giovedì 22 settembre 2011

Oh! Per la Lega dei Bossi, il “Popolo è sovrano”


.
Il botta e risposta tra il nostro carissimo Presidente della Repubblica 
Giorgio Napolitano
e il loro, sempre brillante, capogruppo leghista alla Camera,  
 R.a.gazzoni,
è tutto in queste parole.
Per il carissimo nostro Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano:
“Agitare ancora la bandiera della secessione significa 
porsi fuori dalla storia e dalla realtà”;
per il loro, sempre brillante, capogruppo leghista alla Camera, R.a.gazzoni:
“Il Popolo è sovrano ed è unica figura sopra il Capo dello Stato”.
Il popolo è l’unica figura sopra il Capo dello Stato?
Figura? Unica? Sopra?
E’ proprio vero,  i leghisti dei Bossi parlano ormai un’altra lingua.
E hanno altri Verbi!
O no?
Severo Laleo

La fine dei Boss.i

 E la Lega dei Boss.i  della Padania,
dopo aver scoperto  la sovranità del  Popolo,
scende in campo a difendere i traffici del Milanese,
salva  il governo di Roma Ladrona,
e s’affossa. Per sempre.
O no?
Severo Laleo

mercoledì 21 settembre 2011

Una classe dirigente “uccisa” dal danarismo avvilente


Trovo, e mi piace trascriverla, la seguente citazione in un articolo
di Barbara Spinelli su La Repubblica del 21 Settembre.
Diceva Ilario di Poitiers all'imperatore Costanzo, nel IV secolo dC:
"Noi non abbiamo più un imperatore anticristiano che ci perseguita,
ma dobbiamo lottare contro un persecutore ancora più insidioso,
un nemico che lusinga;
non ci flagella la schiena ma ci accarezza il ventre;
non ci confisca i beni (dandoci così la vita), ma ci arricchisce per darci la morte;
non ci spinge verso la libertà mettendoci in carcere,
ma verso la schiavitù invitandoci e onorandoci nel palazzo;
non ci colpisce il corpo, ma prende possesso del cuore;
non ci taglia la testa con la spada, ma ci uccide l'anima con il denaro".
....
Forse un moderno Stato, a civilizzazione avanzata,  dovrà  porre,
con strumenti fiscali e interventi di solidarietà sociale,
sia un limite alla ricchezza, sia un limite alla povertà.
O no?
Severo Laleo

martedì 20 settembre 2011

Il gentiluomo cattolico, garbato e colto, Gianni Letta e il limite



Il gentiluomo cattolico, garbato e colto, Gianni Letta,
anche se non ha mai militato nei partiti inventati dall’estro pubblicitario,
e padronale, di Silvio Berlusconi,  è sempre stato, comunque, 
tra i suoi più fidati collaboratori. Con il gran pregio della discrezione.
Sino a meritare, nelle intenzioni del suo amico, già suo datore di lavoro,
la candidatura alla Presidenza della Repubblica.
E, indubbiamente, il dott. Letta, tra gli uomini di centro destra, 
pare l’aspirante preferibile. E ben presentabile.
Ora è anche uomo di Stato. Ed è a un bivio, 
anzi alla svolta decisiva della sua vita di servitore della Repubblica,
al tempo dell’esame del  suo “limite”, oltre il quale non può andare.
I giornali raccontano in queste ore, a dovizia, 
delle “amicizie” inquietanti di Silvio Berlusconi,
dei suoi comportamenti oltre misura, 
dell’inopportunità della sua permanenza al Governo.
Tutto è sotto gli occhi attenti (e si spera, civili) di tutti.
Gianni Letta è amico di Silvio Berlusconi, del Premier.   
Ed è anche il suo Sottosegretario;
amante dei classici, liberale moderato, sa bene 
che l’amicizia può darsi solo tra persone virtuose.
Se sceglie di continuare ancora a seguire l’amico da Sottosegretario,
rischierà, complice delle sue amicizie, di non poter più essere libero 
nelle sue funzioni di uomo di Stato;
al contrario, se sceglierà di dimettersi,  potrà lavorare, da amico, 
al recupero delle “virtù”, e avrà dimostrato di saper svolgere, senza condizionamenti,  
 il suo servizio per la Repubblica.
O no?
Severo Laleo

lunedì 19 settembre 2011

Così fan tutt...i. Anche l'amico Letta?


