martedì 12 agosto 2014

L’intelligenza liberale, l’oligarchia e il referendum



Ilvo Diamanti e Eugenio Scalfari, pur non credendo
alle mire autoritarie del nostro Premier, e quindi al pericolo dell’autoritarismo 
–in verità il discorso non riguarda il Premier e le sue mire, ma l’oggettivo, 
osservabile, misurabile danno in senso autoritario provocabile dalla riforma 
costituzionale in itinere- definiscono comunque il giovane Premier
con un tuffo nel passato, giù fino ai tempi della Grande Riforma 
(era d’obbligo allora la maiuscola!), un “nuovoCraxi, e escogitano 
per l’occasione una terminologia ad hoc: per Ilvo Diamanti il disegno 
del Premier è una “democrazia personale”, per Eugenio Scalfari
il tratto del Premier sa di “egemonia individuale”.
L’intelligenza liberale di Diamanti e Scalfari, per noi tutti
un alto stimolo per ogni discorso critico sulla società,
appare questa volta strabica, perché bloccata da un’analisi
ad personam, quasi succuba di una visione esclusivamente leaderistica 
della politica; colpisce, e quasi stordisce, questo
lor trovarsi d’accordo nell’attribuire alle mire di una persona 
(sempre un uomo da noi e non è un caso: quando una Merkel* anche in Italia?) 
quanto è oggettivamente solo una conseguenza
sia della fragilità politica, in termini di personale responsabilità, trasversalmente, 
di una classe dirigente, sia la diffusa assenza
di cultura liberale in un Paese facile agli innamoramenti.
Craxi a suo tempo non andò mai oltre il 15%, perché le persone 
allora nella cabina elettorale non semplicemente sceglievano
un partito o un leader, ma versavano nell’urna una scheda
piena di vita reale e orgogliosa di un’appartenenza forte.
Anche quando sbagliata, per costrizione clientelare.
Non è più così.
La discesa in campo di Berlusconi, ammiratore di Craxi,
contribuì a sbaragliare le appartenenze con la sua retorica bombardante  
dell’”Io”, e la democrazia, nel bene e nel male,
dei partiti si trasformò, complice il voto, in “democrazia personale
o in “egemonia individuale”. Nacque allora il capo, il padrone,
impropriamente il leader. E quel passaggio, alimentato acriticamente a destra, 
al centro e a sinistra (e qui con gravi conseguenze ancora oggi visibili) 
da troppi imitatori, ha oggi ripreso vigore, dopo il tentativo non riuscito 
di Bersani di “uccidere” il leaderismo smargiasso, in nome di una democrazia
a più ampia partecipazione, e senza inganni.
Berlusconi è stato sì sconfitto nelle urne dal centrosinistra
di Bersani –sa Iddio quanto ha inciso il Presidente Napolitano
nel liquidare il tandem Bersani/Letta!- e da un corpo elettorale deciso 
a chiudere una brutta pagina della storia d’Italia,
ma la sua sconfitta non ha segnato un’inversione di rotta
nella modalità del “far politica”.
Anzi quella modalità si è trasferita inopinatamente nel “nuovo” Pd.
Il Berlusconi catturato ha catturato l’Italia furbesca, allegra, manovriera 
e maschilista, l’Italia di “una mano lava l’altra”,
di “chiudi un occhio”, di “basta con lacci e lacciuoli”,
di “ora si diventa tutti ricchi”. In altre parole l’Italia comunque,
certo tra gli altri, di Razzi e Scilipoti.
Capita così di vedere oggi il “nuovo” della sinistra protetto
dal “vecchio” della destra. In una terribile intesa cordiale.
Questo è il dato.
Non c’entra quindi nulla con il rischio di autoritarismo
la “democrazia personale” del Premier né c’entra la sua “egemonia individuale”, 
c’entra al contrario la cultura politica senza etica
e senza personale e critica responsabilità di un gran numero
di addetti alla politica. Una cultura accomodante, insieme supina
e feroce, pronta a ferire le persone (e di questo Letta ha un’esperienza diretta),
ma soprattutto una cultura senza memoria.
Chi ha vinto le elezioni nel 2013? Con quale programma?
Chi ha diviso il centrosinistra tra maggioranza e opposizione
contro il volere degli elettori? Chi utilizza una legge elettorale incostituzionale,
il Porcellum, per riformare la Costituzione?
Quali elettori hanno consentito al Pd di avere un’ampia maggioranza alla Camera?
L’intelligenza liberale può anche ragionare di “democrazia personale” 
e di “egemonia individuale”, e preferire l’oligarchia, anche se degli eletti, 
ma solo il referendum, attraverso una decisione diretta,
dirà della qualità della nostra democrazia.
A prescindere dalle interpretazioni di un Premier.
E’ già successo, nel giugno 2011, grazie anche a una sinistra
con le idee chiare. E succederà ancora.
E il ciclo originato da Berlusconi e perdurante nei suoi epigoni
avrà la sua fine. Una volta per tutte.

