sabato 25 ottobre 2014

La Leopolda ultima e la tradita ambizione



La Leopolda ultima, 2014, vista con occhi vispi leopoldini,
rapidi e intelligenti, sempre all’attacco, senza pause,
a galoppo verso il futuro con elegante veemenza,
segna per il leader e per i suoi seguaci
un’inversione di marcia.
Renzi, suo malgrado, torna indietro.
In qualche modo cambia verso.
E perde in novità di comunicazione
e in speranza di futuro. Tutto è già chiaro.

Il leader della Nazione è alla sua Stazione.
Per la prima volta l’ambizione illimitata
si chiude dentro il suo limite di conquista.
E si blocca. Non va avanti. Guarda sé stessa.
Non può più cambiare niente. Il cambiamento
è già avvenuto. Domina la celebrazione.
L’ambizione, tradita, non aspira più in alto,
perde la sua forza travolgente, nel bene e nel male,
e torna su se stessa. S’accascia.
E segna la fine corsa. Per assenza di mire.
E’ piena di sé, ignara e sorridente,
attenta al vestire, e non vede il solo cambiamento
necessario: il dovere sociale dell’equa distribuzione
della ricchezza. E delle povertà. Ma tant’è.

Forse sarebbero stati dell’ambizione più ferventi
fedeli i leopoldini se avessero convocato
tutti i democratici d’Europa, magari a Berlino.
Tanto per segnare altri traguardi.
E tenere altissima la foga dell’ambizione.
Chissà. Forse il prossimo anno.

O no?
Severo Laleo



mercoledì 22 ottobre 2014

L’efficienza del Governo in un Comunicato Stampa



  
Il Ministero dell'Economia e delle Finanze (MEF) pubblica
sul suo sito un Comunicato Stampa.
Ecco il testo.
Stampa 238 del 21 ottobre 2014
Il testo del disegno di legge di stabilità 2015,
corredato di relazione illustrativa,
è stato presentato
dal Ministero dell’economia e delle Finanze al Consiglio
dei ministri che lo ha discusso
il 15 ottobre,
approvandolo salvo ulteriore affinamento tecnico.

Completato l’affinamento,
il testo è stato messo definitivamente a punto
dal Gabinetto del Ministero dell’Economia e delle Finanze,
in stretta intesa con il Ministro per i Rapporti con il Parlamento
e con il Dipartimento degli affari giuridici e legislativi
della Presidenza del Consiglio,
e sono attualmente in fase di completamento
la relazione tecnica e le tabelle di accompagnamento.

In attesa della bollinatura,
prevista per domani, l’articolato legislativo
è stato anticipato al Quirinale.
Roma, 21 ottobre 2014

Perfetto. Nessun commento.
Sono sufficienti le sottolineature.
Di più. Il titolo del Comunicato Stampa
DDL Stabilità al Quirinale. Bollinatura completata domani
nasconde, forse, nel suo ambiguo desiderio di sintesi,
un’ansia da prestazione con annessa giustificazione,
ma svela insieme, senza dubbio, il ritmo reale
di questi ansimanti tempi di corsa. Per cambiare il Paese.

O no?

Severo Laleo

domenica 19 ottobre 2014

Scalfari, la politica politichese, e Landini



Ha ragione Scalfari, in Italia la “politica politichese
è sempre in attività. Anche quando avanza il nuovo.
Una volta un gran maestro di politica politichese era Bossi,
dalla ricetta sempre pronta e sicura. Rapido nel licenziare
anche un suo gran Consigliere. Fu il primo nuovo d’Italia.
Ma niente cambia nel bel Paese.
E i Bossi ogni tanto tornano. Più o meno furiosi.

In verità, al di là delle intenzioni, spesso ambigue,
nonostante la trasparenza, quando il nostro Premier
tratta con Berlusconi fa “politica politichese”,
al più alto grado, e l’intesa è perfetta. Tanto per i dettagli
si lascia la trattativa a un esperto di sola politica politichese,
il gran Verdini. E politica politichese incarna il Premier
quando tratta con Alfano, persino quando incontra
il Presidente della Repubblica (purtroppo); e ancora politica 
politichese maneggia, quando tratta con la Confindustria.
Addirittura, andando oltre Scalfari, il Premier trasforma
anche l’antipolitica in politica politichese. Almeno in Tv.
Quando non è possibile praticare la politica politichese
ecco nascere immediato il conflitto e diventa impossibile
il dialogo. Succede con i Sindacati, con il mite Bersani,  
con Cuperlo, già Presidente del Pd, con la Magistratura,
con il M5S, con gli altri Enti (Regioni, Province, Comuni),
in breve, con la struttura democratica del Paese.
Intanto la politica politichese vecchia o nuova sfibra il Paese.
Impedisce il pensiero collettivo e crea sudditanza.
Ma insieme genera, non si sa quando, ribellione.

