
Severo Laleo


martedì 9 marzo 2021

Draghi: il silenzio è colpevole

 



Nelle ultime settimane il cambio di passo, proprio del governo Draghi,

ha coinciso con un generale aggravamento della situazione pandemica.

Esiste un rapporto causa effetto tra i due fatti?

Forse sì, almeno a livello di psicologia di massa.


Il cambio di passo, infatti, all’interno di un quadro di forte

discontinuità con il precedente governo Conte, tutto preso quest’ultimo,

a sentir parlare i novelli seguaci draghiani, dall’ossessione di “chiudere”,

è stato così sensibilmente percepito al punto da fornire un alibi formidabile

a un generale e atteso “liberi tutti”.

Le persone, almeno le più vulnerabili sul piano del condizionamento

psicosociale, e le più determinate per interesse a non seguire le regole,

quelle regole una volta ben comunicate e spiegate, con tutta la partecipazione

accorata dell’emergenza, ad un tratto si son sentite protette e garantite

da una stampa favolosamente lieta di registrare il cambio di passo

e la discontinuità, con l’aggiunta della favola della competenza, e si son dette:

ecco, finalmente un governo competente, aperto, operante in silenzio,

ragionevole, che non limita le libertà.


Ma in tempi di emergenza il silenzio se non è disonesto, è colpevole,

perché se non si interviene con le corrette, giuste, preoccupate parole

a diffondere un clima di attenzione, responsabilità e solidarietà,

si favorisce confusione, sbandamento e leggerezza di comportamenti.

La competenza, che ha una sua passione intrinseca, va spesa tutta

per un’opera forte di persuasione delle persone nella direzione del bene comune.

Il Paese ha bisogno di una guida premurosa, non di un amministratore silente.

Per RecalcatiDraghi sceglie la via composta e rigorosa del silenzio”:

no, la via del silenzio, e senza aggettivi, genera spesso l’anarchia dei furbi.

O no?

Severo Laleo






Minzolini e il premier tuttofare, Franceschini e il premier forte, Recalcati e il premier padre

 


La laudatio è un costume italico molto diffuso, e colpisce un po' tutti

(sono sempre maschi), giornalisti, politici, accademici.

Sboccia all'improvviso, specie quando la gioia del laudator

è piena, pienamente soddisfatta, e quasi desidera ardentemente

aprire la strada, prima del tempo, a un'esaltazione generale,

sulla semplice base di un innamoramento personale.

E ciascuno si propone con il suo stile.


Partiamo da Minzolini

Scriveva Minzolini, da cronista interessato, su La Stampa

del 9 Aprile 2009, a proposito di Silvio Berlusconi

in visita a L’Aquila: “…Snocciola un numero infinito di cifre

Silvio Berlusconi...Fa previsioni sui tempi necessari

per stimare i danni e per tirare su il morale dei presenti

di fronte alla disgrazia e alla morte che ha colpito

questo pezzo d'Italia si concede una battuta:

«Sono 44 ore che non dormo. Un record di resistenza

per uno che ha 35 anni».

Indossa un maglione blu e ha il piglio deciso del direttore

dei lavori, del comandante dei pompieri, del capo militare,

ma anche la comprensione del prete. Silvio Berlusconi

nelle emergenze si esalta. La sua attitudine e' la politica

del «fare». .... Quando e' alle prese con problemi pratici

il premier si intriga. ... Dalla sua bocca escono idee su idee...

ha lanciato una miriade di proposte. La politica del fare.

All'Aquila come a Napoli. Sfoggia il consueto «pragmatismo»....

il Cavaliere e' un tipo che bada al sodo...Gioca sulla velocità

delle decisioni....c'è il premier-ingegnere…

c'è il premier-generale…Il premier-prete...E il premier-psicologo ....

Non c'è male: questo è il giornalismo!


A seguire, il Ministro Franceschini, osservatore privilegiato,

a proposito del suo Presidente del Consiglio, dichiarava:

"Uomo forte, nel senso di uomo

che decide. Questo è Renzi. Se un altro di noi fosse stato

al suo posto, me compreso, si sarebbe fermato

sulla legge elettorale per non rompere il Pd

o sulla riforma per evitare la frattura con Forza Italia,

o sul Jobs Act per tenere dentro la Cgil,

sulla scuola per non rompere con gli insegnanti

e sulle unioni civili per non litigare con la Chiesa.

