mercoledì 28 giugno 2023

Istituzioni sguaiate: il governo Meloni

 



Era forse possibile prevedere, con l'arrivo a Palazzo Chigi di una signora quale Presidente del Consiglio, un continuo rozzo degradarsi della cultura istituzionale in Italia? Non era così scontato.


È pur vero che nella nostra storia politica tra Presidenti del Consiglio, Ministri e Parlamentari s'era già assistito a forme di sguaiataggine istituzionale, ma queste apparivano isolate e cmq irripetibili, legate strettamente a momenti di crisi in particolari passaggi politici, ora, al contrario, con la nuova Presidente del Consiglio (per non dire di altre istituzioni), la sguaiataggine è diventata sostanza argomentativa direttamente in Parlamento e, insieme al penoso ricorso a guizzi teatrali e gonfi di vuota retorica, spegne definitivamente il rigore e la serietà del confronto politico. 


Non a caso, a partire dagli strappi, in parole e in opere, di Berlusconi, (gioiosamente applauditi dalle sue truppe), le nostre istituzioni hanno registrato via via un rapido inabissarsi nella vergogna (Ruby, nipote di Mubarak, anche per la nuova Presidente del Consiglio!), grazie a una diffusa complicità di stolidità e convenienza di troppe/i. Persino gli oppositori, seguendo interessi di ceto, hanno tentato nel degrado solo di guadagnare posizioni di potere, tanto calpestato era stato il senso dell'agire democratico.

E senza riforme la stessa Costituzione fu stravolta: parve "normale" il passaggio dalla sovranità popolare alla sovranità del leader!


In realtà da un pezzo, senza alcun ripensamento/pentimento, il confine tra il comizio sguaiato e la postura istituzionale è saltato, in maniera insopportabile (si pensi al "pizzo di Stato"!). E tanta confusione irrispettosa continua ad alimentare il rifiuto del voto di molte/i in un'astensione critica e consapevole. Le persone chiedono serietà e sono più avanti del ceto politico, specie ora.

Forse il redde rationem non è tardi a venire, e molte/i fuggiranno di vergogna quando scopriranno la differenza netta, anche in politica, tra pressappochismo e competenza, tra sguaiataggine e riflessività.

O no?

Severo Laleo 


P.S. Per fortuna resiste l'esempio di Mattarella, in quanto persona e in quanto Presidente della Repubblica (sia pure troppo paziente).

lunedì 26 giugno 2023

Tocca all'Europa dare un senso alla democrazia delle persone

 Leggendo i giornali di questa mattina, 26 giugno 2023, dopo il (fallito) colpo di stato in Russia del 24 scorso, giorno del nostro bel San Giovanni a Firenze, ti trovi davanti a un diffuso, sempre uguale dappertutto, racconto, abitudinariamente già scritto e acritico e senza domande: potrai così leggere la storia del golpe, la storia della Russia, la storia della guerra in Ucraina, secondo un canone che potrei dire di personalizzazione del potere, anzi della storia del potere dal punto di vista dei "capi". Si parla di Putin, di come Putin intende il potere, delle sue scelte libere e obbligate, dei suoi metodi violenti, in breve del capo Putin; idem per il "capo" Zelensky, per non dire del "capo" Prigozhin, e degli altri capi in Oriente e in Occidente. Il nome dei "capi" diventa il nome stesso di un Paese. E non sempre esiste coincidenza.

Se i giornali partecipano a scrivere la storia, ebbene questa storia è una storia di "capi" e di ogni assillo di questi. In siffatto racconto è scomparso completamente il ruolo/potere dei popoli, sono scomparse completamente le persone; la democrazia delle persone è solo un'inutile espressione. A nessuna/o, né a Oriente né a Occidente, interessa sapere quali siano veramente le preoccupazioni e i pensieri dei popoli. Che sappiamo noi, e chi scrive il racconto dei dubbi delle persone della Russia rispetto alla guerra in Ucraina? Che sappiamo noi e chi scrive il racconto delle angosce delle persone sotto attacco in Ucraina? Che sappiamo noi e chi scrive il racconto delle riflessioni accorate delle persone in Occidente, in Usa e in Europa, in relazione alla guerra e alle sue chiare e note conseguenze di morte e distruzione? Che sappiamo noi dell'idea di pace di milioni di donne e uomini in Italia e nel mondo? Nulla o molto poco; il disinteresse del mondo dell'informazione nei confronti del sapere/agire democratico delle persone tutte è inversamente proporzionale all'interesse mediatico per il "pensiero/azione" delle persone dei capi: quasi nullo il primo, alle stelle il secondo. E non ci si accorge così, maledettamente e stupidamente, di alimentare derive autoritarie dappertutto. 

Siamo nel 2023 e ancora non abbiamo, qui, da noi, in Occidente, tra stati a democrazia moderna, un'idea chiara di democrazia tout court di fronte alla guerra. È ora di dar voce alle popolazioni, con referendum ad hoc, consultivi e/o deliberativi, su pace e guerra e agire di conseguenza. Bisogna mostrare al mondo la "potenza" libera della democrazia delle persone e dare un esempio al mondo dell'esistenza di persone in grado di decidere del proprio futuro, obbligando chi è chiamato a governare a rispettare la volontà generale. Si tratta di un esempio produttivo di per sé di cambiamenti, anche là dove vigono sistemi autoritari. 

È difficile prevedere/dirigere la storia, ma scegliere il da farsi è responsabilità oggettiva di chi ha il dovere di decidere/scegliere, anche innovando con coraggio. 

Soltanto un'ultima cosa. Il richiamarsi a una democrazia delle persone inciderà anche sulla cultura del "potere": fare la storia dei capi, sempre tutti maschi, specie in relazione alla guerra, è dare forza a una cultura già morta (forse è solo un augurio!) nella coscienza delle nuove generazioni, ma sempre pericolosa: la cultura patriarcale del maschio monocrate. Abbiamo esempi, sia pure a volte pacchiani, di questa torsione maschilista del potere (anche se a governare è una donna monocrate!); basta guardare alla storia recente degli Usa, del Brasile e, per altri aspetti (personaggi fuori "norma" democratica), della Gran Bretagna e dell'Italia.

Forse è ora di un risveglio di slancio per la democrazia delle persone.

O no?

Severo Laleo

sabato 24 giugno 2023

Dov'è la democrazia delle persone, dov'è l'idea di pace universale...

... se nel caos oggi della Russia la sventurata ipotesi di una guerra disastrosa/catastrofica è sempre nelle mani di maschi, alfieri, senza scrupoli per ogni uso, dei sistemi criminali delle armi, alla Putin, alla Zelensky, alla Prigozhin, alla Kadirov, alla Erdogan, sostenuti/contrastati da altri maschi, vittime, senza il coraggio di nuove idee, di incivili irripetibili retoriche, alla Biden, alla Macron, alla Scholz?

Forse è ora di dar vita a continue, periodiche manifestazioni planetarie di tutte le persone civili, da organizzare, in tutto il mondo appunto, con il contributo determinante del femminismo pacifista

O no?

Severo Laleo

venerdì 23 giugno 2023

Anche tra piccioni il terzo gode

 Un pezzo tondo di biscotto al taglio di marciapiede in una strada grigia di Marsiglia senza sole con note acri e senza senso di gabbiani. E intorno tre piccioni, di colori e sesso indistinguibili, a distanza differenziata dal tondo soldo di biscotto. 

Una distanza, a occhio, proporzionale al peso/forma corporeo. A beccare con caparbietà e senza rivali è il piccione più grande. Becca e sposta il soldo, di poco, verso il piccione appena più smilzo, ma ardito. E s'azzarda questi a prendere il suo battente boccone. Osserva, acuto e attento, a un passo di donna, sornione potresti dire, immobile tra passetti di riposizionamento, il piccioncello sveglio.