E qui è il problema di fondo. Negli ultimi vent’anni
la struttura democratica e sociale del Paese ha subito
scossoni e arretramenti violenti dinanzi al procedere
senza freni di un’ideologia, sì, proprio così, di un’ideologia,
ma questa volta del capitale. Negli ultimi vent’anni
ogni ostacolo al libero prodursi della ricchezza è stato
abbattuto o dominato. I risultati sono noti. Almeno
nel nostro mondo occidentale. E non solo.
Dichiara ora la Presidente della Federal Reserve,
Janet Yellen: "Non e' un segreto che negli ultimi decenni
l'ampliamento della diseguaglianza si e' configurato con un aumento
dei guadagni e della ricchezza da parte di un ristretto numero
di persone e con livelli di vita stagnanti per la maggioranza
della popolazione". E preoccupata si chiede se “questo trend
sia compatibile con il grande valore che gli americani hanno 
tradizionalmente assegnato all'equità e alle opportunità”, e continua
le diseguaglianze di reddito e di ricchezza sono vicine
ai massimi degli ultimi cento anni". Questa è la rappresentazione
reale del processo di arricchimento/impoverimento delle persone.
Questa è la tendenza da invertire.

Ma la politica del nostro Governo è figlia di questo tempo,
e di questo tempo ha assorbito i miti, il verso, e le modalità
di azione. E quantunque il Premier nel suo Io possa desiderare
il cambiar verso, non può accorgersi, perché unto dal suo tempo,
di essere prigioniero di un’ideologia. Così, impossibilitato/inabile
a prendere le distanze dal suo mondo per meglio capire il trend
continua a dar man forte al processo già avviato di incremento
delle diseguaglianze. Senza inversione di sorta.

Spetta così a questo Governo, e al suo Premier, figlio di questo ventennio, 
ancora lottare convinto per il cambiamento
(di cui mai è stata esplicitata la direzione), mentre si trova
a facilitare un percorso già segnato da altri a danno esclusivo
del lavoro e di ogni libertà personale al lavoro legata.
Impegna tutte le sue forze questo nuovo Governo per sembrare
un gigante del cambiamento, ma diventa solo un obbediente
e ignaro esecutore di progetti in altre sedi già definiti.
Il traguardo è già segnato a sua insaputa: la riduzione
della democrazia delle persone a favore dell’accentramento
delle decisioni nell’oligarchia dei capitali. D’accordo Napolitano.
E la forbice tra la libertà dei possessori di ricchezza
e la schiavitù dei possessori di lavoro (quando c’è) cresce.

Forse è tempo di scendere in piazza con determinazione
per gridare la volontà di uscire dal trend delle diseguaglianze
e di rifiutare la schiavitù. Per noi e per ogni altra persona,
perché, a sentir Landini, “attraverso il lavoro le persone trovano
non solo i mezzi per sostentarsi, ma anche realizzazione e dignità”.

O no?

Severo Laleo

martedì 14 ottobre 2014

Verrà la rivoluzione e sarà precaria




Io.
Non voglio più scrivere all'antica.
Voglio seguire il mio tempo.
Il filo del discorso è un vecchio arnese.
Voglio parlare per tweet.
Io.
Semplici frasi solo per affermare.
E per esprimere osservazioni.
Io.

Un esempio.
I giovani son quasi tutti precari.
O fuori Paese. O disoccupati.
Non chi ha un papà importante.
I figli seguono i padri nella sofferenza
e non riescono a cambiare;
i figli seguono i padri nel lusso,
e non vogliono cambiare.
Ognuno ha la sua gleba in eredità.
Nel terzo millennio il merito è la propria gleba.
Il lavoro è spezzettato. E' rotto.
Offerto e trovato a caso. Nel dominio di altri.

Il linguaggio è un singhiozzo continuo.
Spezzato e imperativo.
Rabbioso e tifoso.
E ognuno è nel coro con la sua voce stonata.
Nel rumore continuo tutti sono uguali.
Tutti sono solisti. Senz'armonia.
Ognuno separato dagli altri.
La solitudine è insieme agli altri.

I salari sono scadenti. Miseri.
Il progetto di vita è negato ai più.
Ognuno è per sé. Senz'organizzazione.
Monadi, in viaggio continuo.
Pericolosa è la pausa, spinge a pensare.
E a incontrare la politica.
Si chiede trasparenza, ma le decisioni nascono
misteriose. E alla rinfusa. A segmenti.

Il futuro è incerto o negato.
E arriverà con una pensione inesistente.
Povertà sicura a fine vita,
con una sanità privatizzata.
La riduzione della libertà materiale e immateriale
di intere generazioni è garantita.
E questo è il solo cambiamento certo
già impresso nella struttura sociale.
E va bene a tutti, a tranquilli e agitati.

