Nell'articolo di Gianfranco Pasquino su Domani del 9 agosto, a proposito del futuro delle democrazie liberali (il titolo recita: "le democrazie muoiono se non si insegnano i suoi valori"), si possono leggere strati di parole di ottimismo e insieme di pessimismo.
L'ottimismo, direi attivo, è tutto nella proposta di una democrazia a vocazione pedagogica, di una politica cioè impegnata anche su un versante pedagogico. Riporto le sue parole: "Sono giunto alla individuazione di un fattore predominante [nei successi elettorali delle destre]. In tempi diversi e con modi diversi i governanti democratici, compiaciuti dei loro successi politici, istituzionali, economici hanno cessato qualsiasi attività di insegnamento della politica democratica, dei principi e dei valori della società aperta. Anzi, proprio in nome della libertà di competizione politica e culturale non hanno saputo/voluto opporre le loro idee a quelle in parte comuni in parte specifiche alle singole esperienze storiche che venivano espresse in maniera talora folkloristica talora anche violenta dalle destre. Soltanto l'impegno pedagogico culturale, qui e ora, senza speciose neutralità, sulla superiorità dei valori universali democratici può salvare le democrazie realmente esistenti, la democrazia che abbiamo e quella che vorremmo."
Perfettamente d'accordo.
Il pessimismo, davvero profondo, è invece racchiuso in una notazione di inquietudine: "Mi inquieto al solo pensiero che Donald Trump che tutti i sondaggi danno molto competitivo finisca per tornare alla Casa Bianca con conseguenze che sarebbero devastanti per tutte le liberaldemocrazia esistenti e per coloro che vorrebbero crearne nei loro paesi." E il termine devastante è scritto ben a proposito.
Ma si può mai correre il rischio di consentire alle liberaldemocrazie di diventare la base di lancio di nuovi autoritarismi dai tratti beceri?
In verità, riandando con la memoria all'ultima tornata elettorale presidenziale negli Usa, le persone votanti più avvertite hanno interiorizzato il rischio e hanno risposto scegliendo Biden. Gli stessi tentativi di Trump di stravolgere il risultato elettorale, sino all'assurdo assalto a Capitol Hill, chiamando a raccolta i suoi, non ha funzionato, perché molti funzionari, anche repubblicani, il famoso/famigerato Deep State, hanno dimostrato più attaccamento ai valori democratici che a loro capo. Una speranza esiste ancora, dunque! (L'insuccesso recente di Vox potrebbe essere una conferma.)
Certo se le liberaldemocrazie rischiano, non è solo per assenza di un impegno pedagogico (i fattori sono sempre molteplici, avverte Pasquino), quanto, forse, per l'irruente occupazione, in più Paesi, della politica da parte di uomini di affari, senza cultura del limite, potenti per una ricchezza troppo facilmente accumulata. Questo mix tra potere politico e potere economico/finanziario ha creato le basi per il potere autoritario, attraverso una "semplificazione" dei processi decisionali. Non solo. Con esso mix ha ritrovato nuovo vigore anche il pensiero, anzi il dominio, maschilista.
Che fare?
Da una parte scrivere nuove regole di trasparenza per porre limiti (nella competizione democratica prima e nella gestione del governo poi), a chiunque si trovi ad accumulare un enorme potere personale, dall'altra rompere la maschilizzazione culturale della politica (spesso interpretata bene anche da donne!) con istituzioni democratiche (parlamenti, consigli, giunte...) a parità di presenze uomini/donne, fino a superare il monocratismo con un governo duale. Non è forse sul piano istituzionale il monocratismo l'esito storico del maschilismo?
È cmq compito di ogni persona democratica partecipare alla vita politica, in un modo o nell'altro, per sostenere/estendere la democrazia contro ogni pericolo di autoritarismo.
O no?
Severo Laleo
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