Il gran piccione, stupido e prepotente, prepotente perché stupido, allontana a beccate in testa l'ardito smilzo, lieto comunque di rubare bocconi. E così una, due, tre volte, ma l'ardito smilzo non demorde. Il prepotente stupido perde la pazienza e insegue minaccioso a passetti velocissimi l'ardito smilzo oltre il limite, abbandonando il trofeo biscotto.

Un regalo inaspettato per il piccioncello, pronto a battere beccate indisturbato e svelto. Ora anche Marsiglia sorride con una nuova sfera di luce di sole traverso: sono le 8 e già tutto intorno vive.


giovedì 15 giugno 2023

Berlusconi è morto: Meloni e l'elogio nuovo dell' "oltraggio"

 La persona Berlusconi ha vissuto il suo ciclo terrestre a suo modo.
Ora riposi in pace.
Chi ha vissuto intorno a Berlusconi, con Berlusconi e di Berlusconi
ha già consolidato il suo giudizio sul "capo", sull'"amico",
sulla "persona cara", anche se, modificatosi ora il vincolo di relazione,
qualcosa cambierà nei giudizi. Si vedrà.
In verità i cambiamenti di giudizio in politica sono la regola:
solo qualche mese fa, Berlusconi ha maltrattato Meloni
(per il suo "comportamento arrogante, supponente, prepotente, offensivo"),
e a sua volta Meloni ha ben ricambiato, maltrattando Berlusconi
(con la minaccia: "non sono ricattabile"). Complimenti molto chiari
e puntuali!
Ma nel giorno del dolore Meloni torna al giudizio pieno:
"Con lui l’Italia ha imparato che non doveva mai farsi imporre dei limiti.
Ha imparato che non doveva mai darsi per vinta.
Con lui noi abbiamo combattuto, vinto, perso molte battaglie.
E anche per lui porteremo a casa gli obiettivi che, insieme, ci eravamo dati.
Addio Silvio”.
E per lei è giusto così: senza Berlusconi (questa forse per lui è la sconfitta
più cocente) la destra nostrana sarebbe fuori gioco.
"Con lui l’Italia ha imparato che non doveva mai farsi imporre dei limiti."
Ecco il senso ideologico della destra nostrana: "mai farsi imporre dei limiti".
Il non fermarsi davanti ai limiti è una caratteristica tipica della destra
italiana e, a dire il vero, anche di Berlusconi, totalmente insofferente
dinanzi ai "limiti", al punto, tra tanto altro, da trascinare, andando
oltre ogni limite di decenza, la sua parte in Parlamento a votare
"Ruby, nipote di Mubarack!"
E la Presidente attuale del Governo non ebbe allora alcuna remora
di sapore istituzionale e votò in silenzio obbedendo ad altro.
(di recente la cultura istituzionale della Premier è scesa a zero
con la trovata invereconda del "pizzo di Stato").
Torna così, attraverso il ricordo potente di Berlusconi, l'elogio
dell' "oltraggio", dell'andare oltre, del "non farsi imporre dei limiti".
Anche un altro Presidente del Consiglio, da sinistra (si fa per dire!),
ebbe l'ardire di non porsi limiti, invitando anche i "suoi" a non porsi limiti.
Eppure, se esiste una/la democrazia è proprio grazie al rispetto dell'idea
di "limite"; senza una "cultura del limite" non può esistere democrazia,
e nessuna parità tra cittadini/e, tra uomini e donne, tra chi ha e chi non ha,
tra chi "è" e chi "è in cerca di essere".
Chi non sa "fermarsi" prima dell'oltraggio, chi non sa "imporsi limiti",
perché rifiuta di riconoscerli nelle leggi e nella presenza/rispetto dell'Altro,
è fuori dalla democrazia.
Chi non coglie l'importanza fondamentale del limite, tende ad imporre
agli altri solo la propria visione.
Purtroppo questa è la destra nostrana. Una destra sì incoraggiata
da Berlusconi, ma insieme da Berlusconi anche trasformata
in populismo antiStato (chi non ricorda la scalinata "occupata"
del tribunale di Milano?)
L'autoritarismo confina sempre con la negazione dei "limiti",
proprio là dove ogni fascismo trova fertile terreno per insediarsi.
O no?
Severo Laleo

lunedì 24 aprile 2023

25 Aprile: mai più il fascismo

 


La guerra, le guerre, gli scontri armati, le lotte intestine, 

il razzismo/maschilismo, la volontà di dominio, la violenza, 

l’odio, il disconoscimento e l’eliminazione fisica dell’altro, 

infine la shoah rappresentano sempre, e sono, la sconfitta totale 

e generale della razionalità e della sensibilità

di ogni persona e dell’umanità intera.


Passano gli anni, i secoli, la cultura si amplia 

e si diffonde, la scienza apre nuovi orizzonti per mutamenti epocali, 

cresce anche la consapevolezza (nonostante i “muri”) del "senso di umanità", 

ormai ben definito in testi etico-giuridici tendenti all’universalità 

dei diritti per rendere possibile un percorso di civilizzazione, 

eppure la storia registra ancora il continuo perpetuarsi di crisi trascinantisi 

senza soluzione, se non con il ricorso a strategie di morte e distruzione.

E le crisi, una volta risolte con spargimento di sangue, depositano, 

soprattutto negli animi dei vinti, per generazioni, odi e risentimenti.


Anche il 25 Aprile è vittima di questa generale situazione di perversi sedimenti.

E soprattutto in Italia, perché, nonostante la fine, grazie anche alla Resistenza

di quella stagione di violenza e di morte aperta dal nazifascismo, 

ancora per non poche persone, anche tra le alte cariche della nostra

Repubblica, la vittoria delle forze del fronte antifascista, 

ricco di ogni componemte culturale e politica, segna non la “fine” totale 

di una violenta aberrazione, ma solo una “ferita” da rimarginare 

(argomento in verità, soprattutto da usare per attrarre le simpatie 

elettorali di nostalgici e di neofascisti): 

di qui sciatterie storiche inventate ad arte (il primato è del Presidente 

del Senato, La Russa), di qui processi alla violenza anche della Resistenza, 

di qui persino tentativi di negazionismo.


Eppure il 25 Aprile è semplicemente una data storica/simbolo 

per dire/gridare/ricordare a ogni persona civile: “mai più il fascismo!” 

Non è difficile da capire, al di là, per chi occupa una carica istituzionale, 

del “dovere” di capire.


Non pare servano altre parole.

O no?

Severo Laleo



mercoledì 12 aprile 2023

Berlusconi, il liberalismo, il teatrino della politica e i suoi professionisti

 Senza dubbio Berlusconi può ben vantarsi di essere (stato) il padre politico di questo governo di post-fascisti (?), anche se molti credono debba di questo al contrario vergognarsi (gli auguriamo di tutto cuore di vergognarsi fino a cent'anni, magari da rinsavito e pentito di tanto suo "successo"!).

Nella sua "discesa in campo" c'erano tra gli altri due obiettivi forti da comunicare per la campagna elettorale (altri e più importanti obiettivi erano riservati solo alla sua persona e a qualche fidatissimo "consigliere"!): 1. "rivoluzionare" il teatrino della politica con una ventata fresca di "liberalismo" (obiettivo, se fosse stato realmente interpretato, molto utile -sia pure inventato contro un comunismo inesistente- per un'Italia schierata a destra o a sinistra senza aver mai interiorizzato, succube di "chiese", un veramente "liberale" comportamento democratico); 2. sconfiggere e sostituire i "professionisti della politica" (un tempo solo maschi!) con un nuovo ceto politico proveniente dal mondo del lavoro e delle professioni. E, a proposito di maschi, era anche il tempo in cui, data la sua allora maschilmente ammirata visione maschilista, invitava gli "stranieri" a venire in Italia a investire, perché qui, nel nostro bel Paese, abbondano le "segretarie" piacenti dalle "belle gambe" (se la memoria non inventa!). 

