Caro Scapece,
oggi, nel giorno di
San Luca Evangelista, ho finito di leggere l’Enciclica
di Papa
Francesco “Fratelli tutti”, pubblicata il 4 Ottobre, nel
giorno
di San Francesco, e non so perché mi è venuto spontaneo
scriverti subito
per parlartene un po’, rapidamente e come al
solito a modo mio.
Anzi scusami, non ti
ho nemmeno chiesto come stai. Come va? Spero,
e ti auguro, un “tutto
bene”. Purtroppo di questi
tempi dobbiamo stare
molto riguardati, specie noi, generazione al
tramonto. E vabbè!
Senti, ho trovato
quest’enciclica di una grande chiarezza di pensiero
e di una
consapevole semplicità di
scrittura.
(Il Papa dichiara espressamente di usare il suo
“linguaggio”.)
E giustamente,
perché i destinatari sono tutte le “persone di buona
volontà”, non tutte esperte di dottrina cristiana.
E, a proposito di
“persone”, termine inclusivo per uomini e donne,
voglio
subito dirti che accusare il Papa di aver dato un impianto
linguistico
maschilista all’enciclica, a partire da quel
titolo/inizio “Fratelli tutti”,
mi pare eccessivo e fuori
luogo, anche se, e il papa in verità nel corpo
del testo non
dimentica le “sorelle”, sarebbe meglio ormai tener sempre
presente con termini appropriati e espliciti l’universo maschile e
femminile,
altrimenti anche al miglior lavoro di rilettura/revisione
può scappare
un superato “uomini di buona volontà”
(infatti appare una sola volta
nella lettera). Eppure, se c’è nel
testo un cedimento (tenero e giustificabile)
agli stereotipi di
genere, questo l’ho trovato in un passaggio del discorso
sulla
missione educativa delle famiglie, luogo ideale anche per
l’educazione
religiosa. Ebbene, scrive il
Papa, “esse
[famiglie]
sono
anche l’ambito
privilegiato per la trasmissione della fede,
cominciando da quei primi
semplici gesti di devozione che le madri
insegnano ai figli”.
Forse
nella
parola
madri
sono inclusi anche tanti papà!
Senti,
questa è
davvero
l’enciclica
della fraternità
aperta
e dell’amicizia
sociale,
e dentro questo alveo corre tutto il discorso accorato di Papa
Francesco.
La sua preoccupazione è di spingere/convincere ogni
persona a non trascurare
l’amore per l’altro/a, soprattutto se
quest’altro/a è in difficoltà, di qualunque
natura, economica,
sociale, culturale, fisica, psicologica. In breve invita
a non
abbandonare le persone “scartate”. E’
forte, caro Scapece, questo
termine, vero? E nell’immaginario
di
noi meridionali la
parola scartare,
credo
abbia una valenza ancora
più
pesante
e dura, e contiene quasi
una colpa. Le
persone non si possono “scartare”,
scrive
il Papa; sembra
un’ovvietà della civiltà, ma
un po’ dappertutto nel mondo si assiste
purtroppo
a
un processo, guidato da una paura senza ragione, di chiusura
nei
confini della propria identità e
del proprio egoismo,
scartando
chi
è diversa/o. E
da qui il richiamo molto sentito e
forte
del Papa al rispetto
dei diritti delle persone migranti e alla
fattiva ideazione/realizzazione
di una politica di accoglienza
concreta, senza
l’egoismo
della frontiera. “Nessuno
può
rimanere escluso, a prescindere da dove sia nato,
e tanto meno a causa
dei privilegi che altri possiedono per esser nati in luoghi
con
maggiori opportunità. I confini
e le frontiere
degli Stati non possono
impedire che questo si realizzi.”
Questa
è anche l’enciclica
del no definitivo alla guerra e
del
rifiuto dell’uso
della formula della
“guerra
giusta”,
perché
la guerra non solo cancella
il “progetto
di fratellanza”, ma
“è
la negazione di tutti i diritti e una drammatica
aggressione
all’ambiente.
Se
si vuole un
autentico sviluppo umano integrale
per tutti, occorre proseguire
senza stancarsi nell’impegno
di evitare la guerra
tra le nazioni e tra i popoli”.
In
breve, papale
papale, “mai
più la guerra!”
