martedì 23 settembre 2014

Scuola, il Presidente Napolitano cambia registro



Anche il nostro Presidente della Repubblica, pur saggio d'età,
e di storia, cambia registro e verso nei suoi discorsi.
Almeno quando parla di scuola. E' diventato diretto, rapido, 
persino battagliero; vuol suonare adatto ai nuovi tempi.
Parla ai giovani, perché colgano, con entusiamo le opportunità,
diano spazio alla creatività, si aprano alle tecnologie
di avanguardia, valorizzino le eccellenze. Si rivolge ai singoli
non all’insieme del mondo della scuola.
Divide e non tiene all’unità, anche per la sua strana,
e inutilmente aspra, vaghezza nell’attaccare nemici invisibili
e senza nome. 

Nel 2013 il discorso del Presidente Napolitano, in occasione 
dell'apertura dell'anno scolastico, è stato complesso e incisivo
soprattutto per le persone di scuola e contava ca. 2000 parole;
quest'anno –si sa, viviamo tempi di rapidità- il suo discorso  
conta solo 1000 parole e per scelta non pare voglia essere
incisivo in campo scolastico. Anzi pare voler colpire,
e badare ad altro.

Nel 2013 il Presidente parla di scuola con grande attenzione
e convinzione. E scrive: “Imparare è importante per l'intero sistema paese.
Ma cosa serve perché a scuola si impari meglio? I risultati di varie ricerche ci dicono
che più di altri fattori conta l'apporto degli insegnanti. E quindi ci si deve impegnare
a investire - in risorse e iniziative - come il Governo ha iniziato a fare, 
perché la già notevole professionalità dei nostri docenti si rafforzi … 
si ottengono buoni insegnanti non solo con un'accurata formazione e con opportuni 
aggiornamenti, ma anche e molto promuovendo la trasmissione e lo scambio
nella capacità di insegnare. Non bisogna mai smettere di imparare gli uni dagli altri, 
anche dai giovani, e scambiare quel che si è imparato. Sappiamo quante buone pratiche 
vanno spesso disperse”. A ben leggere, è un Presidente ben dentro il fare scuola, 
attento a sottolineare l’importanza della solidarietà di una comunità educante. 
E non solo tra docenti: “Quello che vale per gli insegnanti
vale anche per gli studenti. La pratica dell'aiuto agli studi dato dai più bravi
a chi resta indietro o dagli studenti più adulti ai più piccoli è un altro bell'esempio
di - chiamiamola così - redistribuzione dei talenti. Invito perciò gli studenti migliori
a essere generosi e attivi nel condividere quanto hanno imparato”.
Davvero un invito alla coesione solidale a partire dalla scuola.
Un manifesto di unità sociale.  Un discorso coinvolgente.
In una parola, da Presidente.
E non tralascia, anche nel 2013, il discorso sul lavoro, ma l’affronta
con stile e parole precise, senza piglio battagliero, senza inutili ismi, 
e sempre indirizzando le parole alle persone della scuola
e non a altri. “A voi ragazze e ragazzi, dico nel modo più semplice e convinto:
la sola risposta certa che si può dare alle vostre preoccupazioni per il futuro,
e sappiamo quali sono queste preoccupazioni, su che cosa ci si interroga :
"avremo lavoro e quale, qualificato e soddisfacente oppure no, potremo avere
un posto riconosciuto nella società?", ebbene, la risposta certa a queste vostre 
domande è una sola: formatevi e preparatevi nel miglior modo possibile.
Ve ne deve essere data, certo, la possibilità, dal sistema d'istruzione,
dalle strutture scolastiche, dalle politiche pubbliche. Ma almeno in parte,
in buona parte, queste possibilità oggi esistono in Italia”. Sembra dire:
le possibilità esistono, basta solo coglierle, la “rivoluzione”
non è urgente. E volando alto cita le parole pronunciate all’Onu
dalla giovane pakistana Malala Yousafzai vittima di un attentato talebano: 
"Il terrorismo, la guerra e i conflitti impediscono ai bambini
di andare a scuola. Dobbiamo condurre una gloriosa lotta contro l'analfabetismo,
la povertà e il terrorismo, dobbiamo imbracciare i libri e le penne, sono le armi
più potenti. Un bambino" - sentite queste parole! - "un insegnante, un libro
e una penna possono cambiare il mondo".
E’ stile poetico, lento e profondo, ma di grande interesse:
il cambiamento è la crescita collettiva di una società che studia.
E’ un discorso per e non contro.

Ma quest’anno il Presidente perde ogni afflato poetico 
e sembra preoccupato non tanto di parlare al mondo della scuola, 
quanto ad altri soggetti, mai nominati espressamente. 
E al discorso preciso e chiaro del 2013, comprensibile a docenti e studenti, 
oppone ora, nel 2014, un discorso non adeguato, in più parti, 
a studenti e docenti. E, quasi arrabbiato, dice: “Oggi non solo l'Italia, 
ma tutta l'Europa sono alle prese con una profonda crisi finanziaria, economica, 
sociale: e fanno fatica ad uscirne. Possono uscirne, Italia ed Europa, solo insieme, 
con politiche nuove e coraggiose per la crescita e l'occupazione, dirette soprattutto 
e più efficacemente ai giovani. … Ebbene, sia chiaro che per farcela ci si deve 
non già chiudere in vecchi recinti nazionali, e sbraitare contro l'Europa, 
ma stringerci ancor più in uno sforzo comune, integrare ancor più le nostre energie, 
in spirito di solidarietà, nella grande Europa unita che abbiamo via via costruito 
in oltre sessant'anni”. E diventa urgente la “rivoluzione”: 
Insieme dobbiamo rinnovarci, metterci al passo con i tempi
e con le sfide della competizione mondiale. Specialmente in Italia 
dobbiamo rinnovare decisamente le nostre istituzioni, le nostre strutture sociali,
 i nostri comportamenti collettivi: in questo paese che amiamo, non possiamo
più restare prigionieri di conservatorismi, corporativismi e ingiustizie”.

Caro Presidente, forse le persone presenti al suo discorso, soprattutto
gli studenti, questa volta non credo abbiano ben compreso le sue parole,
perché il senso del suo invito al cambiamento è diventato vago e oscuro.
E insieme di "violenta" liberazione. In breve, ha cambiato registro. E verso.


O no?
Severo Laleo




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