Ora, per una sorta di eterogenesi dei fini, il liberale Berlusconi si trova da una parte a difendere dei post-fascisti al governo, confusi ma pigliatutto, nostalgici e con chiare e attuali intenzioni/attitudini illiberali, e dall'altra perfino a subire l'onta di dipendere dalla volontà di due puri, totali "professionisti della politica" (meglio: di propaganda partitica)! Eppure una volta, a suo preciso dire, i professionisti della politica "gli facevano schifo".

Forse avrà qualche dubbio sul suo "successo" politico, se questi sono i suoi risultati. E chissà, forse vorrà ancora battersi/scendereincampo (è un augurio!) per veder meglio realizzati e il liberalismo, quale condizione fondante della democrazia, e la promozione della competenza, quale condizione necessaria del "buon governo".

O no?

Severo Laleo 

martedì 21 marzo 2023

Francia, riforma delle pensioni: l'"estensione" della democrazia contro le tensioni autoritarie

L'approvazione della riforma delle pensioni in Francia, attraverso le legittime "forzature" di un sistema democratico ben sedimentato, pone comunque un grosso problema politico a livello di buon funzionamento delle istituzioni e della democrazia tout court: è il problema del superamento del corto circuito tra rappresentanti e rappresentate/i. 

E non solo in Francia. E non solo per le pensioni.

In breve, fino a che punto la democrazia rappresentativa può svolgere il suo legittimo compito di governo senza ascoltare la voce del Popolo Sovrano sulle Grandi Questioni (ad es. guerra/pace), là dove, cioè, il governo, "entrando" pesantemente nella vita delle persone, le scompagina/distrugge in qualche modo? E basta un voto del corpo elettorale, espresso per eleggere le rappresentanze in Parlamento, essere interpretato quale consenso diretto anche su una "Grande Questione"? 

È sotto gli occhi di tutti, nella gran parte dei paesi occidentali, pur secondo forme e modalità diverse, la crisi, ormai di lunga data, del funzionamento della democrazia; anzi, con sgomento, abbiamo anche visto, inaspettatamente e violentemente, tentativi di piegature autoritarie in USA e in Brasile

Evidentemente qualcosa non funziona. 

Forse è ora di inventare nuove forme di approvazione politica di fronte alle Grandi Questioni, attraverso un processo di "estensione" della democrazia per un pieno e più ampio consenso popolare, prevedendo, sulle Grandi Questioni appunto (da regolamentare), sempre, per legge, d'obbligo, un referendum di conferma. (Offrendo così al mondo esempi fortemente contagiosi anche per i popoli governati da regimi autoritari, che spesso addirittura presumono di essere/apparire più "performanti" rispetto ai "riti" della democrazia.)

Altrimenti, nel gestire i conflitti, quasi per forza, si torce il sistema democratico verso tensioni autoritarie.

O no?

Severo Laleo 

P.S. L'"estensione" della democrazia potrebbe passare anche attraverso almeno due improrogabili riforme istituzionali: 1. Parlamento a parità assoluta uomini/donne;
2. Superamento del Monocratismo (uno/a solo/a  al comando) con il Bicratismo (guida duale paritaria: un uomo/una donna).

venerdì 10 marzo 2023

Nelle persone di Cutro l'onore dell'Italia

 È inadeguato, e per questo anche pericoloso, sia per l'esercizio della democrazia (per l'assenza di trasparenza attiva), sia per l'esercizio della solidarietà umana e sociale (per l'assenza di empatia civile), questo governo; in tutte le sue componenti, dalla Presidente del Consiglio, chiusa in una falsa determinazione propagandistica, ancora recitata in atteggiamenti demagogicamente popolareggianti (sempre da campagna elettorale), fino a tutti i suoi ministri, silenziosi e complici, in afasia farfugliante, e per giunta arrogante, di fronte alla visione del fenomeno migratorio espressa brutalmente dal Ministro degli Interni. Irripetibile.

L'origine della tragedia di Cutro, agli occhi di chiunque abbia un normale senso logico/cronologico degli avvenimenti, è tutta nell'assenza dei soccorsi. Nell'intempestività, nel caso di Cutro, del nostro, di Paese Civile, sistema di "ricerca e soccorso". Perché? Perché è successo, pur vantando il nostro Paese Civile un'ottima reputazione in termini di salvataggio?

E di fronte alle domande, a queste semplici e ineludibili domande, noi troviamo un Governo sì inadeguato e incapace (impreparazione? assenza?) di preoccuparsi di agire subito e in profondità per conoscere la verità, attraverso un'indagine seria, approfondita, ma soprattutto pronto, con la copertura imprudente e rassegnata di una Presidente del Consiglio, ancor convinta di superare la crisi con le parole giocate al tavolo di una fuorviante conferenza stampa, solo a giustificarsi. E non s'accorge, per un grave difetto nella funzione istituzionale, di non essere in grado di svolgere fino in fondo, con profonda partecipazione, il suo dovere di interrogarsi e dare risposte incontrovertibili. Al Paese e alla Vittime.

Invece assistiamo a un movimento di scaricabarile, di  nascondimenti, di fuga dalla realtà e dalle proprie responsabilità. In maniera incredibilmente scomposta.

E che dire delle irripetibili parole a caldo di un ministro di fronte alla tragedia? 

Davvero incomprensibile nel nostro Paese l'odio (o cmq un'indifferenza sorda) per i migranti in tanta parte del ceto politico, ben sostenuto a sua volta dall'odio/indifferenza di tante povere persone. E non solo nel nostro paese: il fenomeno migratorio è mondiale, ma le risposte (anche nella "civile" Gran Bretagna!) sono ancora "nei confini delle Nazioni"! Un odio insieme viscerale e stupido per le sue motivazioni e nei suoi risultati.

E porta troppi, anche in alto, a voltarsi dall'altra parte, a non voler capire, a non voler approfondire, a spostare, magari gridando, l'attenzione sulle pene agli scafisti (i quali, imprenditori maschi del profitto criminale, prosperano grazie all'assenza degli Stati). Le responsabilità sono chiare e evidenti. 

Si tratta di omissione di soccorso o per sottovalutazione del caso o per difetto di funzionamento della macchina operativa. È vietato e inimmaginabile pensare ad altro, anche semplicemente a una pigrizia indotta culturalmente e politicamente.

Questo governo prima va via e meglio è per il nostro Paese. 

Solo le persone di Cutro, che hanno assistito impotenti e sgomenti alla tragedia (e il nostro presidente Mattarella, bisogna aggiungere) ne hanno compreso tutta la gravità. E hanno subito messo in moto concretamente il coinvolgimento dell'empatia umana; quelle persone, a Cutro e a Crotone, si sono date da fare per garantire un umano abbraccio al dolore immane dei familiari, anche per le tante giovanissime vite spezzate.

Almeno per una volta l'onore dell'Italia  è nelle persone di Cutro

O no?

Severo Laleo

PS Leggo l'editoriale di Piero Ignazi su Domani: è un esempio di civilissima e circostanziata critica all'operato di un governo inadeguato (se non peggio). Un popolo sensibile ai valori della democrazia trasparente e responsabile, e una stampa attenta alla ricerca della "verità" possibile, dovrebbero oggi essere alleati nel chiedere le dimissioni di questo governo.



martedì 7 marzo 2023

Otto marzo 2023: quest'anno le mimose al pacifismo femminista (Vera Brittain)

 Vera Brittain, da donna, scrive soprattutto alle donne, e il suo pacifismo, da "conversione personale", vuole diventi coscienza critica operativa di pace, appunto soprattutto tra le donne.

