C’era una volta un allegro buon padrone di
un partito di servi liberi
che un bel giorno decise di sentire il
dovere irresistibile di scendere in campo
per difendere dai comunisti cattivi il
Paese che amava con tutto il cuore.
E ogni giorno da giornali e da tv tuonava,
con quanto fiato aveva in gola,
“Basta tasse… è necessaria una rivoluzione
liberale…
è già pronto un milione di posti di lavoro…
il merito innanzitutto,
a scuola e nel mercato…e libertà per tutti…”
Tutti gli elettori, armati di voto, accolsero
con entusiasmo il suo gridare,
e quando, giunto il momento, chiesero conto dei proclami,
si trovarono senza rivoluzione liberale,
sempre con le tasse, senza il milione
di
posti di lavoro, con un immeritevole ministro del merito,
con
l’ingabbiamento subdolo della libera concorrenza nel
mercato,
con la
libertà per tutti ma tagliata su
misura ai giudici.
Un quasi scherzo di cattivo genere.
Ma gli elettori, e spesso è capitato nella serva Italia, ingenui e
creduloni,
c’erano cascati. E del correre a votare s’erano
pentiti.
Ora quel padrone è tornato a tuonare, e di
nuovo urla la sua voce,
la voce del padrone, per richiamar gente in quantità,
e già corrono in tanti ad ascoltare il
ritornello “come prima, più di prima”.
E in tv e nei giornali al centro domina l’allegro
buon padrone,
obbligato per irresistibile dovere a
scendere in campo contro la sinistra.
Forse, se si fosse semplicemente tutti
contadini, fini e civili,
a vuoto griderebbe quel padrone di pecore e
senz’alcun ascolto.
O no?
Severo Laleo
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