A proposito di “cambiamento” nella
politica italiana in giro
e in rete si trovano molto spesso entusiasmi
esagerati e irripetibili insulti,
raramente riflessioni ponderate. La velocità
e i nuovi strumenti di comunicazione
abituano purtroppo alla semplificazione smodata. E’ possibile
un’analisi
di semplice osservazione? Si può provare.
Alfano
è il segretario del NCD e, per
quanto voglia, non appare
un gigante. Anzi. Eppure oggi rappresenta,
in qualche misura,
più di altri, la consapevolezza democratica
del cambiamento.
Sì, perché ha abbandonato, non senza
qualche rischio,
il suo “capo/padrone”
Berlusconi per non cedere a una
dinamica politica
di tipo eversivo.
Letta
è il Presidente del Consiglio e per quanto voglia non riesce
a governare con il gradimento degli elettori. E’ fermo.
Eppure oggi rappresenta, in qualche misura,
più dei nuovi agitati e sempre in movimento
dirigenti del Pd,
la consapevolezza democratica della necessità
della mediazione,
lenta e solidale, per dar saldezza alla
dinamica delle istituzioni.
Il cambiamento è possibile solo se le
istituzioni tengono.
Ha separato senza traumi istituzionali il
destino del governo
dal destino giudiziario di Berlusconi. Un impegno d’obbligo,
certo, vorrei vedere, ma un impegno difficile
in un Paese
a creatività infinita per salvare i potenti
di turno. E qualche beneficio
è evidente, almeno per l’erario, in termini di
spread.
In breve, in una contingenza emergenziale, Alfano e Letta,
con la collaborazione degli alleati di
centro, guidano con fatica,
con errori, con incomprensioni, tra i mille
attacchi
di un’opposizione spesso scomposta, tra
pasticci incredibili,
il delicato passaggio al cambiamento,
per una democrazia “normale”,
dopo il ventennio dell’anomalia. Una guida, si sa,
a tempo, e segnata dalla decisione della Consulta sul Porcellum.
Ma questo passaggio verso il “normale”
appare tortuoso.
E trova un oppositore forte nel Pd, nel suo segretario,
abituato a “non mollare”, e disposto
a “giocarsi
tutto”
(ma quale mondo rivela questo linguaggio?).
Il nuovo segretario del Pd, in controtendenza, respinge
la normalità e apre la strada a un nuovo corso.
Confermando l’anomalia, e interpretando una
“nuova”
politica,
violenta nell’agire, nelle intenzioni, nel linguaggio.
E’ una violenza nei confronti di tutte le
persone oneste,
anche di chi –figlio di un paese a diffusa
illegalità- non ne vede ora tutta
l’enormità, l’atto di incontrare un
condannato per frode fiscale,
ripeto per frode fiscale, qualunque sia il suo
nome e il suo ruolo,
per decidere di riforma elettorale e di cambiamenti costituzionali
(per conferma si chieda a un qualunque cittadino svedese, olandese,
statunitense,
tedesco, escluso un russo ammiratore di Putin, se è legittimo,
se non è
violenza verso la legge, per un segretario di partito, di destra o sinistra,
non fa differenza, concordare con un condannato per frode fiscale la legge
elettorale: non capirebbero neppure la domanda …
ma noi siamo nella “nuova”
Italia);
è una violenza nei confronti della libertà degli
elettori, nella scelta
dei propri rappresentati in Parlamento, esprimere
l’intenzione
di proporre una legge elettorale dove
saranno ancora
dei “capi/padroni”
(sempre maschi) a decidere le liste, quindi
a “nominare”
fedeli esecutori, a prescindere dai possibili correttivi
a cura della “generosità” dei partiti (solo rappresentanti liberi
da condizionamenti possono lavorare per
liberare gli altri
da altri condizionamenti, con beneficio
della libertà di tutti);
è una violenza gratuita, e davvero fuori
luogo e senza giustificazione,
affermare la volontà di bloccare i “ricatti”
dei piccoli partiti (chi non vede l’enormità
di questo giudizio politico,
chiuda pure qui la lettura), perché impediscono ai
grandi
di correre liberi verso le magnifiche sorti e progressive.
Infine, e vale per tutti, è una violenza imporre
il bipolarismo
per legge specie se si affida a un
Parlamento eletto
con l’incostituzionale Porcellum il compito di cambiare le regole
e la Costituzione. Sempre se non si decide
all’unanimità.
O no?
Severo Laleo
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