Che fare?
E' facile. Bisogna estendere la democrazia,
elencare tutti i diritti da tutelare,
e prendere il potere
e distribuire la ricchezza
e garantire a tutti esistenze benestanti.
Serve una rivoluzione. I precari sono stufi.
Hanno aperto gli occhi.
E Podemos e Syriza sono in ascolto e disponibili.

O no?

Severo Laleo

lunedì 13 ottobre 2014

Si va alla guerra. E’ tempo di mitezza



Una volta in Europa tra gli Stati c’era la guerra
a sancire irreparabilmente la fine del discorso politico
tra le parti. La causa finale: superare la “crisi economica”,
e in prospettiva avere il dominio nel mondo.
E l’ultima guerra è stata terribile.
Aveva anche il suo “capro espiatorio”, da sacrificare.
Una Nazione intera, cristiana, diventò una milizia,
al servizio di un Dittatore, volenterosa. Anche contro deboli
inermi. E il pensiero cristiano, civile, quotidiano, libero
e mite divenne un’eccezione. E un’eccezione fu,
in quei tempi di guerra, era l’estate del 1944, un semplice cappellano, 
sconosciuto, purtroppo ancora oggi, Hochstaedter (Goldhagen 1996).
 La sua lettera ai soldati è da leggere
nelle scuole. A futuro monito. Ma inascoltato fu il suo rifiuto
per l’odio, inascoltata la sua mitezza. Fine.
.............................
Oggi per fortuna la guerra non è più tra gli Stati in Europa.
La guerra oggi è spesso all’interno di ogni Nazione,
sempre a sancire la fine del discorso politico tra le parti.
Non solo in Italia. Ed è sempre per superare la “crisi economica”.
E in prospettiva dare al Paese una possibilità di diventare
faro nel mondo.
La guerra, a prescindere dalla parte, cela sempre un’ambizione tragica: 
vincere. Anche quando è Resistenza.
E nella guerra a pagare sono sempre i più deboli.
Perché la guerra ha sempre vincitori e vinti.
Che pari non sono.

Per l’Italia l’inizio della guerra interna è nella discesa in campo 
dell’imprenditore Berlusconitribuno dell’antipolitica.
Guerra totale. Contro i Partiti. Contro il “teatrino della Politica”.
Contro il Parlamento. Contro il Presidente
della Repubblica. Contro la Magistratura.
Contro la Corte Costituzionale. Per comandare da solo.
E s’inventa anche il capro espiatorio,
i comunisti, la sinistra, la scuola (sic!), i sindacati.

Il discorso politico tra le parti diventa inesistente,
crescono solo, grazie all’esempio del “ghe pensi mi“,
tanti Capi, d’ogni parte, piccoli e grandi, tutti suoi figli,
senza esclusioni, a prescindere dalle qualità personali,
tutti investiti di potere decisionale per volere
di un popolo sempre più assente.
E la sovranità, svuotata di partecipazione diffusa, può aprire
la strada alla limitazione dei diritti e al depotenziamento
della bilancia dei poteri prevista dalla nostra Costituzione.
E frantuma comunque la parità di dignità tra persone, negando al discorso 
politico la possibilità nuova di futura uguaglianza.  


E si va alla guerra ognuno con le sue truppe. Volenterose.
Il fine è già segnato: vincere, spianare o esser spianati
Per far subito e con chiarezza. E grazie a un Patto al Nazareno
il “sovversivismo delle classi dominanti” gode dell’appoggio
del campo dei dominati.
Il pensiero riflessivo, dialogico, democratico, tra persone alla pari, 
diventa un’eccezione. Dominano le milizie e i fedeli.
Forse per i miti è l’ora della riscossa, per l’estensione della democrazia 
quale “capacità di decidere tra tutti ciò che é di tutti
(Manifesto pro Podemos). Per una sovranità piena, conviviale.

Se non ora quando?
O no?

venerdì 10 ottobre 2014

L’appello dei Cento tra cipiglio e semplificazione fiscale





L’appello dei Cento, sulle pagine del Corriere, tra imprenditori 
e altri “semplici italiani”, non è tanto importante in sé e per sé
almeno dopo il 41%, vale a dire, non è tanto importante 
per il suo sostegno a “Matteo Renzi”, alla sua persona espressamente
(il titolo dell’appello è  chiarissimo: “Noi sosteniamo Matteo Renzi
e pare voglian dire  “Renzi e basta!” ), quanto per la qualità
del discorso politico a base dell’appello/sostegno.

