Di Giugno, il 26, nel 1967, a 44 anni, a Barbiana, nel Comune
di Vicchio,
in Provincia di Firenze, muore don Milani. Don Lorenzo
Milani.
Non tutti sanno chi è don Milani,
soprattutto i papà dei Pierini (i ricchi), troppo spesso
votati alla politica,
sempre attenti alla “giustizia”,
a premiare e a punire, con imparzialità;
ma spesso anche i severi professori dell’interrogazione
regolare con voto,
sempre attenti a evitare “differenze di trattamento” tra gli alunni.
Sconosciuto, pare, don Milani, anche a qualche ministra/o improbabile
dell’istruzione, indaffarata/o, nell’era della fine delle
ideologie,
a licenziare il ’68 e a favoleggiar di merito per “primi
della classe”.
E sconosciuto, pare, anche a molti altri, sempre catturati
dalla passione della politica, giovani, moderni, vivaci, avanti
in tecnologia,
gioiosi, perché del tutto ignari dell’esistenza dei Gianni
(i poveri),
ma plagiati dalla mito della meritocrazia, soprattutto per
gli altri,
perché, si sa, i politici,
da “eletti”, non hanno il dovere di dare,
con serietà, gli esami, ma solo di prendere i “voti”.
E senza interrogazioni regolari.
Non tutti sanno chi è don Milani.
Eppure, don Milani, solo per ricordare qualche suo tratto di
“maestro”,
è stato, e si può ben dire, tra i pedagogisti del ‘900,
il più tenace manovale di educazione nella “scuola lunga”:
quella “senza vacanze”, 365 giorni su 365;
il più agguerrito padrone delle parole: che sono da
distribuire a tutti,
per estendere la libertà di tutti (“la parola ci fa eguali”);
il più completo maestro privato: ma a difesa della scuola
pubblica;
il più laico prete cattolico: per sostenere una scuola
democratica
aperta a atei e credenti;
il più “ingiusto” dei maestri nelle
valutazioni:
per garantire parzialità di trattamento (mai “far parti
uguali tra diseguali”);
il più radicale assertore del successo scolastico:
quando alla scuola chiede, senza deroghe, di “non bocciare”;
il più lucido esperto di didattica: quando chiede di dare la
scuola a tempo pieno
“a quelli che sembrano cretini”;
il più lucido esperto di psicologia scolastica: quando
afferma che
“agli svogliati basta dargli uno scopo”;
il più obbediente dei figli della Chiesa: ma per gridare
che
“l’obbedienza
non è più una virtù”, almeno quando
le leggi
“non sono giuste (cioè quando sanzionano il sopruso del forte)”.
E tanto altro
ancora.
Ma la modernità del
nostro mondo, con la sua velocità, la sua assenza di sguardi,
non ha il tempo né le
risorse materiali e umane per curarsi di chi “si disperde”,
e regala a don
Milani, con un bonario e ammirato giudizio,
l’epiteto di “prete visionario”. E’ questo, forse, il destino di
ogni profeta.
O no?
Severo Laleo
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