O no?
Severo Laleo



* Forse gli anni della Merkel al potere, alla fine, al di là di ogni altra valutazione,
grazie alla “serietà”, sul piano etico-politico, della persona, regaleranno alla Germania,
alle nuove generazioni, una limpida educazione nella direzione della parità di genere, e quindi
della democrazia del dialogo tra pari, più di quanto un pur sistematico progetto educativo
possa offrire. Al contrario, da noi i guasti del berlusconismo sono già chiari a tutti
e continueranno purtroppo a pesare ancora a lungo, perché parte di un’intera generazione
ha subito per un qualche aspetto il suo “fascino” di prepotenza semplificatoria. Anche nell’agire politico.

venerdì 8 agosto 2014

Nessuno fermerà il cambiamento … dei “gentiluomini”



Mentre tutto intorno sembra di corsa cambiare,
almeno questo è il ritornello, e già s’agita il “nuovo” dell’avvenire,
per l’astuzia della storia,
tornano i “gentiluomini” con i riti segreti degli antichi patti.
E sì, ormai è chiaro a tutti, l’Italia e il suo futuro assetto costituzionale 
sono semplicemente, d’ora in avanti, sempre più, 
nelle mani dei  “gentiluomini”. Naturalmente maschi.
E i “gentiluomini”, a dire del capogruppo di Forza Italia in Senato,
anch'egli gentiluomo, i “gentiluomini”, appunto, sono Renzi e Berlusconi.
E’ solo grazie a questi due “gentiluomini” se il ddl Boschi di riforma costituzionale 
è stato approvato. Tutto il resto è contorno insipido, coreografia pomposa,
sceneggiata urlata. A partire dal Presidente del Senato. Peccato!
Tutto il resto non serve: i “gentiluomini” hanno forza per decidere da soli.
In questo senso non mancano le dichiarazioni di soddisfazione.
Soprattutto nella destra berlusconiana
(in verità nel Pd qualche motivato sussulto di “libertà di voto” ha aperto 
un qualche spiraglio contro il conformismo di sempre: almeno non si potrà più, 
grazie ai dissidenti Pd, continuare a dire, con Gobetti
che gli italiani hanno animo di schiavi).
Ed ecco le dichiarazioni. Inizia il gentiluomo Paolo Romani:
Il voto di oggi è la dimostrazione che Forza Italia è protagonista 
e fondamentale, senza di noi non ci sarebbe stata la maggioranza“. 
E continua, trionfante: “Mi auguro che l’asse con il Pd terrà 
anche sull’Italicum perché il patto fra Renzi e Berlusconi 
è un accordo fra gentiluomini.
Proprio così.
E la soddisfazione di Forza Italia continua anche nell’animo del nostro Premier
ormai sicuro, grazie a 183 senatori, tra i più “vecchi” del Senato
– i senatori “nuovi” non hanno votato-, di non trovare più ostacoli sulla strada 
di cambiare l’Italia e pazienza se gli arnesi sono i più vecchi possibili. 
E anche il metodo.
Eppure l’affermazione del nostro Premier 
"nessuno può più fermare il cambiamento
è il segno evidente di una latente, per ora, sconfitta politica. 
In realtà la via del cambiamento è senza tracciato sicuro, 
perché il destino dell’Italia non dipende più dal dialogo istituzionale libero 
e aperto di un Parlamento, non dipende più da una condivisione giocata 
con la nobile arte della politica, coinvolgente anche quando i voti sono 
divaricanti, non dipende più dalla forza 
di argomentazioni convincenti, ma dal patto con Silvio Berlusconi
E segna una frattura insanabile. Forse ora, nell'attimo, gradita ai più, 
perché solletica la rabbia con l’invenzione della semplificazione. 
Ma il controllo del voto non può durare all'infinito. 
E gli infingardi di comodo dell’oggi saranno gli infingardi di comodo domani.
Chissà, forse il “nuovo” giunge già vecchio e oscuro, se per “cambiare
il Paese c’è bisogno solo dell’accordo tra due “gentiluomini”.  
Come una volta, con una stretta di mani. magari democratica.
O no?
Severo Laleo