Il Premier continua a protestare la propria innocenza
(«io non ho commesso nessun reato»),
e a sostenere la "bontà" dei suoi "innamoramenti" sessuali,
convinto di avere dalla sua parte tutti gli italiani maschi,
sia perché complici, ridenti e vocianti,
al minimo ammiccamento sexpiccante del Capo
(quanti applausi del resto hanno conquistato le sue battute 
al maschio sanguigno e bavoso),
sia perché "invidiosi" (ora anche il giovin Calderoli) assaporano il sogno, 
dal Capo realizzato, di "farsi"
(le parole sono segni pesanti di cultura, sempre, anche per telefono!)
donne giovani, belle, disponibili, allegre.
E insiste: "A chi non piacerebbe «una come la Arcuri»?"
Non riesce a comprendere altra modalità di rapporto uomo/donna.
E', forse, anche il gentiluomo Gianni Letta maschio di tal fatta?
Se no, quali consigli da amico sul punto è riuscito a dare finora?
E con quali risultati? E quali altri consigli, darà, ora, a parole e a gesti, 
per aiutare l'amico? Salvare un amico malato è roba da amici.
E di questo bisogna avvertire, insieme ad altri, anche Alfano.
O no?
Severo Laleo
P.S. Poiché tutto il Berlusconi politico, nel bene e nel male, 
ormai è chiaro a tutti, affoga nella sua malattia, è bene tacciano, per il futuro, 
i commenti al suo agire. Chi è malato ha solo bisogno di aiuto, 
è nel suo diritto, chiunque sia.

Non un euro per stipendiare il ministro Bossi.


Caro Presidente Napolitano,
il Capo della Lega, Umberto Bossi, da ministro, ancora una volta,  
e non è più per un caso, insiste sulla secessione della Padania (sic!),
in un pubblico discorso a Venezia.
Eppure ha giurato, da ministro scelto dal Premier  Berlusconi, nelle Sue mani,
leggendo  la formula di rito:
"Giuro di essere fedele alla Repubblica,
di osservarne lealmente la Costituzione e le leggi
e di esercitare le mie funzioni nell'interesse esclusivo della nazione".
Il ministro Bossi, quindi, conosce bene, per giuramento, 
il senso delle parole (Repubblica, Costituzione, Leggi, Nazione),
e non può, senza grave colpa, incitare alla secessione,
tradendo,  appunto,  il suo impegno di ministro:
1.di essere fedele alla  Repubblica
2.di osservarne lealmente la Costituzione e le leggi
3.di esercitare le sue funzioni nell'interesse esclusivo della nazione.
Il ministro Bossi non può, per interessi di parte, ignorare il giuramento.
La mia qualità di cittadino italiano, caro Presidente,  è piena e vera,
solo se ho facoltà di chiedere a Lei un Suo intervento 
autorevole e di definitivo chiarimento 
(il ministro Bossi ha giurato nelle Sue –e quindi Nostre- mani!).
Altrimenti qual è il senso (e il rispetto) della Sua esortazione all’Unità del Paese,
in una situazione di tanta emergenza economica, se un ministro,
per salvare una parte,  minaccia l’intera Unità dell’Italia?
Tra l’altro, in questa situazione,  non ho più alcuna intenzione 
di versare un euro di tassa  per pagare il lauto stipendio di un ministro, 
in quanto  incita alla secessione,
spergiuro e traditore (furbo) dell’Unità d’Italia.
O no?
Severo Laleo
P.S. Perché non tratteniamo la nostra quota percentuale di Irpef, utilizzata per pagare gli stipendi ai politici secessionisti leghisti, presenti  nelle Istituzioni dello Stato, per versarla a un’ONG internazionale?

