Pare che il
coronavirus sia riuscito a trascinare
la parola “limite”,
e il suo significato, fuori dal ghetto
dell’impopolarità
per lanciarla nel dibattito di oggi.
Almeno questo
scrive, e vale la pena riportare tutto il brano,
Serra nella
sua rubrica su la Repubblica:
“Il concetto di
limite dovrà essere riesumato dal sarcofago
[esagerato!]
nel quale è stato rinchiuso molto tempo fa.
E’ un concetto
impopolare, tipicamente di minoranza,
maneggiato con
estenuata tenacia da conventicole ambientaliste,
autorevoli
scocciatori come il club di Roma, studiosi molto
meno ascoltati di
quanto sia oggi il più scarso dei virologi
e spesso di
essere tacciati di menagramo. Di qui in poi,
per forze di
cose, “limite” diventerà un concetto pop.”
Grazie Michele, la
tua saggezza oggi appare confortante.
In verità, oltre
alle conventicole ambientaliste e
a qualche
menagramo,
l’idea di limite è stata coltivata sin dall’antichità.
Scrivono
per esempio nel loro
manifesto les
convivialistes:
“de
tous temps penseurs, sages ou philosophes, ont cherché
les
moyens à s'opposer à la démesure (hybris)”.
Eppure,
più recentemente, e a prescindere appunto dal coronavirus,
Bodei,
il filosofo, aveva già indicato l’opportunità di praticare
Dispiace,
quindi, ma non è mai troppo tardi, dare il merito
al
coronavirus.
O
no?
Severo
Laleo
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