P.S. La senatrice a vita Elena Cattaneo ha motivato la sua astensione 
individuando con serena lucidità tre aspetti critici del percorso legislativo:
"il contesto generale di scarso ascolto e il linguaggio inadatto",
"un dibattito troppo condizionato da strategie di governo e di partito",
un progetto "tecnicamente pasticciato e frettoloso, non in grado di indicare l'esito, 
l'assetto, l'equilibrio, la visione del nuovo assetto costituzionale".
E ha aggiunto: "Non mi convince la non elettività dei senatori, non mi convince 
la modalità di elezione del presidente della Repubblica”.
Da condividere in pieno.
O no?




mercoledì 6 agosto 2014

L’inciucio non cambia “verso” anche se avanza il “nuovo”



C’è qualcosa di sempre, di immodificabile, quindi di vecchio, quasi a “verso” 
obbligato, qualcosa di stantio muffigno, e ora persino maleodorante, 
nei ripetuti incontri tra gli statisti Renzi e Berlusconi.

E’ la costante del maschilismo puro e duro, per nulla scalfito da obblighi 
di quote rosa o da impegni per la parità di genere, strombazzate, 
queste ultime novità, a ogni piè sospinto, solo là dove la gestione del servizio 
del potere è trasparente, in qualche modo, e controllabile e aperto a tutti.
Ma, quando si tratta di combinare accordi, pur non richiesti dal “popolo”,
per il futuro assetto costituzionale dell’Italia, e magari per gli interessi elettorali 
e privati di una ditta con nome e cognome, nel più eclatante dei conflitti 
di interesse e nel più disonorevole dei contratti, se disonorevole è la fedina 
penale, la più disonorevole possibile per credibilità pubblica, di almeno 
un contraente, fedina sciacquata e pulita, a dire anche dei “nuovi” statisti, 
dal voto degli italiani, allora, proprio quando si tratta di combinare accordi, 
il cerchio si chiude, immancabilmente, intorno a pantaloni di grisaglia “classici”, 
a riga perfetta, e a blue jeans scanzonati, senza riga.
Nell'assenza totale, non registrata dalla stampa “democratica”, non contestata 
dal “democratico” Pd, dell’occhio indiscreto, e forse inaffidabile a quel livello 
di statisti, di una qualche donna. Nemmeno una Serracchiani!

E così ti capita di vedere vecchi mal vissuti, quelli comunque da rottamare
in qualsiasi altra situazione di/per propaganda, diventare padri di una Patria, 
ma, forse per vergogna, solo nel segreto di un colloquio.
Berlusconi e Letta, ultrasettantenni, già generazione da boom, 
sorretti dal “giovane” Verdini, da una parte, e la generazione “nuova” 
dei quarantenni, figli comunque del ’68, ma, per ironia della storia, 
a travolgente ambizione di potere, dall'altra: e l’Italia di sempre torna vittoriosa 
nel canto dei galli senza un minimo cambiamento.
Il dominio maschile è immarcescibile. E non cambia “verso”.
Chissà, forse un incontro, anche senza streaming, tra Rosy Bindi 
e Berlusconi non avrebbe generato sospetti di inciucio.
O no?

Severo Laleo

domenica 13 aprile 2014

Annunziata e l'elogio (antico) del monocratismo

Scrive Annunziata a proposito e della infinita discussione intorno alle quote
rosa e della decisione di Renzi (e del PD?) di candidare, in testa alle cinque
liste per le elezioni europee, cinque donne: “Si fa esattamente così: 
altro che quote rosa. Un giorno il Premier si sveglia e dice 
capolista tutte donne“, e il giorno dopo ancora “ai vertici 
delle più grandi aziende pubbliche tante donne””.