Si legga insieme: “Matteo Renzi”  è da sostenere perché
ha “creato” un governo “con la decisione e il cipiglio
di una volontà giovanile che non cerca sconti né per sé
né per le scelte da affrontare”.
E questa sua “decisione” e questo suo “cipiglio” meritano
l’appoggio dei cittadini che si identificano con la sua volontà
di non mollare, di battersi e di cercare un futuro per l’Italia
e per i suoi giovani”.
Ma l’intenzione del “piccolo gesto” pubblico dell'appello
serve anche a “rompere il muro di silenzio (muro di silenzio? 
pare un po’ un’esagerazione) che ha avvolto il Presidente del Consiglio
dopo i duri attacchi di questi giorni”. Proprio così.

In altre parole
Renzi è da sostenere perché ha “decisione e cipiglio*”
Renzi merita appoggio perché si batte e “non molla
Renzi “cerca” un futuro per l’Italia
Renzi è avvolto da un “muro di silenzio

Indubbiamente, sul piano politico, è un appello nuovissimo,
mai sentito prima durante tutti gli anni di storia repubblicana.
Ed è un segno dei tempi, nel bene e nel male.
Se non esistono altre segrete ragioni, si può concludere:
in Italia, grazie al “cipiglio” e alla volontà di “non mollare,
insieme all’impegno a “cercare” un futuro, anche un socialista 
europeo, quale Renzi è, gode di un appoggio senza condizioni 
presso Cento imprenditori e “semplici cittadini”.
E’ un successo straordinario. E si spera non intempestivo.
Perché il nostro Presidente del Consiglio ha già twittato
il prossimo impegno per il futuro: la semplificazione fiscale.
E poiché è un socialista europeo, un leader forte del PSE,
è facile prevedere, sarà impegnato non solo a dare “un giro di vite
per gli imbroglioni del fisco”, e a inasprire i controlli,
e qui dovrà dare l'esempio, sui paradisi fiscali, ma saprà anche
indirizzare il suo governo a realizzare, attraverso la leva fiscale, 
finalmente la giustizia sociale, ridistribuendo,
con più equità rispetto a oggi, la ricchezza per non lasciare
indietro nessuno”. Anzi bisogna pure recuperare,
sia perché chi era indietro è stato, almeno finora,
respinto ancora più indietro; sia perché chi dall'Italia 
si  è rifugiato all'estero per non pagare le tasse nel proprio Paese 
non sia elogiato fino a rappresentare un esempio.
Solo allora i Cento, da patrioti responsabili, quando saranno
chiamati a dare un più equo e sostanzioso contributo
fiscale per il bene comune, e a ridurre con più giustizia
la forbice tra chi ha e chi non ha, vestiranno l'appello 
di un più concreto e tangibile consenso, oltre la persona.
Altrimenti l’appoggio incondizionato al cipiglio di oggi
è solo un abbaglio.

O no?
Severo Laleo 


*In verità il cipiglio di Renzi non è un cipiglio all’antica, non è mai torvo,
severo o corrucciato, al contrario, è un nuovo cipiglio, è sempre ilare
e sorridente anche quando minaccia e spiana.

mercoledì 8 ottobre 2014

Palazzo Chigi inventa il voto di fiducia a futura "direzione"



Si legge sul Corriere.it: A proposito dell’articolo 18 - questione 
chiave delle ultime settimane - e del dubbio se fosse incluso o meno 
nella fiducia, perché non esplicitamente citato nel testo 
dell’emendamentoPalazzo Chigi ha inviato una nota di chiarimento
«Il voto riguarda evidentemente l’articolo 18. La delega - si osserva - 
attribuisce al Governo il dovere (sic!) di superare l’attuale sistema 
e il presidente del Consiglio ha indicato con chiarezza (sic!) 
la direzione (perché non verso?)». Per la precisione
pur senza nominare esplicitamente l’articolo 18
nel testo su cui si pone la fiducia è scritto 
che all'esecutivo è affidato il compito di «razionalizzare 
e semplificare delle procedure, anche mediante abrogazione 
di norme, connessi con la costituzione e la gestione 
dei rapporti di lavoro”.  Adesso è chiaro. Anche se intraducibile ... 
in inglese!

E così il Senato, anzi i senatori del Partito Democratico, tutti 
con il marchio del Socialismo Europeo, votano la fiducia 
al Governo dopo aver letto (?) un emendamento nel quale l’art.18 
non è mai espressamente citato, e comunque si impegnano, 
e sicuramente non in nome del corpo elettorale di riferimento, 
ad affidare la “direzione” della delega al Presidente del Consiglio 
secondo una sua “nota di chiarimento”. 
Nasce il voto di fiducia a futura "direzione". E, a chi esprime dissenso, 
il Presidente del Consiglio, con l’eleganza della politica nuova, 
risponde: “Non mollo di un centimetro”, utilizzando, con nuovo imbroglio, 
le tristi parole dell’uomo forte di ogni tempo quando la politica 
non è discorso pubblico di una comunità, ma voto di sudditi. 

