Il maschio
cresce, ancora oggi, con l’idea, d’antica tradizione culturale,
di diventare
“capo” e “padrone”, abile/pronto a decidere
per il “bene”
suo e degli “altri”, in autonoma solitudine,
e non sopporta
conflitti e contraddizioni al “suo” volere,
specie nel fragile
campo dei sentimenti (quando anche a scuola
si aprirà un qualche
spazio all’educazione sentimentale!),
e non è per
niente abituato, se non espressamente educato, alla codecisione,
alla pari,
specie con l’altro sesso.
E la violenza,
facile, entra a dirimere i contrasti.
Ma la società tutta,
ancora oggi, in Italia e non solo, è strutturata
sull’idea di “mondo”
costruita e organizzata dal maschio,
con la “sua”
visione, con i “suoi” riti, con la “sua” concorrenza,
senza limiti.
Ed è questo il
peso più insopportabile del maschilismo,
e della sua intrinseca
violenza,
anche quando a
interpretare/esercitare strutture “maschili” è una donna.
Il maschio, anche se ben educato, ha ancora un’opaca
incapacità
a costruire rapporti alla pari con persona
diversa dalla “sua” identità:
non esistono, così, rapporti alla pari tra
ricchi e poveri, tra uomini e donne,
tra “capi” e “sudditi”, tra “normali” e “diversi”.
Anche se l’idea di “persona” esiste da un po’
di tempo!
Siamo il paese, del resto, unico al mondo,
dei “servi liberi”,
di chi, cioè, “libero” decide di farsi “schiavo”;
è come dire:
se una donna diventa “serva libera” di un
uomo/capo/padrone,
tutto s’aggiusta e cessa anche ogni violenza.
Ma per fortuna la libertà delle donne è
lucente
e forse illuminerà il mondo nuovo.
O no?
Severo Laleo
Anche per questo accolgo l’appello/invito
contro il femminicidio
Cinquantaquattro. L’Italia rincorre
primati: sono cinquantaquattro, dall’inizio di questo 2012, le donne
morte per mano di uomo. L’ultima vittima si chiama Vanessa, 20 anni,
siciliana, strangolata e ritrovata sotto il ponte di una strada statale. I
nomi, l’età, le città cambiano, le storie invece si ripetono: sono gli
uomini più vicini alle donne a ucciderle. Le notizie li segnalano come
omicidi passionali, storie di raptus, amori sbagliati, gelosia. La cronaca
li riduce a trafiletti marginali e il linguaggio le uccide due volte
cancellando, con le parole, la responsabilità. E’ ora invece di dire basta
e chiamare le cose con il loro nome, di registrare, riconoscere e
misurarsi con l’orrore di bambine, ragazze, donne uccise
nell’indifferenza. Queste violenze sono crimini, omicidi, anzi
FEMMINICIDI. E’ tempo che i media cambino il segno dei racconti e
restituiscano tutti interi i volti, le parole e le storie di queste donne e
soprattutto la responsabilità di chi le uccide perché incapace di
accettare la loro libertà.
E ancora una volta come abbiamo già
fatto un anno fa, il 13 febbraio, chiediamo agli uomini di camminare e
mobilitarsi con noi, per cercare insieme forme e parole nuove capaci di porre
fine a quest’orrore. Le ragazze sulla rete scrivono: con il sorriso
di Vanessa viene meno un pezzo d’Italia. Un paese che consente la
morte delle donne è un paese che si allontana dall’Europa e dalla civiltà.
Vogliamo che l’Italia si distingua per
come sceglie di combattere la violenza contro le donne e non per l’inerzia
con la quale, tacendo, sceglie di assecondarla.
PER ADERIRE http://www.petizionepubblica.it/?pi=P2012N24060
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