Ecco le sue parole:

"Nell’agosto 1914 ero poco più che una bambina, giovane negli anni e ancor più nella mente e nell’esperienza. A scuola il patriottismo ci era stato presentato come una sorta di religione. La frase dulce et decorum est pro patria mori aveva ai nostri occhi un valore supremo riferito ai padri, ai fratelli, ai fidanzati. Fremevamo di eccitazione indiretta di “mere” donne di fronte alla stupidità sacrificale del “non chiedersi il perché, ma agire e morire”, quella esortazione suicida rivolta a esseri umani ragionevoli affinché ripudiassero la loro capacità di pensiero solo per coprire i grossolani errori degli alti comandi o per portare avanti i progetti interessati dei profittatori politici e commerciali. Quando scoppiò la guerra noi la considerammo “un atto di Dio”, una catastrofe in cui il nostro primo dovere era difendere o sostenere il nostro paese, afflitto e senza colpa. Con una fede commovente nella onniscienza olimpica degli uomini che reggevano i nostri destini dalla Presidenza del Consiglio o dal Ministero della guerra, salutavamo i soldati in partenza agitando eroicamente le braccia ed avevamo l’impressione che la società sarebbe stata in qualche modo santificata dal sacrificio dei suoi uomini migliori. Non sospettavamo assolutamente che il 1914 avrebbe significato la bancarotta della politica e delle sue risorse e il crollo della saggezza umana nelle alte sfere....

Quando ho letto in un articolo di fondo del “Times” a proposito del progetto della nuova aviazione l’espressione oggettiva “il suo potenziale di distruzione sarebbe certamente elevato”, ho iniziato a mettere in discussione il mio diritto e quello di qualsiasi altra donna di mettere al mondo esseri umani che potrebbero essere esposti a sofferenze ancora più terribili di quelle che avevo visto due decenni prima. È il destino di mio figlio, da qui a dieci anni, quello di essere parte di questa “distruzione” dell’aviazione – frammento senza valore, gettato nel mucchio degli scarti delle vittime avvelenate e mutilate della prossima guerra? Deve essere questa la fine dell’amore, delle cure, delle premure materne?

...Con altruismo convenzionale [ogni madre] tenta di procurare un ambiente ideale per i suoi bambini e non fa assolutamente nulla per impedire che questi e le loro camerette siano ridotte in frantumi nel prossimo decennio. Poiché le minacce di guerra sono quotidianamente sbattute nei titoli di prima pagina dei giornali più diffusi, questa incoscienza irresponsabile è sorprendente. Non sembra sia dovuta ad apatia – infatti quale madre potrebbe essere indifferente alla prospettiva che il proprio bambino sia messo a morte attraverso la tortura? – quanto a incapacità mentale di comprendere. L’abitudine all’accettazione acritica, coltivata fin dall’infanzia da genitori e insegnanti, in tutte, tranne che nelle più giovani generazioni di donne, penso offra la vera spiegazione. Alla maggior parte delle donne oltre i trent’anni e a molte al di sotto di questa età, in gioventù il mondo è stato presentato come organizzato e diretto dagli uomini, ed il tempo che è trascorso dal 1928 non è stato sufficiente per abituare la donna che vota all’idea che essa non ha soltanto un’opportunità, ma il dovere di fare la sua parte nell’indirizzare la politica del proprio paese. La risposta rabbiosa che tanto spesso le madri danno ai galoppini elettorali: “Non andrò a votare, lascio tutto questo a mio marito” non è soltanto una risposta esasperata dovuta all’eccesso di lavoro o al fatto di essere state interrotte; dimostra l’incapacità di riconoscere una responsabilità che ovunque è la caratteristica delle ristrette preoccupazioni della casalinga. Mentre si addensano nere nubi nel cielo della politica da molti focolai di tempesta, lei non si preoccupa dell’esito della guerra civile spagnola finché c’è abbastanza detersivo nella credenza. Le minacce di Hitler, le parole rabbiose di Mussolini la lasciano indifferente se trova una nuova ricetta per l’insalata di pomodori. Non la sfiora il dubbio che l’obbligo morale, per quanto forte, di tenere la casa pulita e i bambini in ordine è infinitamente inferiore all’obbligo morale di comprendere il futuro e di cogliere le sue terribili possibilità....

Ci siamo lasciati trascinare nell’ultima guerra perché la maggior parte della popolazione era troppo strettamente rinchiusa all’interno della piccola cerchia dei propri interessi personali per rendersi conto della direzione degli eventi mondiali prima che fosse troppo tardi. Deve accadere ancora la stessa cosa? Le donne che nel 1914 non avevano il suffragio, ma che ora sono cittadine che esercitano il diritto di voto non faranno niente per impedire questa follia mortifera? Se le madri relativamente istruite che dispongono del tempo per pensare e studiare non protestano, cosa ci possiamo aspettare da quelle povere, sopraffatte dal lavoro e dalla denutrizione? Mai prima d’ora è stato altrettanto chiaro che il raggiungimento della pace dipende da un drastico mutamento dei valori in quegli individui che sono destinati a soffrire per primi delle conseguenze della guerra.

... La guerra, o la preparazione alla guerra, non è una politica, è una confessione di bancarotta delle risorse della mente umana."

Forse un'iniziativa forte, autonoma, libera dell'altra metà del mondo, potrebbe scuotere più nel profondo le coscienze di tutte/i.

O no?

Severo Laleo

Vera Brittain, Perché sono pacifista (1937) traduzione e cura di Bruna Bianchi Qui  il testo integrale.

lunedì 6 marzo 2023

Le parole di Harriet Taylor ora nel messaggio di Pedro Sanchez dopo più di 150 anni da L'emancipazione delle donne

 Il giorno 4 marzo sul giornale online Open esce questa notizia, di seguito il testo: "Se le donne rappresentano la metà della società, la metà del potere politico ed economico deve appartenere alle donne»: con queste parole il premier spagnolo Pedro Sánchez ha annunciato un’importante novità in tema di diritti civili. Martedì prossimo, infatti, il Consiglio dei Ministri approverà una legge sulla rappresentanza paritaria nei centri decisionali che non ha precedenti in Spagna. L’innovazione toccherà diversi fronti, dalla politica all’economia...."

L'affermazione "Se le donne rappresentano la metà della società, la metà del potere politico ed economico deve appartenere alle donne" era già un principio chiaro e evidente al pensiero femminista nei suoi primi atti pubblici.

Più di cento cinquanta anni fa!

E tornano alla memoria le lucidissime parole scritte da Harriet Taylor, appunto a sintesi del documento finale della Women's Rights Convention del 23/24 Ottobre 1850 a Worcester, nella lotta delle donne per raggiungere: 

"A coequal share in the formation and administration of laws,—municipal, state, and national—through legislative assemblies, courts, and executive offices."

Una parità assoluta, "coequal", in una parola, a ogni livello.

È vero, non è mai troppo tardi (soprattutto per gli uomini).

O no?

Severo Laleo 

P. S.

Il femminismo, in ogni sua declinazione, ha ottenuto e continua a ottenere importanti risultati, almeno nel mondo occidentale, a livello di diritti sociali, civili e politici, ma non pare abbia riflettuto ancora abbastanza sull' impronta maschilista/patriarcale insita nelle strutture di potere, nelle tante forme storiche delle istituzioni. Esiste un femminismo disposto, attraverso un'analisi nel profondo, a  slegare le attuali "forme istituzionali" dai legami storici, una volta scoperti, con la cultura maschile dominante? Ad esempio, il monocratismo, l'idea di "un" uomo solo al comando (vale anche se l' "un" è donna!) in tantissime strutture di potere decisionale, è "forma universale" o semplicemente storico/culturale, dovuta alla predominanza di un pensiero, specie in zona/potere, tutto in mano agli uomini? Può il bicratismo essere una via di uscita? Mah!


giovedì 23 febbraio 2023

La guerra è (ancora) il marchio (maschile) della ferinità. La sacralità del diritto è una gabbia mortale. La parola è la pace

 24 febbraio 2023.