Devo continuare?".

No, no, basta così: questa è la politica!


Infine, ancora su La Stampa, ecco Recalcati,

in vena di confronti tra leader:

Draghi si profila come un paradossale erede di Berlinguer.

...Anche il carattere degli uomini appare simile.

Solo che in Berlinguer la parola preservava ancora la sua forza

profetica capace di adunare il suo popolo. Draghi sceglie invece

la via composta e rigorosa del silenzio. Entrambi non amano apparire,

non amano la seduzione dell'immagine. Ma mentre Berlinguer

resta un leader profondamente immerso nella storia del Novecento

quella di Draghi appare una figura ideologicamente desensibilizzata.

In primo piano non è una chiara spinta ideale ma un ascetismo

di matrice weberiana: laboriosità, dedizione, rispetto delle istituzioni

e della propria parola. Egli incarna il resto del padre spogliato

da ogni involucro ideologico...La critica alla politica che egli

ha dichiarato di non voler provocare deriva, in realtà,

fatalmente dalla sua postura: la verbosità parolaia

del politico in cerca di consenso immediato deve lasciare il posto

al silenzio nobile della prassi. ... La Legge del padre che i figli volevano

seppellire ritorna così al centro della scena. Il pericolo è che questo

accadesse con il ritorno del bastone e della reazione. Ma il draghismo

non opera affatto in direzione del nazionalismo sovranista,

essendone piuttosto la diga che ne contiene la spinta.

Sebbene ogni padre sia condannato a portare con sé il sospetto

dell'abuso di potere e del dispotismo, lo stile di Draghi appare alternativo

ad ogni fanatismo, compreso quello paternalista. Nel suo stile soggettivo

non emerge alcuna vocazione autoritaria, ma quello spirito di servizio

di cui spesso la politica dà prova di mancare”.

Non manca proprio niente: questa è la scienza!


O no?

Severo Laleo

giovedì 4 marzo 2021

Draghi conta i vaccini

 


Se tu volessi trovare sulla stampa italiana la notizia di un Draghi 

senza pietà, duro ragionier di vaccini, perderesti solo tempo; 

al contrario troveresti solo che Draghi si è dato molto da fare in Europa, 

alzando financo la voce (si fa per dire!), per ottenere più vaccini 

per tutti: un successone, insomma, bravo!

Ma Le Monde racconta anche un'altra storia. E il discorso qui vale 

solo se la storia è vera. 

Pare che il nostro Mario Draghi si sia opposto con fermezza

alla proposta di Angela Merkel e Emmamuel Macron di inviare 

in Africa di 13 milioni di vaccini, il minimo per porre in sicurezza 

chi opera in campo sanitario nella lotta contro il Covid.

Ma Draghi appunto, a seguir Le Monde, avrebbe detto un no deciso, 

senza appello, nonostante anche altri paesi fossero disponibili 

a discutere la proposta.

Draghi è persona timorata di Dio, e sicuramente conosce la "Populorum 

Progressio", l'enciclica della solidarietà universale, eppure, quando si è 

trovato a contare i vaccini, ha preteso che la solidarietà avesse corso 

solo dopo aver garantito copertura vaccinale a tutti gli europei,

esprimendo così egoisticamente un principio ragioneristico del tipo: 

daremo cibo agli affamati dopo aver saziato tutti i nostri commensali.

Non a caso la reazione più forte è arrivata dal responsabile 

delle Comunicazioni Sociali presso la Santa Sede: "scelte come queste 

sono una vergogna, una forma di darwinismo politico e sociale".

Il nuovo europeismo draghiano si scopre neo-sovranista:

da "prima gli italiani" a "prima gli europei". Sempre lì siamo.

O no?

Severo Laleo

P.S. Chi tra i partiti in Italia chiederà conto a Draghi di questa scelta?




domenica 21 febbraio 2021

Un vocabolario per il dibattito in una democrazia conviviale

 



Gli insulti nella chiacchiera politica e verso le persone

della politica esistono da sempre, e da sempre, a ben vedere,

aprono la strada a comportamenti violenti; non si può,

in democrazia, far finta di niente. Anzi la storia obbliga

a intervenire per tempo.