Nessun dubbio, dunque: è davvero nuovo  e creativo questo Governo,
se riesce a inventare anche la “fiducia a futura direzione”.
E non è solo il Senato e i socialisti senatori di ogni età e genere 
a correre con affanno e senza giustificazione politica e etica
dietro il caos normativo da invenzione sul momento, 
ma è anche l’ottimo (ancora?)  Presidente della Repubblica.
Il colpo, aggiungerà domani una “nota di chiarimento”, è inferto 
anche alla sua Alta Carica di Garanzia. Per un nuovo verso.

O no?
Severo Laleo





sabato 4 ottobre 2014

Una sensata proposta di pace dalla Svezia



Il Premier socialdemocratico di Svezia, Stefan Loefven,
nel discorso di presentazione del suo programma di governo
in Parlamento,  ha indicato una via, la più sensata,
per la condivisione della pace nel Medio Oriente.
Nel rispetto di una tradizione storica di attenzione fattiva
e di sostegno per la libertà, la dignità e i diritti umani
di ogni popolo, Loefven ha dichiarato: “Una soluzione
a due stati suppone un riconoscimento reciproco
e la volontà di una coesistenza pacifica.
Ecco perché la Svezia riconoscerà lo Stato della Palestina”.

Sensata motivazione. Forse è difficile dargli torto.

O no?

Severo Laleo

Oggi, 14 Ottobre, si può leggere sul Corriere
"Questa Camera [dei Comuni] ritiene che il governo debba 
riconoscere lo Stato di Palestina accanto allo Stato d’Israele". 
Sarà anche una mozione non vincolante per Downing Street 
e per il Foreign Office, ma indica ancora una volta una direzione 
sensata,  tanto più sensata in quanto a votarla non sono 
solo i Laburisti, non senza qualche difficoltà al loro interno,
ma anche i conservatori e i liberaldemocratici. 


venerdì 3 ottobre 2014

Francesco è più a “sinistra” del Pd di Boschi




Rispondendo, qualche giorno fa, a un’ultima domanda
del conduttore di Ballarò sull’essere/sentirsi di “sinistra”,
la Ministra Boschi, sicura e senza esitare ha risposto:
Mi considero di sinistra. I valori della sinistra di oggi sono
quelli del cambiamento. Essere di sinistra significa non tanto 
essere custodi del passato ma anticipare e costruire il futuro
quindi essere riformisti. Cercare di impegnarsi in politica
per rendere la vita un po' migliore per tutti, dare veramente 
attuazione all'articolo 3 della nostra Costituzione”.

Anche se dare attuazione all’art. 3 della nostra Costituzione
non può essere un impegno solo della “sinistra”, ma di tutti,
appunto per dovere costituzionale, la Ministra,
nel definire un valore in sé e per sé il cambiamento/futuro,
senza aggiungere altre qualità ripetendo un motivo
caro ai nuovi dirigenti del Pd, mostra un invidiabile
convincimento, senza ironia, davvero, del suo essere,
così, come dire, un po’ genericamente di “sinistra”.
Forse anche per la brevità nel rispondere.
Non sembri dunque il giudizio irrispettoso: in un paese civile
il rispetto non deve mai venir meno per il semplice fatto
di avere della “sinistra” (e di altro) una diversa opinione.
O un diverso sentire. O un diverso linguaggio
e insieme un diverso mondo. I tempi cambiano comunque,
e non è nelle nostre disponibilità fermare il cambiamento.

La generazione delle madri e dei padri dei quarantenni
di “sinistra” di oggi, a suo tempo, sul finir degli anni 60,
fu ribelle e a suo modo rivoluzionaria, a volte molto
noiosamente, e fu sconfitta, sempre, nell’agone del Potere,
per colpa forse di un’opzione di forte soggettività critica,
propria da ribelli dell’immaginazione, anche se nella struttura
profonda della Società lasciò un segno permanente.

Ed ebbe quella generazione il suo mondo e il suo linguaggio
di “sinistra” . E per una stagione fu anche catturata dalla questione morale 
(e democratica) di Enrico Berlinguer.
Ma oggi quel mondo/linguaggio è fuori tempo. Incompatibile
con la nuova “sinistra” al Potere. Quasi anacronistico. E qualcuno, 
più moderno, potrebbe aggiungere, un mondo/linguaggio malato
di ideologia, soprattutto con quelle sue parole grosse, obsolete,
non più in circolazione, di libertà, dignità, sfruttamento, 
uguaglianza/disuguaglianze, ultimi/poveri, povertà,
giustizia sociale, partecipazione.

