domenica 10 dicembre 2023

Il premierato: ritorno istituzionale del maschilismo. E i femminismi?

Ogni tanto in Italia si lancia, con titoli roboanti, definitivi,
e senza un significato sensato, da Craxi, a Renzi, a Meloni,
per citare i casi più chiassosi, una proposta di riforma
istituzionale con l'intento di garantire la stabilità dei governi,
ma non si dice mai che per "stabilità dei governi" s'intende
la "stabilità al governo" semplicemente di un/a leader.
In pratica, se un/a leader è eletto/a dal popolo, per questo semplice
fatto, di per sé, diventa garante di stabilità. Non è così!
In realtà la stabilità (che può avere risvolti sia positivi, sia negativi)
dipende da molto altro. Dal 1948 in poi, pur nel continuo cambio
dei nomi dei Presidenti del Consiglio, per quasi cinquant'anni,
le maggioranze di governo del paese hanno rappresentato
una stabilità sconfortante!

Le illusioni della semplificazione dei processi decisionali -e
oggi è la volta del "premierato"- sono ricorrenti nella nostra storia
politica (a che servono -si potrebbe ora dire di nuovo- i/le parlamentari,
bastano i capigruppo!), e per quanto sembrano presagire
la possibilità di un potere diretto e straordinario di un "capo",
in realtà non tengono conto del fatto che la storia svolge
il suo corso, a prescindere dalle volontà di chi crede di imprimerle
la sua impronta, e spesso nel conflitto tra i poteri"nasce
l'imprevisto/imprevedibile del nuovo. 
Si spera un nuovo più avanzato!

Questa proposta di riforma costituzionale, priva in tutta evidenza
di un qualunque progetto di innovazione strutturale nel corpo
complessivo delle nostre istituzioni politiche, risponde solo
a una pericolosa illusione di gestione del potere di natura
contingente e strumentale, attraverso la quale si chiede al "popolo"
stanco dei "giochi della politica" di affidare a un "signore"
il compito di "dominare" riottosità, dissensi, contrasti e istanze
minoritarie per il bene superiore della stabilità dei governi.
Insopportabile (ingenua?) falsità.
Eppure, se a questa proposta di riforma manca un respiro
etico-politico e culturale, non significa non abbia una sua
derivazione e una sua "ideologia".
ll sostrato culturale del premierato, in una parola, è sempre
e solo il maschilismo, non altro (al di là della "forza" del potere),
l'idea cioè dell'uomo/donna solo/a al comando con il suo conseguente
esito istituzionale: il monocratismo. E non si riesce a capire
perché la cultura femminista, pur nel suo complesso e variegato mondo,
non riesca, e non sia, mi pare, ancora riuscita, a proporre 
le "sue" riforme istituzionali, rompendo con la tradizione maschilista
del potere, fonte non solo di dominio leaderistico (l'idea salvifica,
provvidenziale, stabilizzante del "capo" solo al comando),
ma anche di tentativi rozzi e beceri (per ora) di riduzione
della democrazia liberale (eclatante il caso Trump!).

La democrazia liberale, con tutti i suoi limiti, appare assediata 
e, confusa e frastornata, sempre più incapace di controllare
l'esplosione delle disuguaglianze sociali, sbanda verso regimi
populisti o a monocratismo avanzato (democratura?)
Forse è il caso di tener ferma la barra, culturalmente e politicamente,
sulla nostra Costituzione, la sola (forse) ancora capace di generare
forme avanzate di democrazia liberale e sociale. 
Il premierato è la contorsione ideologica di chi è contrario/a 
all'estensione dei processi democratici verso forme sempre 
più inclusive e sovranazionali.
O no?
Severo Laleo




Follia: la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani e il veto degli USA al "cessate il fuoco" a Gaza.

 

10 dicembre 1948-10 dicembre 2023: la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani compie 75 anni. 

E forse è ancora poco conosciuta dalla popolazione mondiale. E non solo è poco conosciuta, ma pochissimo praticata da quanti hanno responsabilità politica.