Negli ultimi anni, grazie (si fa per dire!) ai social, gli insulti

godono di una diffusione enorme e quasi viene a stringersi

un’alleanza tra chi è brava/o nell’insultare e chi applaude

all’insulto più feroce. In una misera e torbida spirale.

In un ultimo caso di chiacchiera “politica”, dopo una serie

infinita di altri simili casi, a subire un’onda violenta di insulti,

è stata Giorgia Meloni, e tocca a lei, in un suo tweet, ribadire

con fermezza il limite invalicabile, in una democrazia,

tra critica e violenza”.


Si tratta di una affermazione molto sensata: in una democrazia,

quanto più è avanzata, quanto più è paritaria uominidonne,

tanto più rigoroso, controllato, rispettoso deve essere il linguaggio,

sempre, di tutte/i nel dibattito politico e nei confronti delle persone.

La “critica” è l’anima del dibattito, la “violenza” è la sua morte.

Libertà irriverente solo per la satira. Ma un “limite invalicabile

deve pur essere concordato tra chi dibatte, se non altro per evitare

di massacrarsi.

A trovare per ora una soluzione, almeno sul versante degli algoritmi,

pare siano stati proprio i responsabili di quei social che hanno diffuso

a piene mani parole di odio e violenza in rete. Hanno ben compreso e visto,

quei responsabili, quanto siano pericolose, ai fini di azioni violente,

le parole di fuoco. E hanno deciso di bloccare, Trump compreso.

Ma alla Politica tocca ora e subito definire il “vocabolario della democrazia”,

senza bloccare, ma chiedendo comportamenti conseguenti,

a partire dalla piena condivisione della parità di genere fino a praticare,

anche nel confronto più aspro, il rispetto continuo della dignità

della persona umana, senza eccezioni, attraverso un'etica

della discussione pragmatica che supponga che chiunque partecipi

al dibattito politico sia 1) in buona fede; 2) intelligente;

3) attenta/o al bene comune.(Alain Caillé)

Un'etica della discussione implica il divieto assoluto dell'uso

di qualsiasi parola di insulto e di incitamento alla violenza.

I popoli, nel nostro mondo ormai civilizzato, le classi e le nazioni

e gli individui, devono imparare a opporsi senza massacrarsi

e donarsi senza sacrificarsi gli uni agli altri».

Tanto per ricordare Marcel Mauss. Per una democrazia conviviale.

O no?

Severo Laleo

lunedì 15 febbraio 2021

Rosy Bindi, le donne in politica e la guida duale di genere

 


La gradevole e limpida intervista di Flavia Amabile a Rosy Bindi

su La Stampa di ieri, ha questo inizio chiaro e inequivocabile:

Le donne del Pd -chiarisce Rosy Bindi- sono ancora sottomesse,

è il momento di andare a rivendicare

la guida del partito...Basta con la sottomissione ai maschi.”

E più avanti: “Le donne se vogliono contare

devono decidersi a assumere dei ruoli politici dentro

il Pd. Ce ne sono molte brave, capaci ma prive di una

soggettività politica autonoma, troppo spesso gregarie dei

capicorrente uomini”. Tutto vero, anche se forse non poche

donne appaiono gregarie, ma gregarie non sono, e hanno

una propria soggettività, purtroppo nascosta per quel rifiuto

della logica tutta maschile del combattimento.

Infine, incalzata da una domanda maliziosa di Flavia Amabile:

Dovrebbero creare una corrente?

Rosy Bindi ammette: “No, dovrebbero imparare come è organizzato

il potere e decidersi a occuparlo. Non con lo spirito del dominio

ma con lo spirito del servizio. Devono mettersi in testa che in politica

nessuno regala nulla, tutto va conquistato. Poiché l’occupazione

del potere decisionale è maschile, finché le donne non si decideranno

a competere per una leadership i risultati saranno sempre questi”.

Occupare il potere, non con spirito di dominio, ma con spirito

di servizio.

Eppure qui è il punto. Il potere.

