A veder dall’alto, con gli occhi di un satellite,
in un trascurabile fazzoletto della nostra Terra,
al confine tra due popolazioni (di persone)
lungo una sottile striscia di terra,
ha il dominio terrribile la morte,
caparbiamente inseguita, e diffusamente elargita,
da uomini, maschi, a persone di ogni genere, età,
e visione di vita. E’ all’opera, in quel fazzoletto
della nostra Terra, l’atrocità dell’odio dell’uomo
contro l’altro uomo, a motivo di Potere,
garantito solo dall’eliminazione dell’altro.
A veder con gli occhi della Storia, le esplosioni di violenza,
a volte inimmaginabili e orrende, pur dai nomi diversi,
genocidio, guerra, aggressione, rivoluzione, terrorismo,
si susseguono senza sosta con il ritmo altalenante,
sempre uguale in sé, del dar morte e del chieder vita,
in un banale inseguimento tra guerra e pace.
Senza fine. Ogni pace viene così a fondarsi sulla morte.
Una pace foriera di altra morte. Comunque.
Continua, a ben vedere, con armi
sempre più avanzate il primordiale duello corpo
a corpo tra fratelli su una linea di confine per terra.
Fratelli, uomini, maschi.
Ancora oggi tutta la nostra cultura “umana”,
a occidente e a oriente, a nord e a sud,
è tutta immersa in questa logica inevitabile
dell’esercizio della “forza” nella difesa di un bene,
di un confine, fino all’eliminazione, con ogni modalità,
dell’altro, nel rispetto del perenne “duello”
per raggiungere il Dominio.
Possibile sia questa l’unica logica “umana”?
Sono d’accordo anche tutte le donne,
femministe e non? Esiste una via d’uscita?
A cura, per iniziativa di chi?
E’ successo da poco, in quel fazzoletto della Terra,
da parte di un gruppo di terroristi, un attacco
di feroce violenza, senza limiti, contro persone inermi:
condanna da una parte, esultanza da altre parti.
Chi condanna ritiene necessaria, giustificata, legittima
la reazione almeno di pari “forza”, con altra morte
a seguire. Inevitabile secondo la nostra idea “umana”
di difesa legittima. Nessun dubbio.
Il dolore per tanta morte causata spinge a organizzarsi
per produrre altra morte. E altra morte chiede anche
chi esulta. La spirale è senza fine.
Esisterà un’altra cultura per porre fine al massacro?
Esistono altri soggetti in grado di esprimere
un’altra cultura? Per uscire dalla spirale, è lecito,
anzi d’obbligo, tentare altre strade, coinvolgendo
il pensiero/azione femminista.
Solo la persona/popolazione offesa può essere
nelle condizioni di chiedere il perché della violenza,
aprendo alle parole senza armi.
Tocca la cura alla persona ferita, non il diritto
di procurare altre ferite. Ha il femminismo la “forza”
di partire dalla ferita per andare oltre?
E chissà se incontri continui, in piena guerra
e/o durante una fertile tregua, tra delegazioni di donne
femministe della Palestina e di donne femministe
di Israele, non abbiano a inventare la “via della parola”
contro ogni ipotesi di massacro, magari proponendo
percorsi di convivenza.
Immaginare (e praticare) il cambiamento non è fuori luogo,
specie quando tutto sembra cadere nel vortice
della sofferenza degli errori del passato, identici a sé stessi.
O no?
Severo Laleo
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