Il popolo italiano, anche nei suoi
rappresentanti istituzionali,
quanto a cultura liberale, è sempre stato molto carente.
E se anche è riuscito, nel dopoguerra, a
esprimere una Carta Costituzionale
di
grande respiro democratico, tuttavia ancora non riesce a rispettarla
e a inverarla.
Così, a ogni tornata elettorale, il grosso degli
elettori
ha sempre trovato facile piegarsi, per egoismo, pigrizia e
per cura del proprio
orticello, alle volontà di “capi” abili e spesso prepotenti,
e, negli ultimi tempi, anche volgarmente
maleducati.
Hanno, quindi, nel nostro paese scarsamente
liberale, avuto successo elettorale,
anche
se in maniera diversa, i Bossi, i Berlusconi,
i Di Pietro, i Grillo.
Tutti con una visione “ducistica”
della lotta politica, benaccetta a persone tifose
e attente al proprio interesse/successo,
ma avare verso i beni comuni.
Oggi al Senato, anche se Berlusconi continua a perpetuare
la confusione, qualcosa è cambiato: nel
rispetto di un elementare
principio liberale, termina -la speranza è legittima- l’era del “capo” assoluto,
del padrone del partito, della lealtà vassallatica,
dei “servi
liberi”.
Torna la pratica liberale del rispetto delle istituzioni,
per una democrazia a normalità europea.
E, a prescindere dal programma di governo,
ogni persona sinceramente
democratica, non può non essere contenta.
Anzi, a questo nuovo governo, si sarebbe
potuto esprimere
un voto favorevole, e penso a Sel,
pur solo sulla base
di un impegno a tornare alla democrazia “normale”,
magari con la richiesta di una nuova legge
per costituzionalizzare la “forma
partito”.
E il voto di Berlusconi a un governo gradito anche a Sel,
sia pure limitatamente alla “questione liberale,
con la rottura di una fase padronale
della politica,
sarebbe apparso sconcertante nella sua
strumentalità.
Ma il ritorno alla democrazia dei partiti
non può essere
un ritorno alla partitocrazia e alle
manovre della “casta”,
al contrario deve esprimere, almeno a
sinistra, un impegno nuovo,
con nuove generazioni, per l’estensione della democrazia
attraverso regole di partecipazione democratica
certe, trasparenti
e definite e per legge. Si tratta di
realizzare la democrazia
delle persone, uomini e donne, alla pari, anche
attraverso il metodo del sorteggio
per l’assegnazione di una carica, sempre a
durata definita,
la democrazia delle mille comunità, sparse ovunque
nel territorio, magari attraverso una sovranità
conviviale, della cooperazione,
del dialogo, del guardarsi negli occhi,
della relazione solidale, una sovranità,
in breve, non solo elettorale. E con
un auspicio: la fine della forma unica
del leader, del monocratismo, a favore
di una forma duale, di coppia,
un uomo e una donna.
Forse il futuro politico non sarà più nell'entusiasmo
travolgente
di un popolo al seguito di un leader trascinante
e solitario ,
non sarà più nei ”soldati di Silvio”, nei “vaffisti”di Grillo,
e, per altri versi, nei “rottamatori”
di Renzi.
O no?
Severo Laleo
P.S.
Se il popolo italiano non ha un reale
retroterra culturale liberale,
e non riesce ad avere un’orgogliosa e
permanente memoria
della lucidità etica e politica del
liberale Piero Gobetti, è vero,
è anche colpa della scuola, e non degli insegnanti,
ma di chi ha avuto la responsabilità politica del
governo della Scuola.
L'educazione civica appare per la prima
volta nel 1955,
timida e dimezzata, e ancora oggi non
concentra con forza
l’attenzione sull'interiorizzazione dei
principi costituzionali.
Ai tempi di Antonio Gramsci studente elementare,
gli 88 articoli dello Statuto Albertino -scrivo a memoria- erano
argomento
di interrogazione per superare un esame; oggi non è più
un obbligo chiedere a studenti di liceo neppure
i più importanti
articoli della Costituzione o della
Dichiarazione Universale
dei Diritti Umani. Eppure senza la cultura dei diritti non
esiste libertà.
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