A scuola, anche se viene ritualmente celebrata/ricordata la giornata del 10 Dicembre, non sempre si dà la dovuta importanza al testo. In verità, eccezioni esistono. Un esempio? Qualche decennio fa, se non ricordo male, in un liceo, credo scientifico, dell'area fiorentina, la dichiarazione universale dei diritti umani veniva letta ogni anno il 10 dicembre in 

un'assemblea generale degli studenti e ogni anno veniva distribuita agli studenti una copia della dichiarazione; cinque anni, cinque copie della dichiarazione e cinque volte la lettura della dichiarazione e ogni anno letta/vista (si spera con buon profitto da parte delle nuove generazioni!) tramite inviti ad esperti e tramite film, con una sottolineatura diversa: ora la guerra/pace, ora l'emigrazione/immigrazione, ora la libertà politica, ora la dignità umana. 


Sì, la dignità umana. Se la dichiarazione universale dei diritti umani ha avuto un ruolo nella storia della cultura mondiale è quello di aver affermato, una volta per tutte, solennemente, per tutti gli esseri umani, l'insopprimibile dignità della persona. Ogni persona ha la sua dignità e questa dignità deve essere rispettata sempre. In ogni situazione.

Secondo Giovanni XXIII, la dichiarazione universale del 1948 è stato il primo documento laico ad aver attribuito a ogni essere umano la dignità di persona senza distinzioni di alcun genere: è l'atto di nascita dell'homo dignus!


La dichiarazione rappresenta nella storia dell'umanità un punto di arrivo e insieme un punto di svolta, dopo l'orrenda tragedia della seconda guerra mondiale. La dichiarazione universale avrebbe dovuto significare la fine della storia di sempre, tormentata a ripetizione dalle atrocità delle guerre (l'indicibile dell'olocausto degli ebrei e di altre comunità di "diversi", la catastrofe atomica, la morte di civili inermi sotto le bombe, etc.). Le sofferenze della guerra per le popolazioni civili avrebbero dovuto essere solo un tristissimo ricordo.

Non è (stato) così!

Solo qualche giorno fa, la svolta rappresentata dalla dichiarazione dei diritti umani ha perso completamente il suo significato "rivoluzionario" di fronte al veto degli USA al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. 


Una risoluzione  per un "cessate il fuoco" a Gaza, dove le bombe israeliane uccidono in continuazione civili inermi, per rappresaglia contro gli atti terroristici di Hamas, è stata bloccata/affossata dal veto degli USA! Povera dignità umana, uccisa dalla politica di potenza. Follia, follia insana, follia permanente. E forse una follia legata direttamente alla cultura del dominio, proprio di una parte della specie umana, la specie degli uomini/maschi. Possibile non esista una via diversa dalla morte/distruzione? Perché non riusciamo con la nostra ragione a percorrere vie di soluzioni capaci comunque di garantire il rispetto sempre della dignità di ogni persona? È ancora difendibile la posizione del premier israeliano convinto assertore, da uomo di dominio, dell' "eliminazione" di Hamas, a prescindere da ogni altra riflessione?

Eppure uscire dalla gabbia del dominio/eliminazione dell'"altro" è ancora possibile, se prevale per tutte le parti in gioco (e soprattutto da parte di chi ha conosciuto la logica dell'"eliminazione") il senso profondo scritto a chiare lettere e con convinzione da tutti o quasi i Paesi del mondo nella Dichiarazione Universale dei Diritti Umani.

O no?

Severo Laleo

sabato 25 novembre 2023

Giornata Internazionale per l'eliminazione della violenza sulle donne. La parità nei "luoghi" delle decisioni.

 
La dolorosa, sconvolgente uccisione della giovanissima Giulia Cecchettin,
un femminicidio insopportabile, anche per le sue penosissime modalità,
disegnato/scavato dapprima in una mente senza “confini” e poi portato
a termine, nei suoi conseguenti atroci atti, da parte del suo giovanissimo
(ex)fidanzato, ha aperto un ampio, sofferto e partecipato, dibattito,
questa volta tempestivamente anche nel mondo della politica, alla ricerca
di cause/colpe e di possibili interventi/rimedi. 
In verità un po' tutte/i siamo chiamate/i a prendere la parola 
per tentare di "fare qualcosa", ognuna/o nel suo ambito, piccolo o grande. 
Siamo tutte/i coinvolte/i in qualche modo.
E tutte/i abbiamo paura del ripetersi senza fine di così tanto dolore
e cerchiamo le necessarie analisi e le possibili vie d'uscita, perché
non capiti mai più a nessuna altra donna.