domenica 18 settembre 2011

Dag Hammarskjöld: la probità della Politica


Da un articolo di Giovanni Zagni su IL POST.
“ Il 18 settembre 1961, cinquant’anni fa, l’aereo che trasportava l’allora segretario generale delle Nazioni Unite Dag Hammarskjöld e altre quindici persone si schiantò vicino a Ndola, una delle città più grandi della Rhodesia del Nord (oggi Zambia). Lo svedese Dag Hammarskjöld fu il secondo segretario delle Nazioni Unite, in carica per due mandati consecutivi dal 1953 al 1961. Il suo operato come uomo politico, le circostanze sospette dell’incidente aereo in cui morì e la sua profonda spiritualità, che divenne nota al grande pubblico solo dopo la sua morte, lo resero una figura molto conosciuta e un simbolo dell’uomo di Stato che si mette al servizio totale della comunità fino alla morte.
Dag Hammarskjöld nacque nel 1905 a Jönköping, una città della Svezia meridionale. Era l’ultimo di quattro fratelli e apparteneva a una famiglia ricca: come ricorda lui stesso, da parte di padre discendeva da diverse generazioni di funzionari pubblici e militari, al servizio del re di Svezia fin dal sedicesimo secolo. Lo stesso cognome di famiglia sarebbe nato quando il re concesse uno stemma con un martello (hammare) e uno scudo (sköld) ai progenitori di Dag. Da parte materna invece discendeva da studiosi e pastori luterani. In un certo senso, le sue origini spiegano già molto di Hammarskjöld:
il suo fortissimo spirito di servizio e di sacrificio,
la consapevolezza di sé e della propria missione,
l’intensa religiosità”...

Purtroppo, la moltitudine dei nostri uomini politici “ignora”,
nel senso assoluto del termine, la figura e i valori di Dag Hammarskjöld.
Grazie Zagni!

C’era una volta il Teatrino della Politica



La politica,
al di là dell’arte retorica di Giuliano Ferrara,
di introdurre la categoria dell’anomalia per difendere il suo Silvio,
in realtà, con l’avvento e la permanenza di Berlusconi  al potere,
ha abbandonato il suo TEATRINO,
per diventare il nuovo DRIVE IN, 
questo sì, nella sua versione anomala.
O no?
Severo Laleo
P.S. E dispiace: perché la questione morale è tutta politica!

sabato 17 settembre 2011

“Le donne? Tutta invidia”. Parola di Putin.

Il maschilismo macho, orientale e invidioso, di Vladimir Putin,
già capo del Kgb (e la parola gela ancora!),
e del suo amico caro, il nostro Premier, Silvio Berlusconi,
nonostante differenze, pur rilevanti, di geografia, storia, cultura,
ha un’identica origine: la negazione dell’essere  “persona”,
e la sua riduzione, violenta,  a oggetto, a genitalità,
a strumento di piacere animale,
con l’aggravante dell’umano ringraziamento in raffinata  paga  a prestazione.
O no?
Severo Laleo

Una lezione contro l’ “oltraggio”, a difesa di un’idea di limite.