No, invece, non si fa così. Una democrazia avanzata e matura,
tra persone alla pari, esige regole, e se le regole non si scrivono,
con chiarezza e trasparenza, a partire da una legge per la Riforma 

dei Partiti (è la riforma delle riforme, senza la quale tutto il resto,

nuovo o vecchio, può solo diventare imbroglio), la democrazia resta 

casuale. Nelle mani di un/a capo/a.
La parità uomini/donne non può essere la scelta di una persona
in solitudine, una scelta cioè dipendente dalla volontà
di un Premier. Illuminata/o o no.  Anche Hollande, rispettando
la promessa elettorale, aprì il suo esecutivo a donne e uomini
in numero pari. Ma pur resta la sua “apertura” una “graziosa” concessione.
E’ tempo di andare oltre.
La parità uomo/donna non può legarsi nella sua realizzazione
alla decisione personale e “illuminata” di un “organo monocratico”,

a prescindere dal suo “genere” maschile/femminile.
La parità, in breve, non può più dipendere dalla soggettività
di un Premier: deve diventare una norma.
Deve diventare normalità.
Se non irrompe, la parità uomo/donna, anche nel livello
“monocratico” di ogni “governo”, la nostra società continuerà
a restare imbrigliata nelle antiche strutture di potere
di esclusiva produzione maschile. Il monocratismo dovrà cedere
al bicratismo, al governo duale, di un uomo e una donna insieme.
Anche la scalata alla parità uomo/donna attraverso le quote rosa
non riuscirà mai a scalfire la struttura maschilista
della nostra organizzazione sociale, se non spezza il monocratismo.
Per aprire una via possibile al cambiamento della società,
anche nella direzione dell’estensione della democrazia
e della trasparenza, e soprattutto della formazione di una decisione
pubblica non più condizionata/dominata da una cultura di genere maschile,
in tutte le “sedi/luoghi” di natura decisoria, soprattutto
di pubblica utilità, la presenza uomo/donna non può non essere pari, anzi,

dovrà essere pari.
Altro che il “tante donne” grazie alla sensibilità del Capo!
In realtà, il monocratismo, il potere/dominio, cioè, di uno solo,
anche per via democratica, è proprio l’esito peggiore del maschilismo,

con tutte le sue degenerazioni, dal leaderismo carismatico all’uomo

della Provvidenza. E non merita elogio.
Il maschilismo cade solo insieme al monocratismo.
La pratica della parità non può continuare a essere nelle mani
di un “monocrate”. Forse solo il bicratismo perfetto potrà segnare
una nuova stagione di cambiamento.
O no?
Severo Laleo

domenica 6 aprile 2014

Scalfari, Creonte e la sovranità conviviale

Ecco, anche se tardiva, qualche opinione personale di Scalfari 
sul Presidente del Consiglio: “Renzi è un populista che combatte 
il populismo in casa d’altri ma lo applica in casa propria.
Dicono gli osservatori che circa cinque ore al giorno sugli schermi 
delle varie trasmissioni televisive appare lui con la sua facondia, 
la sua capacità di ispirare simpatia, il fascino seduttivo che emana dal suo 
viso, dai suoi gesti, dalla sua figura. Renzi persegue l’obiettivo di guadagnare 
consensi e stravincere alle prossime europee. La tecnica seduttiva 
non si impara, ci si nasce.
Poi con il tempo e l’esperienza la si affina e se ne fa uno strumento
di potere a favore del partito di cui si ha la guida, e se l’operazione funziona 
porta al possesso di quel partito. Questo è Renzi. Con le caratteristiche 
di Berlusconi senza i vizi e i crimini di Berlusconi. È il figlio buono e bravo 
di Silvio e infatti lo dice e ne è alleato e lo sosterrà, pronto però a pugnalarlo 
alle spalle se dovrà in qualche modo evitare la sconfitta alle europee….
Nella storia moderna il populismo, i partiti personalizzati, le leadership 
assolute e il decisionismo sono diventati conseguenze inevitabili
del suffragio universale, perciò il livello della politica e la qualità del bene 
comune sono precipitati in basso. A noi piacerebbe risollevarli, usare 
la critica responsabilmente tutte le volte che ci sembri necessario, 
sostenendo anche ciò che non ci piace se non vi sono alternative disponibili. 
Ma le alternative – se non ci sono – bisogna comunque prepararle.
Ecco un ruolo che possiamo e dobbiamo assumerci con il massimo impegno. 
Informare la gente e aiutarla a capire educandola alla democrazia. 
Non è facile ma è ciò che abbiamo tentato di fare per tutta la vita” 
(la Repubblica, 6 Aprile 2014).