Il Patriarcato
La cultura patriarcale è alla base di un implicito distorto fenomeno
di formazione di tantissimi (tutti?) maschi ancora oggi, pur con differenti
gradi regionali, nel nostro paese, e non solo.
Non sono necessarie lezioni, incontri, seminari, perché la cultura patriarcale
venga trasmessa, bastano le "cose", i "fatti", il "linguaggio" e le istituzioni.
Dentro questo ambiente, più o meno, pur intessuto di tante variabili, 
si respira l'idea che il potere del maschio sia preponderante e non ammetta 
"sconfitte", anzi, di più, si ritiene, sia legittima anche la violenza 
per mantenere quel "potere", fino all'eliminazione dell'altro 
(nel senso comunque di "oggetto").
Il patriarcato è chiamato in causa molto frequentemente nei casi 
di femminicidi, e non a torto, perché la cultura patriarcale, tramando 
nell'ambiente, educa alla violenza, palese e/o latente, 
sì da non comprendere,  quando scatta la violenza, se sei tu libero 
di colpire l'altro o sei tu il riflesso condizionato di una "situazione".
Ma da solo il patriarcato non può essere la causa del femminicidio.
Sul punto scrive parole condivisibili e convincenti G. Pasquino 
su Domani (22 Nov. 2023). Eppure si deve comunque alla strutturazione 
del potere secondo la visione patriarcale l'idea del Capo, dell'Uno 
(quasi sempre maschio), del Capitano, del Duce, del Condottiero, 
del padrone/padre, cui servire/ubbidire è un bene. E questa visione è 
da tutte/i, sia pure a diversi livelli, inconsapevolmente interiorizzata. 
Per immaginare una società nonviolenta, al di là delle dichiarazioni
di principio, sempre utili, e degli interventi per attenuare 
le disuguaglianze è anche necessario immaginare/fondare nuove strutture 
di potere oltre i dispositivi istituzionali della cultura patriarcale. 
Altrimenti i maschi alla “Trump” sono sempre in agguato, 
anche in libere elezioni.

La violenza della guerra
Per eliminare la violenza sulle donne è tempo di riflettere, e agire 
di conseguenza anche a livelli internazionali (Onu, in primis), 
per interrompere sul nascere ogni ipotesi di guerra. 
C'è forse ancora necessità di dimostrare che la guerra con le sue 
conseguenze di devastazioni e di morti colpisce con la sua violenza 
senza limiti soprattutto le donne?
La guerra, si può dire senza ombra di dubbio, è soprattutto una violenza 
sulle donne, avvolgente tutte le donne: crollano case e palazzi e a subire 
questa violenza di distruzione sono soprattutto le donne, muoiono bimbi/e, 
fratelli, padri, sposi e a essere colpite dalla violenza della morte sono 
soprattutto le donne, cadono le bombe e a subire la violenza della fuga 
sradicante sono soprattutto le donne.
Vittime della violenza della guerra non sono i maschi strateghi e potenti,
non sono i combattenti armati, se non in parte e secondo calcolati rischi,
al contrario, sono soprattutto le persone disarmate e fuori dal campo 
di battaglia.
Il femminismo, in questo caso la libera coscienza femminile, non offre 
cittadinanza alla pratica della violenza di guerra. 
La diserzione abita nobilmente la visione pacifista di tanti femminismi. 
E forse la maggioranza delle donne, proprio perché in grado 
di comprendere il dolore universale generato dalla violenza esprime 
una contrarietà netta, diffusa e consapevole contro la guerra.
Sono troppe le donne che piangono con cognizione di causa la guerra.
Una violenza da eliminare. La violenza/guerra appartiene ai "maschi".

Educare alla Parità
Molte voci si spingono a chiedere con sincera intensità una totale 
inversione nell'educazione tout court delle nuove generazioni 
a scuola, condannando, in ambito relazionale, l'educazione fai da te individuale/familiare/social(e) e sostenendo un reale, ben chiaro 
nei suoi obiettivi, quanto più possibile condiviso, progetto 
culturale/formativo; infatti -ci si chiede- se l'educazione fino ai giorni
nostri ha lasciato alle famiglie, ma soprattutto al caso/caos 
delle situazioni/condizioni sociali e ai casuali incontri, un'improbabile 
educazione alla parità e all'affettività, è necessario, al contrario, 
fin dalla scuola materna, educare bimbi/e a conoscersi
e rispettarsi in parità. E così continuando nelle diverse fasi 
della crescita.
Non c'è dubbio, l'educazione tout court e l'educazione di genere 
(alla parità, all'affettività, alla relazione) in particolare può diventare 
il grimaldello più potente per il controllo/eliminazione della violenza 
del maschio sulla donna.
E lungo questa strada bisogna agire anche con adeguati investimenti.
Non si può non essere d'accordo.