Il potere nasce sempre da spirito di dominio, perché il potere

è intriso totalmente dall’idea di combattimento tra maschi

per il predominio; il potere, nella sua versione attuale,

è sempre l’esito di un duello tra maschi (gli esempi possono

individuarsi anche nei giorni tormentati della crisi di governo,

durante i quali la presenza delle donne è stata assente

o soccombente, al servizio di un leader maschio); e negli ultimi anni

la figura del maschio potente e prepotente ha avuto una larga

fortuna nel mondo, con seguito di popolo straordinario,

incredibile, assurdo, violento, fino all’assalto al Parlamento

degli Usa. Uomini e donne, dentro questa cultura del dominio maschile,

magnificano comunque le doti del grande uomo.

Ora, se si riflette bene, non conviene “rivendicare, lottare, competere,

organizzarsi” per raggiungere una leadership al femminile,

perché la logica dell’assalto è tutta maschile; le istituzioni del potere

e del comando sono tutte monocratiche perché sono l’esito

di un conflitto a due per occupare il trono del vincitore.

Le istituzioni stesse, quindi, sono risultato di una logica maschile,

i metodi stessi sono dettati dall’agire maschile.

Il cambiamento rivoluzionario dovrebbe coinvolgere le istituzioni.

Tutte le istituzioni a rappresentanza elettiva dovrebbero essere

composte da uomini e donne in pari numero: chi potrebbe opporsi

a una norma così elementare e giusta? Questa è la battaglia fondamentale,

non il rivendicare o l'attendere la "concessione" di un Capo.

Ogni potere al vertice non dovrebbe essere più nelle mani dell’Uno

(quasi sempre maschio), nelle mani, cioè, di un potere monocratico,

anche se occupato da una donna, ma nelle mani di una coppia,

di un uomo e una donna, in una struttura istituzionale a una guida duale 

alla pari, con un passaggio immediato dal monocratismo al bicratismo.

Oggi, dopo la furia “macha” di Trump, gli Usa sperimentano una nuova

struttura del potere decisionale, attraverso una guida non strettamente

monocratica (maschile), ma bicratica (maschile/femminile) Biden/Harris.

Forse si potrebbe trarre esempio da questa esperienza americana

per dare una svolta di vero significato rivoluzionario alle nostre

istituzioni. E nel Pd si potrebbe sperimentare da domani. 

O no?

Severo Laleo

giovedì 28 gennaio 2021

Per il gruppo donne in Parlamento



Care deputate/senatrici dell'arco "europeista", 

credo sia giunta l'ora che formiate voi, voi in quanto donne, subito, un vostro 

gruppo, forte e solidale, di consultazione continua (quasi tutti i maschi, si sa, 

anche quando sono rivali e nemici, vivono da sempre e naturalmente, 

in un'identità maschile comune), senza dover per niente rinunciare ai vostri 

valori etico-politici, personali e della comunità politica di provenienza. 

Si tratta di trovare una "sede", per poter lavorare in un (inter)gruppo 

attraverso il quale dibattere, e alla fine proporre, con la forza del vostro 

"contare", tutte le priorità necessarie per il bene del paese. 

Per favore, non rimanete all'ombra della dominante visione maschile 

(certo molto è cambiato e molte/i gestiscono la differenza di genere 

in interiorizzata parità), anche nei metodi della lotta politica, spesso giocata 

con le carte da poker: è un vecchio vizio dell'homo politicus. 

Esca chiara e forte la dimensione femminile nel "giocare" alla politica. 

E' tempo davvero che si esca allo scoperto e proviate a salvare l'Italia, 

almeno in questo passaggio terribile.  

Non se ne può più. In genere i maschi al potere, senza il vostro 

controbilanciamento, sono sempre pericolosi e per un nonnulla dimenticano 

il bene comune. A voi riesce più difficile abbandonare il bene comune. 

Se una caratteristica distingue il potere femminile dal potere maschile 

è che il potere esercitato da donne ha nella "cura" un suo proprio orientamento 

teorico-pratico.

Tutti parlano, soprattutto molti dei nostri leader maschi, con stucchevole 

retorica, almeno quando pensano al recovery plan, del futuro dei "figli"; 

siamo seri, chi meglio di voi può gestire tanti soldi con la necessaria 

"cura" per il futuro, l'ambiente, la sanità, la scuola, in una parola, 

la felicità di ogni persona? 