Infine
questa è l’enciclica del no definitivo alla pena di morte, perché
la pena
di morte, già “inadeguata
sul piano morale e non più necessaria sul piano
penale”
secondo
l’insegnamento di
Giovanni
Paolo II, diventa
ora
inammissibile
e la Chiesa si
impegna
con determinazione a
proporre che sia
abolita in tutto il mondo”.
E
attiverà,
immagino
presto,
la Chiesa questo
impegno, perché, a leggere le notizie di cronaca,
l’8 dicembre prossimo
Lisa Montgomery verrà uccisa in Indiana da
una iniezione letale. E sì,
perché il ministro della giustizia di
Trump,
William
Barr,
sicuro di difendere
“legge
e ordine”, ma
incurante del processo di civilizzazione della società,
ha
dichiarato il suo pieno consenso alla ripresa dopo 16 anni delle
esecuzioni
federali negli Stati Uniti. (Montgomery sarà la prima
donna in quasi 70 anni
a essere giustiziata dallo Stato.) Certo,
caro
Scapece, se
il “popolo”
d’America conferma quest’uomo così privo di
“tenerezza”
sociale
alla Presidenza, qualcosa non funziona nel discorso/agone della democrazia.
Per
il resto tutta l’enciclica, dal punto di vista sociale, è nel
solco delle grandi
encicliche sociali degli ultimi decenni e non mi
pare aggiunga altro. Anzi,
poiché l’obiettivo fondamentale di Papa
Francesco è di esortare alla fraternità
aperta
e all’amicizia
sociale, gli
aspetti socio-economici sembrano svolgere
un ruolo di sfondo. La
sua analisi a tinte fosche della società di oggi
è infatti
abbastanza diffusa, almeno
mi pare,
e
anche il suo insistere
sulla scarsa attenzione ai principi etici del
potere economico
ha
larga
accoglienza.
Forse,
grazie al fatto di aver scelto un linguaggio chiaro e semplice, piano
e comprensibile, a volte, in qualche passaggio di analisi della
società,
le
sue parole rischiano
di destare immagini dai
contorni
generici,
non sempre
puntuali (i
veri potenti, i potenti di turno).
E
forse è un prezzo da pagare per evitare
il linguaggio settoriale. E
forse è
anche
comprensibile
in chi inserisce,
a ben ragione, tra le qualità della relazione
sociale la tenerezza.
Ma
queste ultime osservazioni, caro Scapece, come dire, chiudi un occhio
e lasciamele passare, e goditi questo passaggio, così raro in
encicliche sociali:
“Anche
nella politica c’è spazio per amare con tenerezza. «Cos’è la
tenerezza?
È l’amore che si fa vicino e concreto. È un movimento
che parte dal cuore
e arriva agli occhi, alle orecchie, alle mani. La
tenerezza è la strada
che hanno percorso gli uomini e le donne più
coraggiosi e forti».
In mezzo all’attività politica, «i più
piccoli, i più deboli, i più poveri debbono
intenerirci: hanno
“diritto” di prenderci l’anima e il cuore. Sì, essi sono
nostri
fratelli e come tali dobbiamo amarli e trattarli»”.
E
mi sovviene il convivialismo. A proposito, sai che Alain Caillé,
animatore
del movimento dei Convivialisti, dichiara in un’intervista
di condividere totalmente l’ispirazione socio-economica
dell’enciclica e quasi intende
chiedere al Papa di andare più
lontano sul piano della riduzione
delle ineguaglianze, magari fino al
punto di accogliere la proposta
convivialista di un reddito minimo universale e di un tetto massimo
alla ricchezza individuale?
E
qui torna il discorso della "cultura del limite". Una società dell'amicizia sociale
non può non determinare un limite sia alla povertà sia alla ricchezza.
Vedi, amico
mio,
giro e giro e torno sempre là; e per forza!
Ripeto,
purtroppo solo a me e a altri sette, queste cose da anni!
A
me sembrano i primi indispensabili passi per avviare
un processo
reale di civilizzazione della società, attraverso il quale la
dignità
di ogni essere umano, meglio di ogni persona, possa essere
garantita
e rispettata, sempre in ogni situazione.
Per andare
verso una
“civiltà
dell’amore”.
E
con quest’ultima citazione dall’enciclica di Francesco, caro
Scapece,
ti saluto e ti auguro ogni bene. Speriamo che ce la caviamo
tutte/i.
O no?
Severo