La "cultura del limite"
Altre/i insistono sull'idea di abituare le giovani generazioni, 
sin da piccole/i, a scuola e in famiglia, a porsi il senso del limite. 
Scrive sul Fatto M. Lanfranco: "Insegnare il senso del limite agli uomini, 
fin da piccolissimi, non è limitare, vietare o impedire: significa offrire 
il margine e il confine sul quale costruire relazioni sane e equilibrate,
nelle quali sono valide e apprezzabili tutte le voci e i desideri in gioco."
Non si può non essere d'accordo. Ma educare al senso del limite 
significa anche intervenire su tutte le situazioni di disparità 
nella società a ogni livello, economico, sociale, culturale. 
La cultura del limite non è una scelta in ambito personale,
è alla base di un processo di civilizzazione verso una società 
nonviolenta fino a eliminare la barbarie delle guerre.
E sull'Avvenire, con parole forse più accorate, scrive R. Mensuali
"Il maschio violento è un uomo per cui il mondo e la vita coincidono 
con la propria esuberante e immediata natura. Ciò che ci salverà, 
allora è la cultura di un "bordo" e di confini.
La base solida di una rinnovata "scuola" sentimentale dovrà essere 
una sorta di "teologia del confine"....Bisogna imparare ad accettare 
e far emergere il valore di un "bordo", nelle relazioni umane. 
Di un limite. Non è una barriera, il bordo,
è un confine che chiama all'impegno e alla responsabilità di conoscerlo,
prima di attraversarlo, di rispettarlo senza scavalcarlo e di amarlo 
senza calpestarlo”.
Parole perfette anche per questo blog.

La "paura" degli uomini
Gli uomini, in verità, dicono altre/i, nonostante siano da sempre immersi
nel continuum culturale della forza/dominio dei modelli virili, quando
si scontrano con la libera determinazione della donna che credono
"propria", hanno paura di perdere il "potere" e, di fronte al nuovo stato 
di frustrazione e insicurezza, possono cedere alla violenza. 
C'è del vero, ma non è tutto.
In ogni caso l'invito a "scardinare le gabbie dei modelli di genere" e 
a "accogliere la libertà" (Serughetti) è un passo necessario e decisivo, 
ma non da affidare, purtroppo, alla sola buona volontà/disposizione 
delle singole persone. Forse sono necessarie innovazioni di genere 
nelle strutture di potere.

L'impegno dei "maschi" a manifestare
A difendersi dalla violenza dei maschi sono le donne e sono 
anche le donne a voler gridare in piazza in mille manifestazioni 
la rabbia/dolore da una parte, in quanto "oggetti" di violenza, 
e la gioia lucente dall'altra nel reclamare il diritto di essere soggetti liberi, 
con la libera determinazione nella relazione, con la libera convinzione 
della parità di genere.
Eppure sono anche tanti gli uomini disponibili a scendere in piazza 
per essere coinvolti nella grande manifestazione per l'eliminazione 
della violenza sulle donne, aprendo all'interno della "comunità" dei maschi 
un dibattito alla ricerca di tutti gli elementi/segni/atti di potere/sopraffazione 
sulle donne interiorizzati in secoli di cultura maschilista e patriarcale. 
E' questo scendere in piazza un contributo molto forte al fine di offrire 
esempi di autocritica operante alle nuove generazioni.
Perché il manifestare in piazza esprime la volontà, dichiarata e praticata,
di un cambiamento culturale fondato sul reciproco rispetto nella relazione
uomo/donna.