Le seguenti osservazioni,  pubblicate sulla “Stampa” di oggi,  
 pur  neutre da un punto di vista politico,
e, quindi,  non di parte,  scritte da un esperto quale CARLO FEDERICO GROSSO,
sono, al contrario,  a mio avviso,  illuminanti,
sia da un punto di vista civico,  sia etico, sia pedagogico,  
e,  quindi,  in una parola,  anche politico.
E segnano il limite oltre il quale per  nessuno è lecito andare. 
O no?
Grazie prof. Grosso.
Severo Laleo
“Gli avvocati Longo e Ghedini hanno annunciato, ieri, che Berlusconi non si farà interrogare come persona offesa nell’ambito dell’inchiesta sulla presunta estorsione realizzata ai suoi danni. I due legali sostengono che il premier dovrebbe essere, al massimo, sentito come imputato in un procedimento connesso o collegato (Rubygate).
E quindi, a loro giudizio, con l’assistenza dei difensori. La Procura di Napoli ha fatto sapere che non vi sono le condizioni perché egli possa essere considerato imputato in un procedimento connesso, e che egli dovrà pertanto presentarsi, in quanto persona offesa da un reato, come una normale persona informata sui fatti e rendere testimonianza senza nessuna assistenza e che, ove egli dovesse rifiutare di presentarsi, sarebbe giocoforza procedere alla richiesta di un suo accompagnamento coattivo.
Un nuovo conflitto fra Berlusconi e Procure, dunque. Su quali presupposti tuttavia, e perché? Apparentemente il presidente del Consiglio non dovrebbe, infatti, avere difficoltà a presentarsi davanti ad una Procura che lo ha individuato come vittima di un reato e, dicendo il vero, contribuire a ricostruire la verità dei fatti perpetrati a suo danno. Ed invece, evidentemente, teme qualcosa. Ma, bando alle supposizioni o ai sospetti, rimaniamo ai fatti. Chi ha ragione, giuridicamente, in questo contrasto di posizioni fra Procura partenopea e difesa del premier?
Procediamo per gradi. Prima domanda: davvero un presidente del Consiglio può essere citato, a discrezione, da una Procura perché deponga come teste? La risposta è, ovviamente, positiva. Non si vede infatti perché un'autorità pubblica, per elevato che sia il suo rango, dovrebbe essere esentata dal dovere, civico prima ancora che giuridico, di riferire all'autorità giudiziaria ciò che sa intorno a circostanze oggetto di indagini, collaborando in tal modo all'accertamento della verità. La legge stabilisce, d'altronde, tassativamente i casi nei quali un soggetto è esentato dal dovere di testimoniare (prossimi congiunti, titolari di segreti professionali, di segreti di ufficio, di segreti di Stato). Ciascuno di questi casi ha una sua ratio. Al di fuori di essi il dovere di testimoniare è tuttavia, giustamente, inderogabile, e vale ovviamente per tutti, cittadino comune e pubblica autorità.
Seconda domanda. Che cosa accade se il testimone, citato, non si presenta? La legge prevede che, in questo caso, l'autorità giudiziaria può disporre il suo accompagnamento coattivo. Nel caso di specie, poiché Berlusconi è parlamentare, e l'accompagnamento coattivo costituisce una, sia pure circoscritta, limitazione della sua libertà personale, sembrerebbe che l'autorità giudiziaria debba, comunque, sottoporre alla Camera la richiesta di accompagnamento per l'autorizzazione. Il che creerebbe qualche problema alla Procura, ma, forse, anche al Parlamento, in quanto non sarebbe agevole dimostrare che il parlamentare è vittima di accanimento quando l'autorità giudiziaria intende sentirlo per tutelare, ed eventualmente rafforzare, la sua posizione di vittima di un reato. Ma veniamo all'emergenza dell'ultima ora. Davvero Berlusconi, come sostengono i suoi difensori, ha diritto di essere sentito in qualità di imputato di procedimento connesso (o collegato) e pertanto con l'assistenza dei difensori, e, eventualmente, con le ulteriori garanzie riconosciute a questo tipo affatto particolare di «testimone»?

Non conoscendo né gli atti del procedimento milanese né di quello napoletano non sono ovviamente in grado di dare una risposta. Posso, soltanto, fornire qualche indicazione sulle norme che regolano l'interrogatorio di persona imputata in un procedimento connesso (o «collegato»). Si ha «connessione» o «colleganza» di procedimenti quando essi riguardano situazioni fra loro interdipendenti. Quando si tratta, ad esempio, di reato commesso da più persone, ma processate separatamente; o di un reato commesso per eseguirne od occultarne un altro; o quando la prova di un reato influisce su quella dell'altro. In queste situazioni l'imputato, interrogato nel procedimento connesso, rischia di danneggiare la sua situazione processuale in quello a suo carico. Per questa ragione gli si assicura l'assistenza del difensore e, se del caso, addirittura il diritto di avvalersi della facoltà di non rispondere.

Sostenendo che Berlusconi, a Milano, è imputato di processo connesso a quello per cui si procede a Napoli, i suoi difensori affermano dunque, nella sostanza, che il rapporto con la minore Ruby avrebbe qualche collegamento, quantomeno probatorio, con l'estorsione di cui egli sarebbe persona offesa. Davvero? E non sarebbe, questa, un'ammissione per certi versi addirittura pericolosa per il premier? Non potrebbe trattarsi allora, dato che i suoi difensori sono, tecnicamente, molto preparati, soltanto di un espediente, l'ultimo, per ritardare, o addirittura bloccare, l'iniziativa giudiziaria in corso?”