mercoledì 2 febbraio 2011

Non è questione di donne, è questione di civiltà.


Caro Gad Lerner, anzi, gentiluomo Gad Lerner,
grazie per il suo lucido commento. Pienamente d'accordo. Eppure, vorrei aggiungere, esiste una moltitudine di persone, donne e uomini, nel nostro Paese, nelle città moderne e nei paesi sperduti, che, pur senza letture, da sempre sa che la “dignità” è la “base della civiltà”, e sa capire e praticare il “rispetto”.
O no?


La ribellione degli uomini
IL MASCHIO italiano schierato con le donne che si ribellano all'offesa della loro dignità? Tale è la sfida allo stereotipo del vitellone nazionale, da esporlo come minimo a sospetti e ironie. Il furbacchione si trincera dietro alle suore e alle femministe solo ora che c'è di mezzo Berlusconi, altrimenti... È roso dall'invidia per il maturo dongiovanni; si ricicla bacchettone dopo aver predicato la libertà sessuale; spia dal buco della serratura il bottino che mai riuscì a procacciarsi. traduce la frustrazione in moralismo. E avanti di questo passo: quasi dovessimo coprirci di ridicolo, noi uomini, per solidarizzare con le nostre concittadine in un paese noto ormai come il più misogino dell'occidente. Afflitto non a caso dal più alto tasso europeo d'inattività femminile (una donna su due non trova o non cerca lavoro, dato Istat 2009). Per non parlare della loro emarginazione dal potere politico.
Scatta poi un istinto atavico, più nel profondo del maschio intimidito e attratto dall'esuberanza femminile. Se quelle ragazze si offrono al desiderio del potente per trarne vantaggi, non sarà la loro una sottomissione finta? Le fameliche "lupe di Arcore" (copyright di Francesco Merlo) meritano forse di essere considerate vittime, o ha ragione piuttosto chi le addita al pubblico ludibrio
come "veline ingrate"? Così i cd di Mariano Apicella imbottiti di banconote da cinquecento euro, al termine dei festini di Arcore, incoraggiano un vile rovesciamento di responsabilità, addossando alla spregiudicatezza femminile - "lei ci stava, vostro onore, trattasi di donna dai facili costumi!" - il marchio della colpa.
Un falso alibi che però funziona da millenni.
Forse è venuto il momento di riconoscere che anche il maschio italiano sta subendo nella sua identità sessuale i contraccolpi della pornocrazia, divenuta caratteristica pubblica di una classe dirigente di puttanieri. Non a caso il disagio è avvertibile particolarmente fra i giovani maschi che vivono la delicata scoperta dell'eros in un contesto culturale stravolto da una tale inedita ostentazione del mercimonio. È soprattutto fra loro che si affaccia con timidezza la presa di distanze: io non vivo così il mio bisogno di relazione amorosa; desidero un altro tipo d'incontro con le mie coetanee.
Che idea dell'amore può suggerire ai giovani maschi italiani la notizia di quelle cene in cui tre settantenni, resi interessanti solo dal loro status, si trastullano con venticinque ragazze di mezzo secolo più giovani di loro? A tutti, nell'adolescenza, sarà capitata la fantasia di fare l'amore con le bellezze viste in televisione. Ma poi subentra una fase più matura, la fatica della scoperta individuale della femminilità. Contraddetta dalla visione di questa sessualità immatura per cui il potente si ricostruisce in casa, scimmiottando per capriccio lo spettacolino televisivo, la fantasia adolescenziale del dominio maschile esercitato grazie alla forza del denaro. È la trasposizione privata, ma esibita pubblicamente come credenziale di prestigio, di un'ossessione che serializza il corpo femminile plastificato. Bambole di carne precocemente rifatte per somigliarsi tutte e corrispondere a un gusto che si distanzia dall'autenticità femminile fino a precipitare nella parodia.
Altro che libertà sessuale. È la stessa bellezza dell'amore, la ricerca del piacere nella reciprocità, a subire un attentato. Tanto da provocare nei maschi frustrazione, caduta del desiderio, pulsioni sopraffattrici, mortificazione dell'eros nella virtualità del porno.
Solo in questo senso possiamo riconoscere che siamo vittime anche noi dell'offesa alla dignità della donna. Certo ha ragione suor Rita Giaretta di Caserta quando denuncia la legittimazione giunta dai vertici del potere istituzionale alla schiavitù della vendita del corpo (non solo, ma principalmente femminile) fino ai gradini più bassi della scala sociale. E s'indigna, suor Rita, per il cinismo con cui la parte maschile della nostra società sembra accettarla come norma. Ma proprio perché tale abitudine è cementata da una cultura popolare di massa di cui le televisioni di Berlusconi sono da decenni le volgari battistrada - e di cui le sue abitudini private rappresentano la caricatura parossistica - anche la reazione può e deve essere femminile e maschile insieme. Ben lungi dalla sessuofobia, la rivolta femminile coinvolge gli uomini in un progetto di dignità comune che è la base della civiltà. Il partito dell'amore è stata la più beffarda truffa politica del premier indagato per favoreggiamento della prostituzione minorile. Ma la faticosa costruzione dell'amore, come ci ricordano pure i nostri più bravi cantautori, è l'intima fatica per cui vale la pena di vivere.
Gad Lerner, da Repubblica

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