Siamo d’accordo e apprezziamo il ruolo di Scalfari di volere 
educare alla democrazia“. Ma non basta. Bisogna imparare a praticarla, 
la democrazia. Con forme e regole nuove. Insieme alle persone.
Alla pari. Non solo attivando ogni tipo di marchingegno per vincere 
nel mercato dei voti. La democrazia non può reggersi solo 
sulla “sovranità elettorale“; la sovranità elettorale, il semplice esercizio 
del voto, può produrre e produce il populismo. E l’astensionismo. 
E premia il leader più seducente. E non ha limiti, se continua a votare 
un berlusconi di tanta fama. O un Grillo o un Renzi, novelli interpreti 
del bene comune.
Ma il bene comune non appartiene a “uno solo“. E’ un concetto chiaro 
già dall’antichità. Nella tragedia di SofocleAntigone, c’è un passaggio 
nel dialogo tra il re Creonte e il figlioEmone, illuminante.
Dice Emone al padre re Creonte:   “Città non è quella  ove uno solo può“.
Creonte risponde, piccato: “Ché! Non è del sovrano la città?
Ecco la verità della democrazia, con meraviglia del Creonte di allora 
e di tutti i creonti passati e futuri:
la città dove “uno solo può” non è “città“.
Il nuovo compito della democrazia è appunto costruire la città. 
Ed è il compito della sinistra democratica.
Costruire, con più partito e senza creonti, la “sovranità conviviale“. 
Nella Grecia di oggi, se la sinistra ha trovato una linea politica comune 
e insieme i voti, è perché nella crisi e nelle difficoltà delle persone 
non ha inventato, scimmiottando la destra, un nuovo leader pigliatutto, 
un suo creonte, ma ha praticato, dal basso, solidarietà e partecipazione, 
ricostruendo un tessuto sociale distrutto dalla crisi e dai tagli, e ha affidato 
a un leader, sì giovane (Tsipras),  non il compito di catturare voti
seducendo gli elettori, ma il più profondo compito di tradurre in proposte
politiche di solidarietà il dolore delle persone. Per opporsi alla deriva populista, 
ora anche del Pd, è necessario, a sinistra, praticare una via diversa, 
visibilmente e immediatamente diversa, anche nell'organizzazione 
delle regole di democrazia interna, ed è la via non dell’applauso
 ma della condivisione, non del monologo ma del dialogo, 
non dell’arroganza ma della prudenza, 
non dell’ambizione personale ma della responsabilità sociale, 
non della “sovranità elettorale” ma della “sovranità conviviale”,
attraverso la quale  è possibile forse generare democrazia.
O no?
Severo Laleo

sabato 15 marzo 2014

Chi si ferma è perduto

Ezio Mauro, in una nota su la Repubblica, dal titolo forte e d’altri tempi, 
Correre o morire’, sembra abbandonare il suo rigore di liberale 
per accogliere/seguire, sia pure nell’attesa, la “politica pop”, 
il “premier performer”,  ”l’azzardo”, quasi avvertendo il premier 
di voti “imboscate” e di un Parlamento “resistente”. 
E scrive: Renzi, "correndo deve anticipare la politica che vuole realizzare, 
per mettere le resistenze parlamentari, amministrative, della tecnostruttura 
davanti a un’opinione pubblica continuamente sollecitata da una scommessa 
di cambiamento in cui non credeva più di poter credere. C’è dunque 
una prova di forza in atto, dietro i sorrisi e le battute di una politica pop. 
Dopo meno di un mese, Renzi si presenta come l’apriscatole possibile 
di un sistema bloccato. Questa è la partita. Se vince, Renzi apre 
un meccanismo che sembrava irriformabile. Se non funziona, 
il sistema arrugginisce e anche l’apriscatole diventa inservibile”.