Eppure, solo ieri, 2 ottobre, il Papa Francesco nel suo discorso
al Consiglio della Giustizia e della Pace non ha avuto difficoltà
a usare le parole di una volta per proporre il suo cambiamento
e la sua nuova speranza di futuro.
Per Francescouno degli aspetti dell’odierno sistema economico
è lo sfruttamento dello squilibrio internazionale nei costi
del lavoro, che fa leva su miliardi di persone che vivono con meno
di due dollari al giorno. Un tale squilibrio non solo non rispetta la dignità 
di coloro che alimentano la manodopera a basso prezzo, ma distrugge 
fonti di lavoro in quelle regioni in cui esso è maggiormente tutelato.
Si pone qui il problema di creare meccanismi di tutela dei diritti
del lavoro … La crescita delle diseguaglianze e delle povertà mettono
a rischio la democrazia inclusiva e partecipativa... Si tratta, allora,
di vincere le cause strutturali delle diseguaglianze e della povertà. …
lo Stato di diritto sociale non va smantellato ed in particolare 
il diritto fondamentale al lavoro. Questo non può essere considerato
una variabile dipendente dai mercati finanziari e monetari.
Esso è un bene fondamentale rispetto alla dignità ...” 
E più avanti si trovano: “giusta distribuzione dei beni … 
raggiungimento della giustizia sociale … Visioni che pretendono
di aumentare la redditività, a costo della restrizione del mercato
del lavoro che crea nuovi esclusi, non sono conformi ad una economia
a servizio dell’uomo e del bene comune, ad una democrazia inclusiva
e partecipativa.. … è necessario tenere viva la preoccupazione
per i poveri e la giustizia sociale”.

Forse non c’è proprio da vergognarsi se si continua a tener viva
anche una vecchia idea di “sinistra”.

O no?
Severo Laleo

P.S.
Titolo “La Stampa”: Il cardinale Rodé: «Il Papa è troppo di sinistra». Già!




giovedì 2 ottobre 2014

Il futuro è la libertà di licenziare (d’accordo il vecchio Caltagirone)



La CARTA DEI DIRITTI FONDAMENTALI DELL'UNIONE EUROPEA 
è stata approvata, pur riprendendo e adattando la Carta già proclamata 
nel dicembre del 2000, solo quattro anni fa. Nel 2010. Non è ancora vecchia.
Eppure non appare nelle nostre discussioni sulla riforma del lavoro
e sull’art. 18, anche se l’Italia è tra i Paesi fondatori dell’Europa.

Il nostro Premier (nel suo ruolo di avamposto rivoluzionario), socialista 
europeo, continua a battersi, senza argomentare e spiegare,  per la certa
libertà dell’imprenditore di poter licenziare”; e aggiunge, per evitare 
di non essere compreso, una precisazione: ”l’art.18 per gli imprenditori 
è una mancanza di libertà”. 
E subito ottiene, il socialista europeo, il plauso da robusti esponenti
dei “poteri forti” (per fortuna anche di Caltagirone).
E conseguentemente, al di là delle annunciate, e non ancora definite, 
tutele venture per i lavoratori -della cui libertà nessuno pare interessato 
in questi nuovi tempi di rivoluzioni- è difficile dubitare da che parte 
si sia accomodato il Premier.
Sicuramente con il nuovo e con il futuro. E con Caltagirone.

Ma al di là del gioco polemico, se si interiorizzano almeno tre degli articoli 
della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, forse il dibattito 
potrebbe giungere a più moderni e nuovi risultati. Per il bene di tutti.

 L’articolo 16 della Carta (Libertà d'impresa) recita: “È riconosciuta 
la libertà d'impresa, conformemente al diritto dell'Unione e alle legislazioni 
e prassi nazionali”.
Chiarissimo: la libertà dell’imprenditore, e si potrebbe dire
di chiunque altro, ha sempre i suoi limiti; in questo caso, nel diritto dell’Unione
(per noi, utilizzatori di lavoro nero, è quasi una fortuna) e nelle legislazioni 
e prassi nazionali; in ogni caso non può dirsi libertà  la “licenza” di ledere 
la libertà altrui, mai (e i socialisti credo sperino in un’estensione del principio 
dappertutto nel mondo).

L’articolo 30 della Carta (Tutela in caso di licenziamento ingiustificato) recita: 
Ogni lavoratore ha il diritto alla tutela contro ogni licenziamento ingiustificato, 
conformemente al diritto dell'Unione e alle legislazioni e prassi nazionali”.
Chiarissimo: ogni lavoratore (e non questo sì e l’altro no),
ogni lavoratore, senza eccezioni, ha diritto alla tutela, e non domani, ma subito,
sin dall’inizio del rapporto di lavoro, contro ogni licenziamento ingiustificato.

