Nel programma elettorale di Potere al Popolo, a proposito di scuola,
tra molto altro, si legge:
l’introduzione di un limite massimo di 20 alunni per classe
e la generalizzazione del tempo pieno per il primo ciclo d’istruzione,
l’elevamento dell’obbligo scolastico (e non formativo ) a 18 anni.
Si può essere d’accordo, anche se nel linguaggio elettoralese
tra molto altro, si legge:
l’introduzione di un limite massimo di 20 alunni per classe
e la generalizzazione del tempo pieno per il primo ciclo d’istruzione,
l’elevamento dell’obbligo scolastico (e non formativo ) a 18 anni.
Si può essere d’accordo, anche se nel linguaggio elettoralese
la vita delle
persone, di studenti e docenti, stenta a comparire.
D’accordo, 20
alunne/i per classe è una scelta/regola fondamentale
per una didattica ad
personam, attenta alla crescita individuale
di ogni alunna/o.
D’accordo, la
generalizzazione del tempo pieno, soprattutto per il primo
ciclo d’istruzione,
è fondamentale per dare alle alunne/i in difficoltà
di apprendimento
tempi e occasioni per incrementare abilità e conoscenze.
D’accordo,
l’elevamento dell’obbligo scolastico (e non formativo) a 18 anni
è un provvedimento
necessario per elevare la qualità della democrazia
nel nostro Paese, in
un processo di civilizzazione sempre più avanzato.
Eppure, se non si
tocca il sistema scuola nel suo esplicarsi,
cioè nella
relazione studente/docente, in breve, nel metodo di trasmissione
del sapere, non si inciderà mai in profondità nella qualità
dell’istruzione/formazione.
del sapere, non si inciderà mai in profondità nella qualità
dell’istruzione/formazione.
Se la relazione
docente/studente rimane ancora tutta chiusa nel trinomio
lezione-interrogazione-voto,
con tutti i nuovi riti collegati,
i fallimenti a
scuola di tante giovani persone continueranno a esistere.
L’insuccesso scolastico, i
risultati scadenti, la dispersione
-è capitato di scrivere altre volte-
-è capitato di scrivere altre volte-
sono quasi una
naturale conseguenza di questo sistema educativo,
costruito in un
lontano passato, esclusivamente per misurare e valutare,
promuovere e
bocciare. Al di là della qualità degli apprendimenti.
Per carità,
nobilissime figure di docenti, ieri e oggi, hanno saputo rompere
e superare questo
rigido schema, hanno saputo costruire con allieve/i
una positiva
relazione didattica, hanno saputo quindi non solo trasmettere,
ma anche “produrre”
cultura, com’è giusto fare con tutti i limiti possibili.
Ma questo soggettivo
sforzo di tante/i non ha eliminato la struttura profonda
del lavoro didattico
a scuola, ancora oggi centrato sulla scansione
lezione-interrogazione-voto,
dove l’ultimo termine, voto, sembra rappresentare
la sintesi di tutto
il processo o, comunque, diventare il solo elemento capace
di destare
l’interesse di tutti, genitori compresi.
Superare tutto
questo rientra in una grande sfida politica: bisogna costruire
con le giovani
persone un’interazione didattica di tipo, come dire, cooperativo,
senza esclusioni per
alcuna/o, grazie a un’ampia disponibilità
di risorse umane e
strumentali.
Se la scuola non
riesce a“promuovere”, in realtà “boccia”,
con grave danno comune.
Forse, a scuola, i
risultati di allieve/i, in una parola, la “promozione”
per ogni giovane
persona, dipendono molto da investimenti in persone e mezzi
per il superamento
del trinomio lezione-interrogazione-voto.
O no?
Severo Laleo
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