Così mentre in Francia, ad esempio, un po’ di intellettuali, preoccupati 
della crisi, provano a discutere di società conviviale, in Italia si attende
l’”apriscatole”. Un nuovo danno politico, al di là della bontà/malvagità 
dei contenuti, ormai si aggiunge ai guasti del berlusconismo, 
ed è già notevole, se anche il liberale rigoroso Ezio Mauro si pone 
in attesa e clicca ‘pausa’ al suo esercizio critico. Irrinunciabile.
O no?
Severo Laleo

P.S.  E' che "il nostro è un popolo abbastanza strano: 
s'innamora più spesso dei clown che dei politici impegnati 
a mettere il bene comune al di sopra di ogni interesse personale 
e di partito. Abbiamo tanti pregi, ma questo è un difetto capitale 
che spiega la fragilità della nostra democrazia e dello Stato 
che dovrebbe esserne il titolare e il contenitore". (Scalfari)

lunedì 10 marzo 2014

Energie nuove



Oggi davvero è in mano alle donne, dall’alto del Parlamento,
una battaglia seria, profonda per l’estensione della democrazia.
Estensione della democrazia. Per tutti e tutte.
Il problema dei problemi.
Se le donne vinceranno (e spero tanto) la battaglia per la parità 
(principio “naturale”), dimostreranno non solo la pochezza politica,
la miopia politica, l’interesse “privato” 
in legge elettorale, di un accordo tra due “uomini”, più un terzo
(Renzi, Berlusconi, Alfano), ma  romperanno anche (e spero tanto), 
senza timori, un accordo tra uomini per definizione intoccabile.
E questa rottura, questo rovesciamento, potrebbe liberare
energie nuove.
Anzi se ora la lotta è solo nell’alto del Parlamento per la parità
di rappresentanza uomo/donna, domani, magari anche
con la rottura del fronte oggi unitario e trasversale delle donne, dovrà essere 
nelle Piazze, dal basso, la lotta per la rappresentanza generale … 
in altre parole per il proporzionale.

Eppure bisogna preoccuparsi molto del silenzio
della “nuova sinistra unita”, unita grazie a Tsipras,
sulla questione fondamentale della democrazia: l’uguaglianza
del voto e la reale rappresentanza della “vita” nel Parlamento. 
Perché non si organizza, sull’esempio delle donne in Parlamento, 
una protesta/lotta forte nelle mille Piazze dove la “nuova sinistra unita” 
è presente, in contemporanea, magari una lotta continua
per qualche giorno?
Non si capisce tanta inerzia ... Dov’è la sinistra?
Nelle dichiarazioni?
Forse esiste un altro modo di intervenire nel dibattito politico
in tempi di presenza di leader decisionisti.
E’ dal profondo basso. Insieme.
O no?