Compie un anno la guerra tra Russia e Ucraina. Ed è ormai chiaro a tutte/i: la sua pericolosità supera la pericolosità di ogni altra guerra in atto nel mondo (e sono tante e tragicamente spaventose e disumane), perché è una guerra nel cuore della nostra Europa, di quell'Europa uscita dalla seconda guerra mondiale (la guerra scatenata dal nazismo), con la volontà democratica e morale di non ripetere l'errore fatale e di obbedire a un convinto "mai più", con l'idea di risolvere ogni contesa con altre "armi", con il progetto di unire e non dividere. 

E invece siamo ancora una volta caduti nella follia e di uccidere persone, militari e soprattutto civili, e di distruggere ogni bene materiale, per un confine, per la porzione di un territorio, per un tratto di mare. Per non dire di altri interessi non sempre noti alle normali persone. (Non esiste democrazia "nuova" senza assoluta trasparenza.)

C'è forse tra le persone di una qualsiasi comunità chi possa ritenere razionale, legittimo, moralmente compatibile con la difesa della vita, un tanto infausto evento qual è la guerra? 

Non esiste il "sacro suolo" nel silenzio, in assenza di discorso/dialogo. Non decidono la vita delle persone la sacralità (inventata) del suolo o il diritto stabilito (sacro) una volta per tutte: al contrario, è la parola, laica e razionale, a produrre la civiltà della vita. La parola, il discorso, il dialogo.

È mai possibile tanto dolore nel 2023? 

Una storia millenaria di guerre alle nostre spalle possibile non abbia ancora insegnato a  chi governa (quasi sempre dominato dalla cultura maschilista del vincere in duello) che un confine, un pezzo di territorio non valgono mai la morte di tante persone, il dolore di tante persone, la sofferenza di tante persone, la distruzione di tanta ricchezza? Che confini e terre sono muti e che uomini e donne hanno la parola?

Le persone, in questo nostro mondo aperto e globalizzato, non sono, né vorrebbero sentirsi, chiuse nella gabbia dei confini, vorrebbero "volare" senza barriere, intessere nuove relazioni, sperimentarsi altrove, conoscere e amare, se non fosse per le fissazioni malate dei capi di governo, sempre decisi ad arrivare fino in fondo, fino alla fine (abbiamo sentito anche questo!), maschi e infantili.

Se fossero le singole persone, in ogni parte del mondo, libere di decidere le guerre, molto probabilmente si seguirebbero altre strade nella soluzione dei conflitti. Forse sarebbe possibile un "contrapporsi senza massacrarsi", specie se tutte/i prendessero parte a tutte le iniziative di pace sparse nel mondo in questi giorni, in attesa di una universale, memorabile manifestazione.

La "parola" di tutte/i noi insieme è la pace.

O no?

Severo Laleo

P.S. Oggi 27 Febbraio leggo su Domani un articolo di G. Segre molto utile per una riflessione seria sul da farsi nella situazione attuale di guerra tra Ucraina (occidente) e Russia (il non occidente): "il sogno di sopravvivere dell'uomo spesso si è dimostrato più forte della logica".

"Il posto" di Annie Ernaux

 Caro Scapece, 

lo so, tu hai le tue perplessità, sei stato chiaro nella tua ultima lettera,  tra l'altro ben conosco i tuoi gusti letterari, ma non dirmi niente, a me Annie Ernaux, la scrittura di Annie Ernaux, piace. 

È vero, la sua scrittura sembra (anzi è) sempre una confessione continua, quasi un diario aperto, di racconto confidenziale, eppure quel modo di scavare nei ricordi, di "toccare" con le sue giuste parole le persone in genere, in particolare i propri cari, quel modo di "toccare" gli ambienti, le situazioni, i discorsi, come fa nel suo libro "Il posto", a partire dal tuffo veloce nella famiglia del nonno paterno fino a seguire la storia dei lavori di suo padre (fino alla sua morte), riesce a tenerti attento e partecipante nella lettura. E forse chi ha vissuto da bambino negli anni 50 trova anche un po' della sua "storia", specie se ha visto/frequentato ambienti "poveri". Conosce e racconta Ernaux sia le delicatezze generose sia le temporanee durezze, reciproche, dei suoi genitori, entrambe definite e limitate dal mondo del loro linguaggio; è continua, infatti, l'attenzione di Annie Ernaux alle espressioni linguistiche e ai modi di dire. E spesso lega i comportamenti delle persone al loro modo di esprimersi. Tutto questo insieme dà un'idea comprensibile della vita reale. Se esiste un'arte del dire, del  raccontare, osservando, denunciando, soffrendo (nonostante una tensione al distacco), di quest'arte Annie Ernaux è esperta. 

Se mai della sua scrittura si può dire che spesso è concentrata, forse per un'antica, latente sua sottomissione al giogo della "brutta figura", sul cogliere emotivamente le tante, a diversi livelli, differenze di classe, dinanzi alle quali si può provare fastidio, addirittura vergogna. E anche quando dalla precedente condizione si è usciti per andare verso una migliore altra condizione, presentata attraverso il possesso di oggetti/comodità, prepotente l'arte di scrivere là torna.

Conosco, caro Scapece, le tue idee, ma io continuerò a leggere Annie Ernaux. Ti terrò aggiornato.

Stammi bene e sempre buone cose.

Severo.


lunedì 20 febbraio 2023

Il pacifismo muore tra democrazia e libertà

 

Stefano Feltri, in un articolo su Domani sincero e appassionato (almeno così a me pare) nel quale il già giovane pacifista spiega le sue ragioni per stare con l'Ucraina contro il "pacifismo di questi tempi", dopo condivisibili e sensate osservazioni sulle quali, in un contesto dato per immutabile, si può senz'altro essere d'accordo, così scrive a conclusione: "L’Italia e l’Unione europea non sono fondate sul pacifismo, ma sulla vittoria in una guerra per la libertà che ha permesso di costruire un progetto di pace".

In altri termini, se vogliamo difendere libertà e democrazia, dobbiamo, per il buon Feltri, "vincere" la "guerra", al di là di ogni possibile immane tragedia, sempre "per costruire un [altro] progetto di pace". In una parola, il pacifismo è un'illusione, se non un imbroglio.
E non s'accorge così, il nostro, di essere prigioniero della "vecchia storia", di guerre infinite e di trattati di pace a seguire, mentre il mondo pacifista, anche a partire dalla stessa fondazione "sul mai più", tra dolore e speranza, dell'Europa, aspira a disegnare/costruire un nuovo corso della "storia senza guerre".
Possiamo noi persone dell'occidente (ma non è solo una nostra prerogativa) alimentare le guerre, e questa, con le sue pericolose e trascinanti alleanze, tra Ucraina e Russia tra le altre, con il pensiero fisso di difendere, a ogni costo, proprio così, a ogni costo, democrazia e libertà?
E che beni sono democrazia e libertà se costano morte, distruzione e non garantiscono di per sé, senza l'eliminazione della possibilità della guerra, la sopravvivenza del genere umano?
La democrazia.
Se l'autocrazia non ha bisogno del, né chiede il, consenso delle persone tutte per decidere un'aggressione e una guerra, quale deve essere al contrario il comportamento di una democrazia? Non deve forse, su una decisione così importante, avere il consenso espresso di tutte le persone esplicitamente sul punto? Quale consenso esplicito tra tutte le persone, misurato e valutato, ha in Europa e in USA il programma di alimentare la guerra tra Ucraina e Russia? E da noi in Italia?
La libertà.
La libertà è un bene insopprimibile. Il problema, in caso di aggressione, è solo nella durata della sospensione delle libertà a causa di un'aggressione. Quanto costa garantire una "libertà" immediata e continua, da subito, con la guerra, contro un'aggressione, rispetto a una limitazione temporanea di libertà recuperabile pienamente in un tempo più lento e lungo con l'obiettivo di non uccidere persone?
Ha scritto nel 1937 Vera Brittain, spiegando il suo pacifismo: "La guerra, o la preparazione alla guerra, non è una politica, è una confessione di bancarotta delle risorse della mente umana".
Sì, la guerra è sempre una confessione di bancarotta delle risorse della mente umana.
O no?
Severo Laleo

domenica 19 febbraio 2023

L'autostrada e la velocità: la segnaletica (inutile) per un popolo menefreghista (di guidatori)

 

Esiste in Italia, nel mio Sud, un tratto autostradale che dice molto del rapporto che esiste tra governanti e governati. E del nostro livello di educazione stradale (e tout court).