Siate coraggiose, formate un intergruppo e ponete a chi ha responsabilità 

di governo le priorità necessarie per una società dove tutte/i possano 

esprimere al meglio la propria qualità di persona, e lavorate a definire

linee guida affinché non sia facile per i divoratori di soldi pubblici 

(spesso altri maschi non "educati" alla cultura del limite) di trasformare 

gli investimenti per il futuro dei "figli" in una corsa all'accaparramento 

di risorse per facili guadagni immediati. Continuando a consultarvi, 

potreste, da donne "europee", anche battere i piedi finalmente 

per una Presidente della Repubblica (e per una parità uomini donne 

nel Consiglio dei ministri). Credo si sia nell'ambito della legittima azione politica, 

oltre il recinto dei partiti, ma entro un orizzonte ideale comune più largo. 

O no?

Severo Laleo

domenica 17 gennaio 2021

Grazie cancelliera Merkel



Stamani è apparso sull'edizione online della CNN, un articoloscritto 

da Ivana Kottasova, sulla figura politica di Angela Merkel

Un articolo pienamente condivisibile, al quale non ho il benché minimo 

titolo per aggiungere altro. 

Ma qualche riflessione personale vorrei esprimerla. 


E' vero, la Merkel, nel complesso delle sue azioni/decisioni, 

nel suo insieme, ha dato alla Politica un esempio luminoso 

di dedizione piena, in chiarezza e serietà, al servizio del bene comune, 

e non solo in riferimento alla Germania, ma anche all'Europa, 

e al mondo. E questo al di là delle visioni di società di ognuna/o. 

E mi piace credere abbia sempre rispettato una sua idea 

di "misura" e "limite" in ogni situazione: una persona, 

in una parola, mai vittima di tentazioni di hybris

Quasi un unicum nel generale panorama politico mondiale.

Gli attacchi continui ricevuti, senza argomenti e cattivi, 

soprattutto da parte dagli antieuropeisti d'Italia, dimostrano 

quanto sia ancora diffuso tra noi un antico provincialismo, 

incapace di guardare oltre il proprio confine dell'orto.


Ma da persona nata in Italia, vorrei dire grazie alla Cancelliera Merkel

perché ha insegnato, a chi ha voluto ascoltare, 

quanto sia importante il "governare" rispetto al "seguire il vento

(le parole queste di Monti), quanto sia importante il dialogare 

rispetto all'inutile sbraitare, quanto sia importante la separazione 

netta tra interessi privati e interessi comuni, specie quando si insegue 

sempre il principio dell'onestà a ogni livello.


E voglio tenere per me augurabile questa convinzione: le generazioni 

di ragazze e ragazzi, nate/i e cresciute/i durante il cancellierato 

di Angela Merkel, soprattutto se partecipi in qualche modo delle parole

e delle azioni della cancelliera, avranno nella loro vita una quota 

di cultura maschile molto limitata.

Mi è già capitato di scrivere anni fa e voglio qui ripetere: 

forse gli anni della Merkel al potere, alla fine, al di là di ogni altra 

valutazione, grazie sua alla “serietà” (viene in mente il nostro Gobetti), 

sul piano etico-politico, regaleranno alla Germania, alle nuove 

generazioni, una limpida educazione nella direzione della parità 

di genere, e quindi della democrazia del dialogo tra pari, 

più di quanto un pur sistematico progetto educativo possa offrire. 

L'esempio sarà tanto importante da incidere forse anche sulla riduzione 

della violenza maschile verso le donne.

O no?

Severo Laleo

sabato 16 gennaio 2021

La violenza palese del maschilismo al potere



Il 10 dicembre 1948, l'Assemblea Generale delle Nazioni Unite approvò 

e proclamò la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani. All' art. 1 

si legge: "Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti. 