Severo Laleo

giovedì 27 febbraio 2014

Con Tsipras per una sovranità conviviale



Ho letto con interesse, e condivisione, la nota di redazione
ConTsipras: non facciamo sciocchezze”. Non si può non essere d’accordo: 
un discorso, e una pratica, di sinistra non potranno reggere tra divisioni 
e frammentazioni insensate. Le solite.
In questa Europa -si legge nella nota- da sottoporre radicalmente 
a critica, è possibile avanzare un programma per un’Europa diversa, 
fondata su un nuovo piano di investimenti pubblici per l’occupazione 
e lo sviluppo, sulla cultura e la ricerca, sul disarmo, sulla lotta 
alle diseguaglianze e alla rapina della speculazione e del profitto illimitato 
di pochi. Con queste convinzioni, noi elettrici ed elettori di sinistra 
guardiamo con speranza all’ipotesi di una lista in sostegno della candidatura 
di Alexis Tsipras alla Presidenza della Commissione Europea:
un tentativo moderno, aperto e neosocialista per indicare
un percorso che faccia vivere anche in Italia un’opzione di critica 
all’austerità credibile, forte e unitario …. Quindi chiediamo,
con ogni forza UNA SOLA LISTA della sinistra, precondizione necessaria, 
anche se non sufficiente, perché questo tentativo abbia una qualche
possibilità di successo”.
Bene. Eppure è giusto chiedersi: 1. l’unità della sinistra è un compito da riservare  
solo al voto, anche nel senso di desiderio, di “elettrici e elettori”? 
2. se “una sola lista della sinistra” è “precondizione necessaria”, 
quali potrebbero essere le condizioni di base perché “un tentativo 
moderno, aperto e neosocialista” possa nascere, svilupparsi, durare, 
e incidere nel profondo? Ecco qualche riflessione.
Negli ultimi vent’anni, in Italia e anche in Europa, insieme alla riduzione progressiva 
del numero dei votanti (da ultimo il dato delle elezioni in Sardegna) si è andata 
consolidando, a destra, senza una netta, purtroppo, opposizione della sinistra, 
un’idea molto semplificata della democrazia, ancora forte e attiva nel nostro 
Paese, tutta fondata sul rapporto diretto tra il popolo degli elettori e il leader, 
rapporto attraverso il quale è stato più agevole alimentare quella 
lotta di classe dall’alto verso il basso”. Ma la sinistra non ha avuto, 
e pare non abbia, se ancora non riesce, muta, a organizzare forti proteste in ogni 
piazza d’Italia, il coraggio di difendere sino in fondo la sola idea giusta –una legge 
elettorale proporzionale senza premio di maggioranza-  per dare una possibilità 
di ripartenza a una nuova democrazia dal basso (“sono buoni i sistemi elettorali 
che danno potere agli elettori, non quelli che aumentano il potere dei partiti e, 
peggio, quelli di alcuni, pochi, capi di partitoG. Pasquino). 
Così, quando ieri, a Firenze, in una Casa del Popolo, memoria del Mutuo Soccorso
Argiris Panagopoulos, giornalista de “Il Manifesto”, dirigente di Syriza 
e promotore della Lista Tsipras in Italia, ha con forza rivendicato 
l’impegno di Syriza, una volta vinte le elezioni pur con il vigente sistema elettorale 
maggioritario, a dare alla Grecia di nuovo una legge elettorale proporzionale,
s’è subito avvertito il cambio di visione politica: se alla democrazia semplificata 
basta comunicare, magari affabulando, dall’alto, il da farsi per chieder/avere 
il consenso degli “elettori”, alla democrazia reale e partecipata è necessaria 
la comunicazione dal basso, tra persone alla pari, per dar voce ai bisogni 
scegliendo la propria rappresentanza. 
Dunque, perché “un tentativo moderno, aperto e neosocialista” possa nascere, 
svilupparsi, durare, e incidere nel profondo non è sufficiente 
la “sovranità elettorale”; la lista unica è, appunto, solo una “precondizione”. 
Serve altro. Serve un partito/comunità, un partito/convivio, un partito/essere 
insieme, un  partito/solidarietà, un partito/mutuosoccorso, un luogo reale”, 
fisico, dove regole nuove e trasparenti rendono possibile una relazione “alla pari
tra le persone, dove la dirigenza sia scelta anche per “sorteggio”, dove uomini 
e donne, in spirito di servizio, siedono in pari numero” nei posti di guida, dove 
non si elegga a “capo” un “singolo”, spesso un maschio, ma una “coppia”, 
un uomo e una donna (si tratta di passare dal monocratismo di sempre 
al “governo duale”, al bicratismo, del futuro), dove il finanziamento sia, 
da una parte, pubblico (la responsabilità, anche economica, della continuità 
democratica è un bene/dovere del Paese), dall’altra, privato, ma possibile 
solo a iscritte e iscritti. Un partito/servizio per il bene comune, intento a svolgere 
tutto un lavoro di studio/proposte, a partire dal proprio territorio/paese/quartiere, 
non solo, ad esempio, per chiedere la riparazione delle buche nell'asfalto 
delle strade, ma soprattutto per chiedere la riparazione delle buche 
nella sofferenza del tessuto sociale, un lavoro profondo per coniugare la libertà 
con la giustizia, e per ricominciare a parlare di libertà dalla miseria, dall'ignoranza, 
dalla precarietà, dalla subalternità.  Un partito/comunicazione  non più 
preoccupato di organizzare/dimostrare la sua forza con “una” manifestazione 
politica, chiusa, in un unico “luogo di raccolta”, sempre centrale, ma disponibile 
a organizzare “tante” manifestazioni, aperte, in ogni “luogo vissuto” 
di lavoro politico, e in contemporanea, e su un tema comune, perché la Politica 
torni a parlare, non solo in TV e da Roma, ma nei mille luoghi del suo esercizio 
reale, nei mille luoghi, cioè, dei gruppi/comunità/circoli dove dibattito politico 
e azione amministrativa si incontrano e si fondono. E magari aprire una discussione 
ampia sulla "cultura del limite", chiedendo, ad esempio, per una giusta 
distribuzione della risorse, di definire un limite alla ricchezza, e un limite 
alla povertà.
Se la sinistra unita, oltre la lista, non avrà regole di democrazia, trasparenti 
e controllabili,  se non avrà un luogo di condivisione delle idee, 
se non sperimenterà, anche dopo aver usato la rete, l’ardire del comprendersi 
guardandosi negli occhi, non potrà mai essere in grado di estendere la democrazia 
e di costruire, oltre la sovranità elettorale, la “sovranità conviviale”.
Altrimenti sarà sempre un giocare una “partita“, con un tifo unto di interessi 
d’egoismo. 
O no?
Severo Laleo