Il tratto autostradale in questione si trova sull'A16, è il tratto tra Nola e Grottaminarda, un tratto tutto costellato, con regolarità e continuità, da segnali di divieto di velocità fisso, quando non è inferiore, su tutto il percorso, a 80 km orari. 

Ora, da una parte, legittimamente, i governati non riescono a capire le ragioni per le quali per tutto il tratto sia obbligatorio mantenere una velocità non superiore a 80 km orari, e, dall'altra, i governanti non riescono a dare motivazioni sensate e trasparenti sul perché sull'intero percorso sia necessario tenere una velocità tanto controllata. 

Così, in questo sconclusionato rapporto tra governanti e governati, domina l'ipocrisia e ognuna/o "fa per sé". Ma quasi tutti, uomini e donne, scelgono di "far finta di niente", di "chiudere un occhio" e di trincerarsi in un rassegnato " vabbuò" (multe a parte).

Ho percorso qualche giorno fa tutto il tratto in questione a 92 km orari e non ho trovato una sola auto che andasse a 80 km orari davanti a me, mentre sono stato sorpassato continuamente da tutte le auto dietro di me, persino da qualche autobus sia all'andata sia al ritorno. 

Non v'è chi non veda che, quando questo succede, così sfrontatamente e generalmente,  il rapporto tra governanti e governati sia ormai saltato (almeno sull'A16!).

Perché?

Evidentemente continua a vivacchiare nel nostro paese, l'Italia, una "nazione" ancora malata, se oggi, sia pure in autostrada, molti, troppi, tutti "chiudono un occhio" e scelgono il "menefreghismo".

O no?

Severo Laleo 

lunedì 13 febbraio 2023

Elezioni regionali: una democrazia "familiare" e di clienti. Il sorteggio

 A sentire i commenti dei Presidenti di Regione, or ora eletti, e della stessa Presidente del Consiglio (ma non solo, il coro è molto diffuso, purtroppo), pare che in Italia abbia stravinto il centro-destra e pare che la democrazia non ne abbia a soffrire per l'astensione record, anzi -si insiste, Meloni soprattutto- con il voto appena conteggiato il Governo si è rafforzato.

Il Governo si è rafforzato? Mah!

Il Presidente Fontana afferma che ha governato bene e che i risultati gli danno ragione, oltre le sue aspettative (sic!): 

e questa è comunque la democrazia, va sempre rispettata e non sminuita! 

Nel Lazio, dove aveva mal governato la sinistra, la destra, con una sua proposta di alternativa (sic!) -ne è  convinto il neoeletto Rocca- è riuscita a stravincere, perché comunque di alternanza vive la democrazia. 

Poi, sì, aggiungono qualche commento preoccupato sulla scarsa partecipazione al voto, ma subito "si invitano", con una sincerità vuota, a proporre "qualcosa", durevole quanto la vita di un moscerino notturno, per richiamare nel futuro "la gente" al voto e alla partecipazione. E senti ripetere: "saremo vicino alla gente". Litanie.

Sono tutti contenti e loquaci e non s'accorgono  che il problema non è l'astensione, ma il fatto che alle urne si sono recate/i, con l'eccezione di qualche "buon samaritano", soltanto parenti, familiari, 

amiche/i delle/gli innumerevoli candidate/i

presenti nelle numerose liste, e clienti beneficate/i nel passato e/o in attesa di benefici nel futuro. Tanto è il 40% circa!

Ora, se a partecipare al voto è solo chi è direttamente o indirettamente coinvolta/o,

il fallimento della democrazia rappresentativa è totale (anche se la democrazia ha sempre risorse infinite e imprevedibili, specie se un popolo è ben "educato").

Ormai, almeno nelle Regioni, per un motivo o l'altro, già vige la democrazia "familiare", amicale e di clienti. Le persone normali, libere, deluse, ormai sconfortate, non votano più e esprimono con l'astensione un forte dissenso nei confronti di tutta la classe politica. E a guardar bene, e in profondo, non hanno torto. Il voto non indica più  una direzione di progetto, ma solo un miscuglio di interessi parcellizzati. L' idea di bene comune è morta.  

Forse, visto il totale e generale disinteresse per il confronto elettorale, e considerate anche le scarsissime motivazioni ideali (per non dire altro) di gran parte di candidate/i, è ora di prendere in considerazione, almeno per le elezioni locali/regionali, e per un periodo magari transitorio, il sistema del sorteggio per la scelta di chi sarà chiamata/o ad amministrare (a parità di genere) città e regioni.

Peggio non potrebbe andare, e ne guadagnerebbero tutte/i.

O no? 

Severo Laleo


giovedì 9 febbraio 2023

La réclame della guerra ha già vinto

Ormai il meccanismo è partito, è andato ingrossandosi nel tempo/spazio, è sempre più una valanga, impetuosa, che penetra dappertutto con i suoi mille rivoli laterali, fino a giungere al palcoscenico di un grande spettacolo nella TV italiana. Per applausi di morte in nome della libertà.

È il meccanismo della réclame della guerra.

Alla fine anche la guerra perde agli occhi di tutte/i, e nei continui discorsi "armati", il peso terribile delle morti e delle distruzioni, e il discorso di un leader, nelle varie sedi istituzionali, è ossessivamente teso alla ricerca di materiale bellico per la "vittoria"; e la nostra Europa, costruita, dopo la tragedia dell'Olocausto, sulla ragionata idea del "mai più", sull'indiscutibile idea della inevitabilità della pace, convinta di aver chiuso definitivamente i suoi conti con la guerra, si trova a seguire plaudente e senza lucida lungimiranza questa réclame, sia pure giustificata dall'idea, nostra, occidentale, sincera, di poter/dover aiutare, comunque e sempre, un popolo nella difesa della sua libertà.

Eppure quanta distanza c'è tra questo pensiero fisso di guerra/vittoria e il dolore delle persone. Se solo si concentrasse il pensiero sul dolore insopportabile delle persone vittime della guerra, abbandonando la retorica della Vittoria (in un senso o nell'altro esito costosissimo e non risolutivo), si capirebbe l'importante necessità della ricerca del dialogo/pace sin d'ora. Perché a nessuna/o viene in mente di aprire/spalancare le porte a tutte le iniziative per fermare la guerra?  Non sappiamo forse che ogni guerra termina con un trattato di pace? Anzi, è proprio in quest'esito obbligato l'inutilità della guerra! L'inutilità del massacro. Forse bisognerà imparare, ne va della vita dell'umanità,  a “contrapporsi senza massacrarsi" (Mauss). Anche perché la guerra uccide la logica e con la logica insieme muoiono l'etica e la politica.

Troppe/i inseguono la réclame della guerra e quasi mai si sente dire: basta, freniamo questa pazzia. 