Forse è dovere dei governanti, al termine di un ampio dibattito,
e nel solco -soprattutto se i governanti si sentono “riformisti”-
di un cammino di civilizzazione della società, sia riempire
di senso il diritto alla “tutela”, nel rispetto dell’art. 1 della Carta
(La dignità umana è inviolabile. Essa deve essere rispettata
e tutelata), sia definire precisi contorni per l’area
dell’ “ingiustificato licenziamento”.

O no?

Severo Laleo

martedì 30 settembre 2014

Se è (stato) possibile, una ragione c’è



Noi italiani siamo creativi, si sa. In ogni campo.
E inventare il “nuovo”, con una appassionante ammuina
e confusione di percorsi, è sempre stata la nostra forza. 
E la nostra speranza. In una parola il nostro successo.
E rovina.

Nella moda siamo (stati) giganti: il “nuovo” era spesso
italiano. Almeno così si è sempre creduto.
E non da meno siamo stati nell’arte della politica;
l’abbiamo inventata con Machiavelli, ed era scienza, 
ma proprietari siam diventati del marchio del Fascismo
la dittatura all’italiana. E del marchio abbiamo avuto persino imitatori.
In verità fu Mussolini, da socialista, a inventare il Fascismo.
E insieme la rivoluzione fascista. Tutto nuovo
Gli italiani acclamarono soltanto, almeno sino a quando
trovarono convenienza. Anche gli intellettuali giurarono
nelle Università, con qualche, per fortuna, rifiuto,
grazie al quale s’è tenuta viva la lucerna della dignità.
Un grande dono del coerente resistere di una minoranza.

Nel campo delle rivoluzioni poi siamo maestri:
la più vicina a noi è stata la “rivoluzione liberale”,
quella targata Berlusconi, gran maestro e gran caposcuola,
già sostenitore del socialismo italiano.
I risultati sono noti a tutti. E ancora hanno effetti. 
Addirittura oggi in corso non c’è solo una rivoluzione;
si contano rivoluzioni a bizzeffe in ogni settore della vita sociale
e politica, soprattutto grazie all’accordo privato tra Renzi,
il socialista europeo, e Berlusconi, il gran maestro, oggi espulso
dal Senato per indegnità. E i risultati, già annunciati,
saranno presto noti. Anzi, la nuova rivoluzione socialista
(il Pd è parte forte del PSE), ad esempio, nel campo della riforma lavoro, 
a breve abolirà l’art. 18 e il suo simbolo, senza tempo,
di dignità della persona, non prigioniera di un contesto storico.
E l’argomentazione convincente è già nota, più o meno: l’art. 18
ha quaranta anni e più, è vecchio, ha fatto il suo tempo,
oggi è inutile, frena la velocità della crescita, blocca l’occupazione
e gli investimenti, riguarda un numero esiguo di lavoratori,
è causa di divisione tra lavoratori di serie A e di serie B
(il calcio continua a essere un must nella conversazione politica,
anche in questa nuova partita!), e, per finire, lascia nelle mani
dei giudici la strategia imprenditoriale (sic!). Argomenti tutti
con il timbro del “nuovo”. Che dire!
  
Ma perché la retorica della rivoluzione/cambiamento
è oggi così tanto diffusa e praticata, a destra e a sinistra,
da fare invidia persino agli irriducibili veterani del ’68, 
rivoluzionari senza potere? Anche se grazie a quel ’68
la società tutta subì una trasformazione culturale reale. 
Forse il vero spartiacque tra i due periodi della nostra breve
storia repubblicana, al di là dell’89, non è stato il dramma
di tangentopoli (evento per gli opportunisti sempre all’erta),
ma la caduta della tensione pedagogica dell’antifascismo,
nel senso universale e non semplicemente storico del termine.
La caduta della tensione democratica antifascista
il vero forte collante per una democrazia dei Partiti, 
e insieme l’insostenibile prassi affaristica del finanziamento 
proprio di quei Partiti, favorirono l’ascesa politica di figure 
dell’antipolitica dal “carisma” (in verità carisma è termine improprio) 
popolare e segnarono una rottura con il passato, con la complicità 
di un intero Paese completamente privo di cultura liberale. 
E di educazione civica. Anche per colpa della scuola. Solo un dato: 
se si analizzano le mille pagine della storia del pensiero del '900 
di uno dei testi più diffusi nei licei italiani, si trova il liberale Gobetti
nelle mille pagine, citato una sola volta, e solo nel titolo di un libro!
I popoli senza cultura liberale sono ancora nel guado,
si arrabbiano tanto, ma presto si innamorano dei “capi”.