sabato 22 febbraio 2014

Contro la deriva ademocratica la campanella della discontinuità





Ho visto per televisione il passaggio delle consegne
tra Letta e Renzi. Consegne? Si fa per dire, è semplicemente
una campanella a passar di mano, quasi a segnare
una continuità istituzionale, nella stabilità della democrazia.
Per la serenità di tutti.
Un passaggio, in genere rituale e sorridente,
diventato all’improvviso, oggi, di forte significato politico,
grazie all’interpretazione del gesto da parte dell’uscente
Presidente del Consiglio, Enrico Letta.
Tutto è avvenuto con grande velocità: il pacato Letta
ha sorpreso tutti, proprio tutti, per rapidità d’esecuzione,
senza un minimo cedimento, per l’esclusivo beneficio
di “attori” e “spettatori”, al teatrino dell’ipocrisia.
Letta è uscito dal rito con grande severità, quasi a segnare,
al contrario, in quel passaggio, un’evidente discontinuità.
Sì, almeno tra diversi modi di intendere la politica,
anche se per gli osservatori si tratta solo di “gelo”.

E ho visto di colpo, nelle modalità di svolgimento dell’intera
scena, e soprattutto di quel gesto rapido e muto del passaggio
della campanella, tutto il disappunto di Letta, non personale
per un incarico perduto, ma per un modo “nuovo” di intendere
e di interpretare la Politica.
La campanella è partita di scatto dalle mani di un uomo
con una sua “cultura” politica (a prescindere da ogni giudizio
politico di merito) per giungere nelle mani di un altro uomo,
cultore dell’“atto” politico comunque, anche oltre ogni regola,
con la motivazione determinante dell’ ”ambizione smisurata”.
E con la complicità pavida e senza parole di tanti. Troppi.
Ho visto di colpo, per immagini, la sconfitta
(spero temporanea) della serietà della riflessione politica
di fronte all’istinto dell’arrembaggio politico, del “vai, adesso!”.

Non è un giudicare le persone, specie se giovani,
ma semplicemente gli “atti”: le persone, si sa, sono sempre oltre,
e hanno intatta la possibilità di riconoscere le “cadute”.
E se troppi, nella stampa e nella politica, si sono dimostrati incapaci
di comprendere e, quindi, di condannare, per timida attesa,
la “violenza” della “nuova” (e vecchia) politica, Letta, al contrario,
è tra i pochi ad aver voluto segnare una discontinuità
sia pure con un gesto. Anzi con una campanella.
E forse è ora per tutti noi di chiedere i perché, ma non da oggi,
di questa deriva ademocratica di un intero paese,
secondo una tradizione/maledizione tutta italiana,
orfana dell’intelligenza critica di un Piero Gobetti.

Non ho le sue idee, ma oggi sono con Letta. Con la sua lezione.
Forse perché abbiamo in comune il modo di intendere la Politica.
E spero, in futuro, possa la semplice “sovranità elettorale”,
insieme alla retorica pigliatutto dei milioni di voti,
a turno agitata da ogni parte, a destra e a sinistra,
cedere il campo alla “sovranità conviviale”,
con la sua democrazia trasparente e partecipata tra pari.
O no?
Severo Laleo