La parità (visibile) nei "luoghi" del potere
Oggi alla manifestazione organizzata da Non Una di Meno torna 
questa consapevolezza: "Gli uomini uccidono perché possono, 
e non solo perché sono educati a farlo, ma perché viviamo in una struttura 
in cui il potere è ancora maschile. Non voler intervenire su questo porta 
a interventi cosmetici nel migliore dei casi, dannosi nel peggiore".
Il potere è ancora maschile è una verità. E maschile dappertutto 
è la sua visibilità. E la visibilità educa più di tante parole.
E' ora di riflettere, almeno da parte dei femminismi, sull'organizzazione
del potere a ogni livello, soprattutto a livello istituzionale, individuando 
possibili percorsi di superamento delle istituzioni finora sperimentate 
e date per "naturali(e naturali non sono, anzi paiono non rispettare 
la natura!).
Se "i sessi sono due" e hanno pari dignità, non si comprende perché
nell'organizzazione del potere, tutto ancora fondato sulla cultura 
maschilista, non si debba superare il monocratismo (costruito 
dal/sul sesso forte), esito storico-istituzionale di quella cultura, 
con il bicratismo di genere.
La “coppia” diventa così un “luogo” di "potere", ora dialogante,
all’interno del quale la "scelta", qualunque sia, non prevede l’eliminazione 
dell’altro. E tutte/i si interiorizzerà un altro modo di intendere la relazione.
La sostituzione dell'"uno" (maschio) con il "due" (maschio/femmina) 
nelle strutture di potere aprirebbe a una nuova visione antropologica 
e potrebbe contribuire all'eliminazione della violenza di un sesso 
(il maschile) sull'altro sesso (il femminile), educando "dal vivo" le nuove 
generazioni all'idea della comune, pari responsabilità tra i sessi.

O no?
Severo Laleo


sabato 18 novembre 2023

Per Giulia Cecchettin: sgomento, dolore e un impegno irrinunciabile

 Mi è capitato altre volte di scrivere di violenza sulle donne, soprattutto
con l'intento di esprimere/diffondere parole e idee per una pratica
relazionale nonviolenta, ma questa volta, di fronte al femminicidio
di Giulia Cecchettin, giovanissima laureanda, da parte del suo
fidanzato, pur giovane e studente universitario, non riesco a parlare.
Il pensiero della sofferenza atroce dei suoi genitori toglie il respiro.
Ma non si può non prendere un impegno. Per questo, in questo blog
di "cultura del limite", riprendo, riporto e condivido le parole sincere
e utili di Elly Schlein. Utili per un impegno irrinunciabile. Eccole:

"Ci stringiamo al dolore inimmaginabile della famiglia e degli affetti
di Giulia Cecchettin. Un tragico ed efferato femminicidio, una vita
strappata con violenza dal suo assassino, che speriamo sia trovato
al più presto per risponderne davanti alla giustizia.
Ma perché sia fatta davvero giustizia, per Giulia Cecchettin
e per tutte le altre donne uccise dalla violenza maschile, questo
non basta. E non bastano il dolore e l’indignazione.
Non possiamo continuare ad assistere giorno dopo giorno
a questa strage.
Ora basta. La cultura tossica del patriarcato e della sopraffazione
ha attecchito anche nei più giovani. Se non ci occuperemo
di educazione al rispetto e all’affettività sin dalle scuole non fermeremo
mai questa mattanza. E non basterà mai aumentare solo leggi
e punizioni che intervengono dopo le violenze già compiute:
serve l’educazione, serve la consapevolezza.
Se non si agisce già a partire dalle scuole e nella cultura per sradicare
l’idea violenta e criminale del controllo e del possesso sul corpo
e sulla vita delle donne, sarà sempre troppo tardi.
È in gioco uno dei fondamenti della convivenza sociale.
E serve un’azione che veda l’impegno concreto di tutte e tutti.
Nei mesi scorsi e anche negli ultimi giorni, dopo le parole
di Paola Cortellesi, mi sono rivolta alla Presidente del Consiglio Meloni,
e pure oggi dico: almeno sul contrasto a questa mattanza di donne
e di ragazze, lasciamo da parte lo scontro politico e proviamo a far fare
un passo avanti al Paese. Non basta la repressione
se non si fa prevenzione. Approviamo subito in Parlamento una legge
che introduca l’educazione al rispetto e all’affettività
in tutte le scuole d’Italia.
Mi rivolgo anche alle altre forze politiche, la politica su questo
non si riduca a dichiarazioni e riti ripetuti. Possiamo e dobbiamo
fare di più. Dobbiamo fermare questa spirale di violenza,
ci riguarda tutte e tutti. E riguarda anzitutto gli uomini,
perché non può essere un grido e un impegno solo delle donne
in lotta per la propria libertà. Il problema della violenza di genere
è un problema maschile. Serve consapevolezza per sradicare
la cultura patriarcale di cui è imbevuta la nostra società.
Giulia Cecchettin avrebbe dovuto laurearsi due giorni fa,
le è stato impedito, le è stato violentemente strappato via il futuro.
È profondamente ingiusto, e finché le donne saranno meno libere
non esisterà vera libertà in questo Paese."
E forse, al di là del necessario impegno serio, concreto,
esteso delle istituzioni, a più livelli, mirato, a partire dalla scuola
dell'infanzia, all'educazione all'affettività e all'esercizio attivo,
quotidiano, del rispetto della libertà/dignità di ogni persona,
qualunque condizione abbia/viva, costi quel che costi, diventerà
opportuna anche una riflessione sulle strutture istuzionali
del nostro sistema democratico rappresentativo e di governo,
ancora legato al monocratismo (l'idea antica dell'uomo/donna
solo/a al comando), che è l'esito storico istituzionale
di una cultura patriarcale. Estendere per principio la normalità
della parità assoluta nelle istituzioni rappresentative
e superare il monocratismo del capo/a con un sistema duale
(un uomo e una donna) di responsabilità politica, contribuirà in re ipsa
a educare al rispetto relazionale.
O no?
Severo Laleo

