Se siamo in tanti in trepidante e preoccupata
attesa della sentenza
della Cassazione,
e se molti di questi tanti sono sordi tifosi
e partigiani irragionevoli, e se la
vittoria dell’un fronte contro l’altro
è gravida di conseguenze istituzionali, la
conclusione è terribile:
la democrazia civile in Italia non esiste,
se molto ancora dipende
dal destino processuale di un uomo solo. E
dalla Cassazione.
Sarà anche il traguardo finale del berlusconismo, anzi è,
ma il berlusconismo
per vent’anni ha vinto, anche se non sempre nelle urne,
ma sicuramente, in
continuità e in profondità, nell’immaginario
e nei comportamenti di milioni di
persone, consapevoli di tutto o di tutto ignare.
Una volta, quando l’”onore politico” era
ancora importante,
un semplice avviso di garanzia, a volte
anche ingiustamente,
era in grado di chiudere la “carriera” di un uomo politico.
E la logica istituzionale era semplice: chi sbaglia deve pagare.
Come dappertutto nei Paesi a civile
democrazia.
Oggi (ma i segni di cambiamento per il
futuro sembrano promettenti)
la logica è
diventata un’altra: chi sbaglia merita
un
premio! E sì, perché noi, in Italia, abbiamo consentito
a “capi”
e “capetti”, di ogni genere e specie,
di “premiare”
gli “erranti”,
senza dar conto in trasparenza e probità.
E così, solo per citare qualche nobile
fattore della nostra moderna inciviltà
democratica, è stato possibile, nel
nostro paese, accettare,
in silenzio, e con ambigue complicità di
Stato, di:
1.
nominare Bossi,
promotore del tricolore a carta igienica,
a Ministro della Repubblica;
2.
assistere alla nascita delle orgogliose truppe
dei “servi
liberi”
a servizio di un carismatico Cavaliere
(ma molto più
del carisma poté il danarismo
avvilente);
3.
subire una battaglia per la meritocrazia da parte di una classe dirigente “eletta” fuori di ogni valutazione
di “merito”;
4.
contare trecentoquattordici “onorevoli”
disposti a votare
con gli occhi della libertà della propria mente completamente chiusi
per
viltà (se si scriverà una storia dell’ignominia parlamentare,
la bufala Ruby avrà il “merito” -segno dei tempi- di occupare il podio più alto);
5.
sopportare, senza un minimo di ribellione civile,
da parte soprattutto dei suoi colleghi, la presenza in Senato
di un tal Calderoli, autore spesso
di “porcate”;
6.
aver votato più volte con un sistema elettorale
incostituzionale,
allegramente e colpevolmente accolto dai “padroni” dei posti
in Parlamento, dovunque schierati, senza aver ideato, noi,
un civile sciopero del voto.
Ma a
cambiare le cose non basterà una qualunque sentenza
in Cassazione.
L’onore
politico è già morto da tempo.
Eppure, fiduciosi, continuiamo a sperare,
almeno sul piano civile,
in una “rivoluzione liberale”, in
una generale interiorizzazione, cioè,
dei fondamentali principi liberali
moderni, magari bipartisan,
a partire dai principi della nostra Costituzione
e della Dichiarazione Universale dei
Diritti Umani,
da insegnare/praticare a scuola, sin dall’infanzia;
e forse tra qualche generazione la politica
diventerà davvero
un servizio alla collettività, senza quell’assurdo
e puerile
e impolitico e incivile e provvisorio bisogno
di “un” leader,
ma semplicemente in trasparenza, e tra
pari, e a organizzazione bicratica,
cioè senza più un leader monocratico,
spesso sempre maschio,
ma con leadership di coppia, un uomo e una donna.
I rapporti nei numeri uomini/donne e la
civiltà pretendono questo.
Per una sovranità
conviviale.
O no?
Severo Laleo
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