In verità con coerenza, con costanza, con amore per ogni "creatura", Papa Francesco grida, letteralmente, il suo "basta", ma i leader belligeranti, onnipotenti e soprattutto culturalmente "maschi", non ascoltano e si trincerano vicendevolmente nei sorrisi e nel sarcasmo di guerra. L'Europa assiste, segue, applaude, invia armi e non prende iniziative nel rispetto dei valori suoi fondanti. Ha scritto la filosofa De Monticelli su Domani di recente: "

"... gli appelli di centinaia di associazione riunite sotto la bandiera Europe for Peace ... insieme alle voci degli esponenti della grande tradizione diplomatica italiana dei costruttori di pace ... salgono dal cuore stesso di quello che fu il progetto fondativo dell'Unione Europea, nato dalla cognizione del dolore e volto a costruire nell'area europea un modello di democrazia sovranazionale in grado di prevenire, gestire e risolvere per le vie del diritto internazionale i conflitti tra stati e tra individui. Eppure l'attuale leadership dell'UE pare non se ne ricordi affatto."

Non si può non essere d'accordo.

O no?

Severo Laleo 




domenica 29 gennaio 2023

"La vergogna" di Annie Ernaux non è una "camicia da notte stropicciata e macchiata"

 

Caro Scapece,


come va? Tutto bene? Sai ho continuato a leggere Annie Ernaux,

questa volta ho letto “La vergogna”.

Lasciami dire subito dell’essenzialità sconcertante della sua scrittura

e della sua principale caratteristica, questa: proprio quando ti sembra

di essere avvolto dal torpore/noia di un ritmo monotono di dettagli qualunque,

ecco d’improvviso una riflessione illumuina la pagina

e t’accorgi di un intenso legame di senso tra il più piccolo dettaglio

e l’evoluzione psicologica personale verso una amara consapevolezza di sé,

segnata dalla “vergogna”.

E così una ragazza di 12 anni, ancora acerba, e a disagio nel suo “corpo

agli altri inavvertibile, scopre, a partire da un litigio dai toni violenti

tra il padre e la madre (quando “mio padre ha voluto uccidere mia madre”),

il “terrore” e insieme la voglia/forza di raccontare e raccontarsi.

E attraverso il suo personale racconto si svela anche il volto dell’anno 1952

in Francia, in una provincia, in un quartiere, in una scuola, nella chiesa,

in casa, per la strada, nei viaggi (anche fino a Lourdes), alla radio, nei giornali,

nei libri, a cinema, nelle figure di coetanee, parenti e maestre.

Ma, a ben leggere, a dominare é sempre l’analisi delle sue relazioni

con il proprio corpo, il proprio io, i genitori e gli Altri, e per questa via,

lentamente, giunge, attraverso una serie di atti/sguardi degli Altri,

a soffrire la “vergogna” del proprio stato di vita.

E qui, caro Scapece, ho qualcosa da osservare, fuor di letteratura

(si fa per dire), ma solo con l’inopportuno intromettermi nella congerie

dei sentimenti di Annie Ernaux. Anche noi abbiamo vissuto il 1952

in una provincia (è vero, al contrario della Francia del Nord, piena di sole

e da ragazzi!), eppure mai abbiamo incontrato il peso della vergogna, se non,

specialmente tu, bravo chierichetto allora, per qualche peccato speciale.

Semmai, e il ricordo è comune, ricadeva più sugli Altri il peso di gridare

“vergogna” che su di noi il peso di avvertirla. Ma Annie Ernaux a 12 anni

é ragazza sensibile, intelligente, capace di osservare/sentire gli sguardi 

degli Altri e comprenderne il senso, e sa capire quindi di aver perso 

il posto tra la gente “perbene” proprio a partire da quel momento 

di rottura violenta nella sua felicità. “L’aspetto peggiore della vergogna 

é che si crede di essere gli unici a provarla” e all’improvviso, di notte, 

può assumere il volto di una “madre spettinata, taciturna per via del sonno,

in una camicia da notte stropicciata e macchiata (la si usava per asciugarsi

dopo aver urinato).”

E per finire ti vorrei dire di aver trovato gradevole, con note di comicità

involontaria (il testo subisce sempre l’aggressione del lettore!), il racconto

del viaggio a Lourdes e illuminante, e sempre gradevole, la lettura delle pagine

con l’analisi del “tutti sorvegliavano tutti”. Vabbè già ti ho annoiato abbastanza.

Se vuoi/puoi, leggila Annie Ernaux.

Stammi bene e fatti sentire,

Severo.

lunedì 26 dicembre 2022

La "mamma" Meloni, le leggi razziali, la destra e il reddito di cittadinanza

 Giorni fa, la Presidente del Consiglio Meloni ha voluto sottolineare, in un incontro a Roma con la comunità ebraica, l'importanza della sensibilità, propria di chi è "mamma", nella comprensione, fino alla lacrima, delle sofferenze causate alle persone ebree dall'"ignominia" delle fascistissime leggi razziali. Bene, capire il dolore degli altri è atto di generosa solidarietà. E invita alla condivisione.

 Eppure questa sensibilità, dimostrata nei confronti della "resilienza" del popolo ebraico alle leggi razziali, non riesce ad essere dimostrata/praticata nei confronti delle persone povere costrette a ricorrere al reddito di cittadinanza per vivere. In verità, se si scende nel profondo dei movimenti della società, l'obiettivo delle leggi razziali era sì l'isolamento e la persecuzione degli ebrei nella loro "fede" e "libertà" e "identità", ma anche (e soprattutto) il ridurli in povertà, vietando loro moltissime possibilità di attività; a quella povertà, imposta per legge, gli ebrei seppero resistere fino a commuovere oggi, appunto, la (nostra) Presidente del Consiglio. Costringere gli ebrei a un vita in clandestinità e in difficoltà economiche, ora si ammette, fu un tragico errore. Un'ignominia.

È lecito, quindi, stante l'improponibilità di un benché minimo paragone tra la sofferenza totale causata dalla discriminazione razziale e le ristrettezze causate dalla miseria, chiedersi: perché per la distruzione/riduzione del reddito di cittadinanza, che è comunque il togliere dalla povertà un sacco di persone indifese e con ogni sorta di difficoltà, anche personali, la Presidente del Consiglio non pratica la sensibilità propria di una "mamma" nella comprensione di quelle ristrettezze, anzi, al contrario, tenta di lastricare di odiosi ostacoli la strada verso l'uscita, appunto, con il reddito di cittadinanza, dalle sofferenze della povertà proprio delle persone bisognose d'aiuto? (Eppure rispondere ai bisogni degli ultimi è atto di civiltà.)

Forse perché la destra reazionaria, al di là della retorica del pentimento, è tutta invischiata in una cultura politica legata all'idea del "punire", attraverso un comando imperativo salvifico, "chi non ce la fa" e ritiene utile la strada  delle "umiliazioni" e dei "sacrifici" per l'uscita dalla povertà. A chi soffre si chiede "resilienza" perché ottenga comprensione. Esiste, permanente, una linea di continuità nel decidere norme per "fare soffrire" chi si trova in situazione di difficoltà per un qualche motivo. Sì, si tratta di un fare politica in "follia" (Conte). In fin dei conti, è la scelta di un odio di classe ideologico e per giunta infruttuoso, praticato senza sentire vergogna, anche da strani agitati "riformisti". Qui un'analisi documentata di tanto (inutile e dannoso) odio di classe.

E quanto è inopportuno e improduttivo e disumano porre tra le priorità della severità della legge il continuo andare a scovare i "furbetti" del reddito (cmq gente "povera" in più sensi), regalando alla grande evasione risorse umane e strumentali di indagine sempre più deboli e limitate.

Questa è la destra "moderna", sempre pronta a dare addosso a chi non ha difese e spesso esprime anche una "diversa" visione della vita. 