E questi “capi”, figli delle crisi, hanno un solo metodo per gestire
la rabbia: la retorica nazionale (o antinazionale e localistica),  
e insieme l’individuazione di un nemico, di un bersaglio, 
anche solo di nome, magari immaginario. Sono gli ingredienti 
sempre presenti nella pentola delle nostrane rivoluzioni.
E i capi stessi di queste rivoluzioni sono sempre stati uomini 
(anche nel senso di “maschi” forti e decisi, duri, non abituati a mollare!) 
abili agitatori di popolo. E di interessi altri. Antipolitica vera.

Bossi, il primo “nuovo”, dopo l’era dell’arco costituzionale,
inventò  la Padania contro Roma Ladrona. Ed ebbe successo 
incredibile. Anche con l’ampolla del Po tra le mani nuovo simbolo 
per il salto verso una nuova era per i suoi proseliti.
Padani soprattutto. Che dire! La sua antipolitica colpiva al cuore
la bandiera italiana.

Berlusconi, l’altro “nuovo”, inventò l’entusiasmo nazionale
di “Forza Italia” contro i “Comunisti” impegnati  a “prendere
il potere nella scuola, nell’università, nei giornali e nella giustizia”.
Ed ebbe successo incredibile. Anche con la nipote di Mubarack 
nelle sue stanze. Che dire! La sua antipolitica colpiva al cuore
i mestieranti della politica (perché non hanno mai lavorato).

Grillo, il “nuovo” urlante nelle piazze, già aspirante, scartato,
alla carica di Segretario del Pd, inventò il Vaffa, metodo per eccellenza 
per guidare la rabbia contro la politica, e il conseguente rifiuto 
di ogni dialogo politico. Ed ebbe successo incredibile.
Anche quando flirta con Farage. Che dire! La sua antipolitica
colpiva al cuore, senza distinzione tra persone e istituzioni,
la Casta Politica.

Renzi, il “nuovo” ultimo, inventò la Rottamazione contro la vecchia 
guardia e il MonologoFiloDiretto con il popolo. E il decisionismo “violento” 
contro ogni ostacolo/rivale (solo Letta? E i sindacati?
E la magistratura? E i costituzionalisti? E i professoroni?
E i lavoratori di seria A?), ma sempre con un occhio di riguardo, 
continuo e durevole, per i suoi sodali e “maestri” per eccellenza.
Tanto la gente è con me”. E torna la gente!
Il tutto ancora con una nuova retorica nazionale: il popolo italiano
è il migliore dei popoli, è un popolo di grandi energie e creatività, 
già pronto a guidare/cambiare l’Europa. Ed ebbe successo incredibile. 
Ripetuto. Anche se stringe patti con il Grande Frodatore
del Fisco Italiano. Che dire! La sua antipolitica colpisce al cuore, 
dall’interno, la storia del suo Partito.

Ma perché il popolo italiano è sempre pronto a seguire
chi ha il piglio forte del “comandante” e spregia chi la mitezza
paziente del “servitore”? Forse la nostra facilità di infatuazione 
per un “capo” è sostenuta dalla nostra pigrizia mentale, 
da un’assenza di responsabilità civile partecipativa, 
da un difetto di cultura liberale, da una consuetudine 
all’arrangiarsi, in una parola da un endemico “illiberalismo”.

Per fortuna, a tener viva la lucerna del pensiero critico
e indipendente e della partecipazione paritaria in carne ed ossa
delle persone alla vita democratica del Paese, c’è il popolo
dei referendum, e il ricordo corre al 13 Giugno 2011,
quando un popolo libero e gioioso, a domande precise,
rispose con riflessione, e senza rabbia contro un nemico,
con la propria testa di persona senza orgoglio nazionale,
per il cambiamento reale, tetragono a qualsiasi invito 
di qualche “capo”  ad andare al mare. 

 O no?
Severo Laleo 

P.S. Esiste un’abitudine linguistica, sicuramente nel Sud, di antica origine e colta, quando si parla di un’autorità, 
di un “capo”, seguito dai suoi fedelissimi (per i quali, chissà perché, funziona sempre, il senno del poi!); quel Capo
secondo quell’abitudine linguistica- perde l’identità e diventa un’immagine astratta, anche se visibile,
di una modalità di gestione/direzione, uguale in ogni luogo e tempo, e non ha più un nome e un cognome, 
diventa semplicemente “Is(so)”. Così nel dialogo tra i seguaci/dipendenti/soci, se un ultimo arrivato,
ingenuo e voglioso di capire, chiede: “Perché si deve fare così?”, il fedelissimo convinto (forse) risponde: 
L’ha detto “issoE il discorso non va avanti, non cresce e si chiude,  spesso con rassegnata saggezza, 
perché, si sa, tanto non cambiaSuccede sempre così!