Essi sono dotati di ragione e di coscienza e devono agire gli uni verso gli altri 

in spirito di fratellanza." Per la prima volta nella storia dell'umanità 

(la sottolineatura appartiene a papa Giovanni XXIII), per consenso 

molto ampio (universale), a ogni essere umano, senza altra distinzione, 

è riconosciuta una sua propria "dignità", quella "dignità" sì insita da sempre, 

per natura, in ogni persona, ma solo ora, dopo le inaudite atrocità 

della seconda guerra mondiale, estesa, in un documento ufficiale, erga omnes

a tutte e a tutti, una "dignità" che definisce e sancisce il "limite" invalicabile 

di fronte al quale ogni azione, da qualunque parte e di qualunque tipo, tendente 

a scalfirla deve essere rifiutata/bloccata/sanzionata. E all'art. 3 si aggiunge: 

"Ogni individuo ha diritto alla vita, alla libertà ed alla sicurezza 

della propria persona", a confermare che ogni persona dotata 

di "dignità e diritti", al pari di ogni altra persona, senza distinzione 

alcuna, deve poter godere liberamente della sua vita, della sua libertà, 

della sua sicurezza.

Si tratta di principi ormai largamente diffusi tra milioni di persone e da milioni 

di persone ormai interiorizzati, a ogni latitudine.

Eppure in questi nostri tempi duri, in due regioni del mondo avanzato, 

diverse e distanti tra loro, ognuna con la propria cultura e storia 

(lasciando da parte tutte le altre regioni dove la negazione dei diritti umani 

è la regola), assistiamo con preoccupazione e sofferenza alla rovinosa caduta 

di questi elementari principi. E dietro questa caduta, anzi l'intenzionale volontà 

di calpestare i diritti delle persone, si scorgono sì grandi conflitti sociali 

e politici, ma anche e soprattutto i violenti messaggi, in parole e azioni, 

strettamente derivanti da quella stortura culturale caratterizzata dalla volontà 

e dall'esercizio di dominio/potere del maschilismo. 

La cultura maschilista è ancora a tal punto dominante da consentire a dei "capi

di stato/governo, in occidente e in oriente, o di incitare alla violenza, 

fino all'assalto tragico e grottesco alle istituzioni della democrazia, o di esibire, 

con cinica spontaneità, dichiarando un potere di vita e di morte sugli avversari 

politici, tutta la propria forza di violenta minaccia, senza provocare 

nelle popolazioni una naturale repulsione. Anzi, dietro questi "capi" maschi 

si schiera spesso una quantità notevole di "leali servitori", e, tra questi, 

molti, sempre maschi, occupano posti importanti di potere, quasi formando 

tutt'intorno al "capo" una testuggine di protezione. Non troverai 

a giustificare quel potere al maschile una visione del mondo, 

un impegno a contribuire al progresso o conservazione 

di una "civiltà", o chissà quali lotte tra capitalismo 

e socialismo, no, troverai solo slogans a raffica gridati, soprattutto 

per stordire le persone più indifese sul piano dell'autonomia 

di giudizio, a copertura di quell'impulso/istinto sfrenato 

al primato/comando/dominio, pronto ad andare oltre il limite,  

proprio della "culturadel maschilismo (dopo aver acquistato a sé, 

alleati e complici, con regali di soldi, i ceti "interessati"). 

E quest'istinto di dominio e di esaltazione dell'ego 

è così tragicamente interpretato, petto all'infuori, nei confronti del virus 

Covid-19, da rifiutarsi di riconoscere la pericolosità della pandemia; 

e proprio qui, sulla assenza di comprensione del dolore di milioni 

di persone a causa della pandemia, si misura l'abisso tra un egoismo 

pigro e negativista e un'empatia sociale fattiva.

Ma quali piani possono predisporre gli stati e le società per evitare 

di cadere nelle mani di impenitenti interpreti della cultura maschilista? 

Da una parte, certo, un grande sforzo culturale attraverso le più disparate 

agenzie di informazione/formazione, dall'altra "semplici", quasi naturali 

e d'obbligo, interventi istituzionali. Basta riconoscere che il monocratismo

il potere di uno solo, è l'esito storico del maschilismo e che quindi va superato, 

almeno per una lunga fase, con il bicratismo, assia la guida duale,

un uomo e una donna, con pari poteri, in ogni sede istituzionale di "governo", 

potere di guida duale controbilanciato dal controllo di assemblee 

con parità di presenza tra uomini e donne. Forse qualcosa cambierà, 

anche sul piano culturale per le nuove generazioni. 

O no?