martedì 14 novembre 2023

C'è ancora domani. E meno male! Grazie Cortellesi

 Caro Scapece, 
dimmi, sei andato a vedere la Cortellesi
Ho capito, non ti va di uscire, e soprattutto 
di chiuderti in una sala cinematografica in questi tempi 
brutti sotto ogni aspetto. Eppure avresti tante sale a disposizione, tu! 
Comunque, sappi, io l'ho visto l'altro giorno e posso parlartene. 
Ovviamente, l'hai sentito anche tu, è vero, è un bel film, godibile 
a vedersi. Come dire, ben costruito, con un'ambientazione 
storico-sociale, a volte didascalica, che, per noi nati nel dopo
guerra, è sembrata correttamente naturale, perché ancora 
presente nei nostri ricordi dell'infanzia, E purtroppo ricordiamo 
uomini violenti in famiglia, magari qualche "bonommo
tra questi, disoccupati e spesso vittime di cantine e vino, 
con mogli giovanissime disperate e vive e attive con più figli 
a carico, tutti intimiditi, tristi e senza giochi. 
Anche la narrazione è ben costruita, sapientemente 
diluita nel suo continuum, eppure semplice con una tesi: 
la rappresentazione della struttura maschilista 
della società di un tempo (?). E fin qui tutto normale. 
Chiumque avrebbe potuto scrivere e dirigere sul set un film 
del genere, ma la Cortellesi ci mette molto del suo e più 
di una volta ed è quando l'emozione ti prende forte 
o per un sorriso o per un groppo alla gola. 
Ripeto la dinamica del film ha una sua linea di svolgimento 
regolare, senza strappi, dentro un quadro di riferimento 
culturale interamente dominato dal maschilismo, eppure, 
al suo interno, con sofferenze, rinunce e silenzi, 
avanza in un dolce crescendo la luce del domani, 
ed è una luce tutta femminile, di superamento, nei fatti, 
della cultura maschilista.
E così ti prende molto la scena di violenza del maschio padrone 
raccontata a "sogni di danza", e così ti commuovono le semplici 
e sincere parole di amicizia, senza fronzoli e retorica varia, 
dell'amica del cuore, e insieme alle parole, i loro gesti e sguardi 
essenziali, e così ti trascina nell'emozione profonda l'intesa 
dolcissima, piena di promessse future, tra una folla di donne, 
tra madre e figlia con un'invenzione di musica e smorfie e suoni 
calibratissima e perfetta. E la regista si confonde con l'attrice 
mentre guida una giovane attrice al gesto ben fatto. E il futuro 
si apre alle spalle del marito/padre padrone. Il timbro 
della Cortellesi è questo.
Certo, c'è ancora un domani, e meno male, ma la Cortellesi 
sembra aprire un cammino che non si ferma su una scalinata 
di un seggio elettorale, ma guarda avanti nella prospettiva 
di un cambiamento sia nell'organizzazione/distribuzione paritaria 
delle responsabilità personali nel volgersi della vita nella società, 
sia nell'organizzazione/distribuzione paritaria delle responsabilità 
politiche nelle istituzioni del potere, e, mi piace immaginare, 
con la parità assoluta in ogni sede decisionale, con il superamento 
dell'uomo/donna solo/a al comando, in una parola, 
con il superamento del monocratismo, esito storico della struttura 
maschilista della società (la lingua batte -potresti dirmi- dove 
il dente duole!) in vista del bicratismo, di una guida duale, 
uomo/donna (e non è un dramma, se si utilizza il binarismo 
di genere strumentalmente!). O no?
Dai, muoviti, vallo a vedere, Scapece, mi raccomando, 
e fammi sapere com'è andata. 
Ciao ti saluto con un abbraccio e sempre buone cose,
il tuo Severo





