Ho visto per televisione il passaggio delle consegne
tra Letta e Renzi. Consegne? Si fa per
dire, è semplicemente
una campanella a passar di mano, quasi a segnare
una continuità istituzionale, nella stabilità della democrazia.
Per la serenità di tutti.
Un passaggio, in genere rituale e sorridente,
diventato all’improvviso, oggi, di forte significato politico,
grazie all’interpretazione del gesto da parte dell’uscente
Presidente del Consiglio, Enrico
Letta.
Tutto è avvenuto con grande velocità: il pacato Letta
ha sorpreso tutti, proprio tutti, per rapidità d’esecuzione,
senza un minimo cedimento, per l’esclusivo beneficio
di “attori” e “spettatori”, al teatrino dell’ipocrisia.
Letta è uscito dal rito
con grande severità, quasi a segnare,
al contrario, in quel passaggio, un’evidente discontinuità.
Sì, almeno tra diversi modi di intendere la politica,
anche se per gli osservatori si tratta solo di “gelo”.
E ho visto di colpo, nelle modalità di svolgimento dell’intera
scena, e soprattutto di quel gesto rapido e muto del passaggio
della campanella, tutto il disappunto di Letta, non personale
per un incarico perduto, ma per un modo “nuovo” di
intendere
e di interpretare la Politica.
La campanella è partita di scatto dalle mani di un uomo
con una sua “cultura” politica (a prescindere da ogni
giudizio
politico di merito) per giungere nelle mani di un altro uomo,
cultore dell’“atto” politico comunque, anche oltre ogni
regola,
con la motivazione determinante dell’ ”ambizione smisurata”.
E con la complicità pavida e senza parole di tanti. Troppi.
Ho visto di colpo, per immagini, la sconfitta
(spero temporanea) della serietà
della riflessione politica
di fronte all’istinto dell’arrembaggio politico, del “vai, adesso!”.
Non è un giudicare le persone, specie se giovani,
ma semplicemente gli “atti”: le persone, si sa, sono
sempre oltre,
e hanno intatta la possibilità di riconoscere le “cadute”.
E se troppi, nella stampa e nella politica, si sono dimostrati
incapaci
di comprendere e, quindi, di condannare, per timida attesa,
la “violenza” della “nuova” (e
vecchia) politica, Letta,
al contrario,
è tra i pochi ad aver voluto segnare una discontinuità
sia pure con un gesto. Anzi con una campanella.
E forse è ora per tutti noi di chiedere i perché, ma non da oggi,
di questa deriva ademocratica di un intero paese,
secondo una tradizione/maledizione tutta italiana,
orfana dell’intelligenza critica di un Piero Gobetti.
Non ho le sue idee, ma oggi sono con Letta. Con la sua lezione.
Forse perché abbiamo in comune il modo di intendere la Politica.
E spero, in futuro, possa la semplice “sovranità
elettorale”,
insieme alla retorica pigliatutto dei milioni di voti,
a turno agitata da ogni parte, a destra e a sinistra,
cedere il campo alla “sovranità conviviale”,
con la sua democrazia trasparente e partecipata tra pari.
O no?
Severo Laleo
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