Caro
Scapece,
questa
volta ti propongo una riflessione pesante: riguarda il suicidio.
Già
so la tua reazione. Non ti preoccupare, puoi anche non rispondermi,
rispetto
molto il tuo sforzo di voler gestire le tue letture e i tuoi pensieri
senza
inutili turbamenti e con animo sereno e leggero.
Perciò
leggi pure con un distacco a tua misura questa mia lettera.
In
particolare, la mia riflessione riguarda il suicidio premeditato,
il
suicidio cioè che non scaturisce da situazioni di insopportabile
sofferenza
e
disagio, ma, come dire, da una scelta di vita. Una scelta di
“riduzione” della vita.
Sì,
perché Paul Lafargue, il suicida, non è un malinconico
lagnoso
e
depresso, pieno di tutti i mali, ma un giovanotto di sessantanove
anni
ancora
arzillo, pieno di vita e di progetti e corrisposto in amore
da
un’intelligente donna, di sessantasei anni, Laura, figlia di
Karl Marx.
Anche
Laura muore suicida, ma di lei non si parla quasi mai;
Lafargue
stesso, nella biglietto lasciato a giustificazione del suo gesto,
non
ha una parola per la sua compagna di una vita: mistero,
o
semplicemente il solito ego “eroico” maschilista. (Lafargue
muore
per
seguire una “sua teoria”, Laura, forse, per seguire il
“suo uomo”
anche
nella morte.) La differenza è da registrare, anche al fine di
comprendere
i
diversi “eroismi”.
E
leggiamo questo biglietto. Scrive Lafargue:
“Sano
di corpo e di mente, mi uccido prima che la vecchiaia impietosa,
che
mi tolse a uno a uno i piaceri e le gioie dell'esistenza
e
che mi spogliò delle risorse fisiche e intellettuali,
non
paralizzi la mia energia e non spezzi la mia volontà
facendomi
divenire un peso per me stesso e per gli altri.
Da
molto tempo mi sono ripromesso di non superare i settanta anni.”
Ecco
il lucido timore (e insieme constatazione) di Lafargue:
diventare un “peso” per sé e per gli altri,
per colpa dell'impietosa devastante vecchiaia.
diventare un “peso” per sé e per gli altri,
per colpa dell'impietosa devastante vecchiaia.
Ora
se la scelta personale non può essere giudicata,
al
contrario il ragionamento merita una risposta.
Basta,
per chiudere con la vita, per uscir di vita,
il
semplice diventare un “peso” per sé e per gli altri?
O forse ai vecchi incombe un altro dovere,
quello di saper “fare il vecchio”,
di "saper essere vecchio” sul serio?*
quello di saper “fare il vecchio”,
di "saper essere vecchio” sul serio?*
Il
biglietto comunque si chiude con un grido di gioia e vitalità:
“Muoio
con la suprema gioia della certezza che, in un prossimo futuro,
la
causa alla quale mi sono votato da quarantacinque anni
trionferà.
Viva il Comunismo.Viva il Socialismo Internazionale!”
Viva il Comunismo.Viva il Socialismo Internazionale!”
Vabbuò,
ja!
O
no?
Severo
Laleo