Severo Laleo  

domenica 27 dicembre 2020

Se la robinia non ha spine (a Rosa Luxemburg)

 




Nelle Lettere (dal carcere) a Sophie, la sua più cara amica, 

e moglie di Karl LiebknechtRosa Luxemburg spesso e volentieri 

si trattiene, sospesa tra cielo e terra, insieme a alberi e uccelli,

trascinata da meraviglie di colori e da cinguettio di canti, a descrivere 

la natura intorno a lei, a prescindere dalla situazione locale del suo carcere,

con o senza giardino, con il verde vicino o lontano.

La natura, di piante e di animali, è sempre amica,

in un rapporto di intensa empatia da sembrar reciproca.

E veramente soffre fino al pianto nel leggere del lento

estinguersi di uccelli canori in Germania, a causa di nuovi

processi colturali, paragonando quest’estinzione

alla cacciata crudele e silenziosa dei pellerossa del Nordamerica

a causa dell’intervento di uomini civili.

E non "ha pace" se non sente l'"eccitato chiacchierio" dello stornello,

perché potrebbe essergli successo qualcosa di male e aspetta tormentandosi

"che si rimetta a fischiare le sue idiozie", così sa che tutto va bene.

In questo modo io, dalla mia cella, sono legata da ogni parte,

con sottili fili diretti, a mille creature grandi e piccole e reagisco

a tutto con l’inquietudine, il dolore, i rimproveri a me stessa…

E trae dalla natura anche la forza per guardare avanti

e dare conforto alla sua Sophie, con queste parole: “Anche lei

è uno di questi uccelli e creature per i quali io da lontano

vibro intimamente. Io sento come lei soffre del fatto

che gli anni passano irremissibilmente senza che si viva.

Ma pazienza e coraggio! Noi vivremo ancora e assisteremo

a cose grandi.



E’ rivoluzionaria Rosa Luxemburg anche nel suo modo “giusto

di guardare alla vita: la noia, la solitudine, le tenebre non piegano

il suo sguardo ammirato verso la vita, la vita nella sua essenziale sostanza.

(“E’ il terzo Natale in gattabuia...qui io sto distesa in silenzio, sola,

avviluppata in questi molteplici panni neri di tenebre, noia,

mancanza di libertà dell’inverno; e ciò nonostante il mio cuore

batte per una incomprensibile, sconosciuta gioia intima,

come se camminassi nella luce piena del sole su un prato fiorito.

E nel buio sorrido alla vita, come se conoscessi un qualche segreto

magico che sbugiarda tutto il cattivo e il triste e lo trasforma

in chiarità e felicità...Credo che il segreto non sia altro che la vita

stessa, le profonde tenebre notturne sono così belle e soffici

come velluto solo se uno guarda nel modo giusto.”)

E sinceramente colpita, ad esempio, dal dolore dei bufali,

bastonati nel cortile del carcere, selvaggiamente, sa distinguere

tra la rozzezza degli uomini, barbari, e il diritto pieno di ogni animale,

di ogni essere vivente, all’integrità della propria vita. 

Proprio per mano di barbari, troverà la morte Rosa la rivoluzionaria,

di lì a poco.


In una delle sue lettere Sophie parla a Rosa della pettoria,

a suo dire un genere di acacia. Rosa non conosce la pettoria,

ma si interroga e così risponde: “Vuol dire che ha le foglioline

pennate e i fiori a farfalla come la cosiddetta acacia?

Lei sa probabilmente che l’albero correntemente così chiamato

non è affatto l’acacia, ma la robinia…” E qui si ferma,

senza ricordare della robinia le insidiose spine,

a tradimento pungenti; al contrario continua a ricordare

la vera acacia, la mimosa, “con i suoi fiori giallo

zolfo e un profumo inebriante”,  anche se non riesce a immaginarla

fiorente a Berlino. Ma intanto il colore vitale ancora irrompe 

nella sua esistenza chiusa nel buio del  carcere.

Forse quest’ammirazione, intrisa di sensibilità viva e attenta osservazione, 

della natura è il migliore antidoto a ogni forma subdola e insinuante

di scoramento, di depressione e di calcolo suicida.

Specie se la robinia è senza spine.

O no?

Severo Laleo