lunedì 6 novembre 2023

Ernesto Galli della Loggia, la guerra, la saggezza greca e la democrazia

 

E così alla fine è stato necessario tutto il coraggio, anche se da “seduto 

alla scrivania del proprio studio”, di Ernesto Galli della Loggia 

dalle colonne del Corriere per guidare il confuso e astorico e pavido (?) 

mondo pacifista, o semplicemente tutte quelle persone sconvolte 

dall’inesorabile susseguirsi dei “crimini di guerra” dei nostri giorni, 

verso la “saggezza greca”, perché si capisca una volta per tutte 

quanto sia importante/fondamentale la guerra, con tutto il suo seguito 

di morte, anche dei “civili innocenti”, senza distinzioni di “donne, 

vecchi e bambini”, per il successo glorioso della democrazia.

Chi è tanto temerario da contestare una verità così profondamente 

scritta nel Libro Universale della Storia dell’Umanità?

Eppure qualcosa non torna, soprattutto perché il nostro Uomo 

della Realtà della Storia e della Democrazia separa, da combattente 

in piena guerra, nettamente, senza possibilità di analisi critica, 

il discorso di “cosa è stato”dal discorso di “cosa potrà essere” nella Storia. 

E in base a questa separazione, apoditticamente, tessendo un maschio elogio 

della guerra/violenzasenzalimiti/distruzione/morte, sostiene/conferma: 

esiste una sola Realtà, esiste una sola storia degli Uomini,

esiste una sola Democrazia.

Ma è davvero così? E’ vero, la guerra devasta il mondo da sempre,

dal primo ferino duello, tra fratelli incapaci di parlarsi e di accogliersi,

ma sarà pur figlia, la guerra, di una sua specifica cultura?

E si può ritenere essere questa cultura una cultura maschilista, 

di uomini per uomini, tutta fondata sulla sola struttura mentale del dominio, 

dell’eliminazione dell’Altro? E la democrazia (così, a caso?) è o non è 

ancora una “forma” di gestione del potere tutta incardinata 

sul sistema maschile del “Capo” (anche quando il Capo è una donna) 

e dei suoi seguaci?

A chi si acquieta, senza provar (tanto non serve!) pietà per chi soffre e muore, 

dell’inesorabile gioco, a eliminazione, dell’”uccidere per uccidere”

milioni e milioni di persone, ancora oggi silenziose, possono oppore, 

e oppongono, un nuovo attivismo almeno per aprire una strada al rispetto 

delle convenzioni internazionali e degli appelli dell’ONU, e non solo, 

e perché si evitino i “crimini”. I crimini!

E forse si potrà evitare anche il pericolo di una fine del mondo, eh sì, 

perché EgdL non ricorda l’effetto, tragico ieri, delle “prime” bombe atomiche, 

inutili, sul Giappone, e non calcola gli effetti, finali oggi, di una guerra totale; 

e qualcuno potrebbe conseguentemente aggiungere, perché spaventarsi 

se da una guerra totale/finale potrà nascere una nuova definitiva Democrazia?

Eppure esiste un’altra cultura, un altro modo di vedere e gestire e trattare 

a parole ogni conflitto. E’ la cultura alimentata dal pensiero dei femminismi 

antiguerra.

