Caro direttore, di fronte al declino morale, politico e sociale che caratterizza oggi il nostro Paese, molti invocano - come "indifferibile" - un rinnovo della classe dirigente.
La soluzione più immediata con la quale si immagina di venire incontro a questa diffusa esigenza di rinnovamento è il ricambio generazionale: volti giovani, selezionati con criteri rigorosamente meritocratici, al posto di quelli anziani. Tuttavia questo ricambio, in sé auspicabile, sarebbe insufficiente: svecchiare su base meritocratica oggi non basta. Oggi serve anche altro. Perché tra il passato e oggi c'è il caso Ruby, che ha cambiato profondamente le donne italiane: non sono più disposte a sopportare le umiliazioni, né ad accettare la subdola tecnica della minimizzazione, ovvero il ridimensionamento delle anomalie di cui sono vittime. Lo stesso premier continua a citare pubblicamente il bunga bunga con un sorriso sulle labbra che sarebbe inspiegabile, incomprensibile, se non fosse diretto a suscitare l'indulgenza, quando non la complicità e l'applauso, di chi lo ascolta. Probabilmente, con il preciso scopo di trasformare nell'ennesima barzelletta quell'"opzione harem" che non è in grado di giustificare.
Subire passivamente la tecnica della minimizzazione, lasciando che il tempo sbiadisca la vergogna, sarebbe un errore gravissimo, per gli uomini come per le donne. Al contrario, il caso Ruby deve rimanere scolpito nella memoria di tutti come un monito, un exemplum in negativo
dal quale prendere le distanze con sdegnata fermezza e che ci aiuti a orientare le nostre scelte.
Se le donne vogliono scongiurare il ripetersi di una umiliazione così rovinosa è necessario che si facciano promotrici e protagoniste di una trasformazione culturale rivoluzionaria il cui primo traguardo è una presenza più consistente delle donne stesse all'interno della classe dirigente: alla guida del paese, alla testa delle aziende, ai vertici delle istituzioni culturali e dei media. Soltanto quando ricopriranno ruoli di potere, questa trasformazione potrà compiersi davvero.
In quel momento, tutto il peggio subìto dalle donne nel corso della storia diventerà una faretra di frecce al loro arco. Nessuno come loro, abituate da sempre a faticare il doppio per realizzare i loro desideri e raggiungere i loro obiettivi, costrette a inventarsi un giorno dopo l'altro una strategia di sopravvivenza tra casa e luogo di lavoro, chiamate continuamente in causa da compagni, mariti, figli, genitori, che richiedono cure e attenzioni, è in grado di ascoltare, riflettere, mediare. Di trovare soluzioni anteponendo il bene comune al proprio. E allora, parafrasando il titolo di un bel romanzo uscito qualche anno fa, "un giorno, quel dolore sarà utile".
Si assisterà all'esito naturale di un processo che ha già preso avvio e che deve realizzarsi in maniera sempre più consistente, ampia e diffusa: i sacrifici sostenuti dalle donne per affermarsi impediranno loro di usare i festini hard come criterio di selezione della classe dirigente e le spingeranno a ricercare e a distinguere, costantemente, il merito; le discriminazioni patite le indurranno a rifiutare leggi ad personam e le guideranno nella formulazione di norme che assicurino una giustizia uguale per tutti, mentre l'assenza di forme di tutela legislativa che le ha penalizzate in passato le condurrà a rispettare, sempre, anche le leggi non scritte; e le contestazioni con le quali si sono ribellate ai soprusi e alle ingiustizie le porteranno ad accogliere le critiche come contributi costruttivi, anziché a respingerle per partito preso come forme di insubordinazione fini a se stesse. D'altro canto, dal momento che alle donne non è mai stato perdonato niente e i loro errori li hanno sempre pagati cari, se sbaglieranno sapranno lasciare il comando immediatamente - di certo, comunque, prima che qualcuno invochi le loro dimissioni. E infine, dato che non dimenticheranno il caso Ruby, rifiuteranno come ripugnante la sola idea di usare il loro potere per risolvere questioni private.
Ecco perché le donne devono avere il coraggio di pretendere di essere protagoniste. Ma devono pretenderlo subito e non aspettare un imprecisato futuro in cui si realizzeranno le condizioni adatte. Non c'è tempo per aspettare e soprattutto è inutile illudersi: nessuno creerà quelle condizioni, nessuno agevolerà l'ascesa delle donne, nessuno offrirà loro quelle chances. Le donne devono fare tutto da sole. Ma sono abituate anche a questo.
Presidente Bongiorno, condivido pienamente le sue riflessioni.
Vorrei solo aggiungere:
1. per quanto riguarda il "ricambio generazionale", perfettamente d'accordo, in linea generale, ma vorrei si considerasse la sofferenza di chi, oggi non più giovane, è stato espulso dalla possibilità di diventare parte della "classe dirigente", a causa di una sua serietà/onestà di fondo; la storia di queste espulsioni non è stata ancora scritta;
2. l'ostinazione degli uomini nell'ostacolare il merito di donne, e uomini, è soprattutto figlia del maschilismo endemico e ignorante di questo nostro Paese;
3. per avviare una "trasformazione culturale rivoluzionaria" sono necessarie anche regole nuove; per quanto mi riguarda, da militante della sinistra, sono favorevole, insieme ad altri, alla proposta di una codificazione di una regola semplice semplice, ma utile alla "rivoluzione culturale": l'elezione, a livello di organizzazione di partito, dai circoli al livello regionale, di due coordinatori/segretari, un uomo e una donna (a mio parere anche a livello nazionale, romperebbe quel connubio ancora stretto, almeno in Italia, tra maschio e potere!);
3. diffiderei degli "esiti naturali" di un processo di affermazione del merito sino a quando permarrà, nelle coscienze e nell'educazione diffusa (non da parte della scuola, ma delle altre agenzie) delle nuove generazioni, la sirena irresistibile di un danarismo avvilente;
4. da uomo di scuola, separerei il "caso Ruby" dalla persona "Karima"; se Ruby avesse incontrato, per un qualsiasi caso, altro Presidente del Consiglio e altri uomini, noi oggi si parlerebbe della storia personale di una ragazza difficile di nome Karima, da aiutare nella sua cresita, e non del "caso Ruby"; il caso Ruby è l'esito obbligato di una sottocultura di fondo maschilista, aggravata da un indecente strapotere economico, che rende vile ogni rapporto;
5. i "criteri rigorosamente meritocratici" sono ancora da venire; serviranno decenni di educazione etico-politica, educazione oggi assente nelle scuole, per dare un senso sociale al merito; l'italico familismo amorale macchia di egoismo il senso dello Stato; ancora oggi non riesco a capire attraverso quali prove di "merito", certo molto severe, sia passato il Balducci per diventare "gentiluomo del Papa", e ancora adesso non riesco a capire perché, per quali meriti, possa essere definito democratico, moderato, liberale e cattolico, e uomo vicino alle gerarchie di Chiesa, il sottosegretario Letta (Gianni), se del Berlusconi, l'uomo del caso Ruby, è il più potente braccio destro.
E per ultimo, credo abbia ragione anche Saviano, quando afferma l'importanza di una lotta alla luce del sole alle mafie e a ogni tipo di corruzione.
O no?
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