O no?

Severo Laleo


mercoledì 21 dicembre 2022

La cultura è (anche) mitezza

 Seguo con vivo interesse i "professori", quando, grazie alla loro scienza, insegnano contenuti utili a chi ascolta, svolgendo così un'opera civile meritoria; ma quando, senza scienza, giudicano, tra ironie e sarcasmi, le persone e non i fatti e/i comportamenti, non riesco più a seguirli. Mi piace credere che la cultura, quel mix tra scienza/conoscenza e coscienza, abbia nella mitezza un fondamento ineludibile, addirittura indispensabile per il dialogo in democrazia.

PS Scrivo "professori", perché il difetto è soprattutto maschile (anche tra i politici!).

giovedì 8 dicembre 2022

La "differenza" e La donna gelata di Annie Ernaux

Caro Scapece,


vedi? dopo “Memoria di Ragazza” sono di nuovo alle prese

con Annie Ernaux e la sua “La donna gelata”.

Che dire di primo acchito già a inizio lettura?

Si è di nuovo di fronte a un raccontare semplice,

senza sbalzi, proprio di chi segue in ordine le linee essenziali

delle cose, delle persone e delle sensazioni.

Un raccontare, potresti anche dire, almeno all'inizio, da lettera

di confessione di un’innamorata in prova a una persona

da amare, con tutto l’entusiasmo di chi vuol dire

le “sue” cose in "verità", eppure la narrazione, nel suo proseguire

inesorabile, scandita dai nuovi fatti di vita matrimoniale,

riesce a coinvolgerti e a tratti sembra assumere, in qualche modo,

i ritmi/toni dell’epopea (forse esagero un po'!), sia pure del vivere quotidiano.

La scrittura quindi ha sempre il suo fascino, e sempre il suo ritmo

fondato ora sul susseguirsi degli eventi ora sulle pause brevi,

acuminate a volte, comunque illuminanti delle riflessioni.

Il tema questa volta è semplicemente la “differenza” uomo/donna,

visibile soprattutto nel tran tran della vita in comune (non solo),

una differenza presente ab antiquo, ma impossibile da superare,

anche quando si riesce a prendere coscienza della sua reale esistenza,

ma la sua vischiosità è così penetrante da rendere inutile ogni tentativo 

di intessere nuove relazioni alla pari.

Proprio per la specificità del tema non poche volte si avverte,

a scapito dell’intensità soggettiva del racconto, il cedimento

al tasto della denuncia. E, quando questo avviene, ti sembra

di leggere solo un’analisi, lucida e partecipata, di una femminista

nella sua opera di disvelamento della realtà. Scrive A.Ernaux

Una conclusione cinica e razionale, è questo il matrimonio,

scegliere tra la depressione dell'uno o dell'altra, deprimerci

entrambi è uno spreco. Con altrettanta evidenza, il mio posto

è accanto al bambino e il suo al cinema, non è il contrario.”

Ti dirò, caro amico, nonostante il tema in sé si possa ritenere

difficile da gestire sul piano letterario, pur tuttavia quel saper

dire la “propria verità con turbamento ribelle e razionale,

dentro la ricerca di una radicata aspirazione alla “libertà”,

ancora non prevista da chi si trova intorno a te, dona alla scrittura

di A. Ernaux una sua coinvolgente gradevolezza.

Ciao Scapece, ora ti saluto, stammi bene e alla prossima,

il tuo Severo.


venerdì 25 novembre 2022

Antonello Caporale, Soumahoro, il diritto all’eleganza e il sorteggio

 


Oggi Antonello Caporale ha scritto sul Fatto Quotidiano,

con rammarico sincero e vivo, a partire dalla “carne” delle sue idee,

idee di sinistra, un lucido, condivisibile articolo sulla vicenda

Soumahoro, senza tuttavia “ripercorrerla” quella vicenda,

ma soffermandosi sul grave danno (“un proiettile al cuore)

portato alla sinistra dal suo apparire.

E aggiunge: “Questa vicenda ci punisce più di una sconfitta elettorale,

ci dice che le elezioni non sono il catalogo dal quale scegliere

il migliore di turno, il volto più telegenico, l’eloquio più emozionante,

il coraggio meglio esibito ma il saldo di cinque anni di lavoro,

magari oscuro ma pulito, sincero.”

Non si puo’ non essere d’accordo. 

E prima di tornare al punto (per una personalissima conclusione)

si concedano due riflessioni:

1. praticare le “idee” di sinistra non è facile senza aver interiorizzato,

con profonda e rigorosa consapevolezza, una visione della vita

(e insieme dell’agire verso il “prossimo”) fondata sull’idea dell’uguaglianza,

della democrazia di libere e incondizionabili istituzioni, della trasparenza,

della solidarietà, della parità assoluta uomini/donne (e Caporale

sembra voler stare dentro questa visione e sa e dice che la destra

non ha remore a vivere il suo essere di “destra”, anzi, esperta di come

va il mondo, invita, questa destra, a non farsi illusioni: il denaro tutto supera

e vince!);

2. immaginare una sinistra “minoritaria”, a causa di queste difficoltà

nel praticare idee di sinistra, è sbagliato, perché esiste una grande maggioranza

di persone, dai livelli culturali i più disparati, ma di solida coscienza etica,

magari sparse tra i diversi partiti e soprattutto tra i senza partito, in attesa

di una “rivoluzionenella direzione del primato della Politica 

e della sua “serietà” ideale e di vita. Una direzione si spera obbligata.

Soumahoro aveva aperto, proprio tra queste persone, una reale speranza

di cambiamento nel suo continuo porre l’attenzione sugli “ultimi

(e nella memoria di qualche anziano corrrevano le parole di E. Berlinguer!),

una speranza però caduta miseramente, soprattutto quando a sua difesa

-così si apprende incredibilmente dai giornali- ha voluto sostenere un inedito

diritto all’eleganza” solo per giustificare acquisti costosi!

(E dimentica colpevolmente quanto sia importante per l’eleganza in sé 

il suo imprenscindibile carico di delicatezza e mitezza.)

E torniamo al punto: l’affermazione “le elezioni non sono il catalogo

dal quale scegliere il migliore di turno ...” sembra, nell’esaminare la storia

recente, almeno dagli anni pre e post Tangentopoli, esprimere una verità

innegabile, solo se si enumerano le “personalità” salite al palco del successo

e del potere, grazie a gare vuote di Politica e di Etica Pubblica.

La retorica bugiarda e imbrogliona ha soppiantato l’argomentazione

informata, e il rito/circo mediatico ha soppiantato l’incontro con le persone,

specie là dove le persone sono sole e abbandonate. Per non dire dell’odio

abbondantemente sparso, solo al fine di raccattar consenso tra chi ha paura,

contro chi, a prescindere dalle cause, “non ce la puo’ fare,

Il nostro sistema di scelta di rappresentanti/amministratori/governanti”

è fallimentare; ognuno infatti puo’ scrivere il suo elenco di “improbabili”

personalità al potere tanto lungo, da poter facilmente arguire che con il sorteggio

non potrebbe statisticamente andar peggio. 

Con il sorteggio, i/le “leader” resteranno nei partiti a diffondere la bontà 

delle idee e di visione del mondo, a orientare le scelte della Politica, 

a raccogliere voti e seggi sui programmi, a dirigere una corale partecipazione 

nel costruire un consenso libero da legami personali, mentre nelle istituzioni 

andranno personalità sorteggiate, in pari numero uomini e donne, 

nel rispetto del risultato elettorale, da un elenco di candidate/i ad hoc preparato 

da ogni partito, nel rispetto di certi, definiti, condivisi criteri, 

a salvaguardia del buon agire di tutte/i nell’interesse pubblico.

O no?

Severo Laleo