La storia -si chiede Lea Melandri- può cambiare? Mi verrebbe da dire 

che la storia è già cambiata dal momento che ha portato allo scoperto 

il dominio maschile, gli orrori della “virilità guerriera”, i legami tra sessismo, 

razzismo, classismo, nazionalismo, ecc. “Pace” oggi per me, 

come per molte altre femministe, vuol dire porsi “su un altro piano”, 

andare alle radici di quel primo atto di guerra che è stata la sottomissione 

delle donne, considerate “natura inferiore”, animalità”, il loro asservimento 

al sesso vincitore.

E’ da questa guerra mai dichiarata, e perciò più subdola, invisibile

perché coperta dalla sua “naturalità”, che nasce il perverso connubio

tra distruzione e salvezza, tra guerra e umanitarismo, guerra e religione.

Se, come ho scritto più volte, “gli orrori hanno un genere”,

è da questo fondamentale retroterra che dobbiamo partire per dar modo

al pensiero e all’immaginazione di scoprire nuovi modi per uscire

dalla barbarie che abbiamo ereditato.” (Il Riformista, 16 marzo 2022)

E' d'obbligo provare.

O no?

Severo Laleo






domenica 29 ottobre 2023

La pace non è mestier di uomini (maschi). La parola alle donne (femministe)

 Trovo per caso su Facebook questo commento di Nicky Politi a un post
di Marina Terragni. (Spero di non incorrere in errore citando post
da Facebook!) L'argomento in realtà riguarda le molestie sessuali.
(Racconti dolorosi: le vittime di molestie -provo profonda tristezza-
sono più di quanto la mia immaginazione potesse contarne!)
Eppure Politi riesce a trovare, a ragione secondo il mio sentire,
un legame, non credo inavvertitamente, tra molestie, maschi e guerre.
Ecco il commento: "Brava Marina, che coraggiosa. Ognuna di noi
potrebbe scrivere un libro sulle molestie subite. Il limite del pericolo
è strettissimo. Siamo state fortunate a rispedire al mittente?
Siamo state forti? O forse abbiamo solo trovato uomini più indecisi?
Chi lo sa. Guardo queste immagini di guerra e vedo uomini, uomini,
uomini. Ma dov’è la voce delle donne in queste guerre?
Solo madri e mogli intervistate mentre piangono? Ieri servizio
sulle riserviste israeliane, declamato dal giornalista con un’enfasi
da gioventù hitleriana. Facciamo come le islandesi,
uno sciopero delle donne".
Sì, manca in questo momento la voce delle donne contro la violenza, da qualunque parte
arrivi, e, di conseguenza, manca la voce delle donne contro le guerre.
Nel dire "voce" intendo la cultura femminista con tutta la sua tradizione
di impegno per la pace e di alto, meditato, quasi sempre rispettoso, esercizio
della "parola". Sì, fare come le Islandesi, uno sciopero delle donne!
Da sempre gli uomini lottano e si scannano letteralmente per il potere,
perché non conoscono le strade per dare senso all'incontro di "parola",
e, pure quando riescono a trovare un'occasione di scambio di "parole",
ben sanno trattasi semplicemente di una pausa nell'eterna lotta
per il potere. E in questi ultimi tempi, se la democrazia in quanto sistema
rischia un incredibile fallimento, è sempre per l'acceso e irrefrenabile intervento, senza limiti, nell'agone politico, di personalità
comunque violente e "maschie" (nel dire "maschie" non si pensi esclusivamente a un genere, si allude piuttosto alla cultura del maschilismo a prescindere dal genere).
Ben venga un grande sciopero: le manifestazioni sono sempre utili
per dare una qualche svolta agli eventi.
Se non ora, quando?
O no?
Severo Laleo

PS Forse anche le "parole" di Kamala Harris già soffiano un suono diverso rispetto
ai proclami di forza e vendetta e distruzioni esemplari da parte dell'uomo Netanyahu. Eccole: "Israele senza alcun dubbio ha il diritto di difendersi. Detto questo, è molto importante che non vi sia alcuna confusione tra Hamas e i palestinesi. I palestinesi meritano pari misure di sicurezza e protezione, autodeterminazione e dignità, 
e siamo stati molto chiari sul fatto 
che le regole della guerra devono essere rispettate e che devono arrivare aiuti umanitari."  Niente di nuovo, eppure solo un suono diverso è utile via ai cambiamenti.